il Dipartimento di Giustizia insiste sulla vendita di Chrome

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Google si trova ad affrontare una delle sfide legali più importanti della sua storia. Anche dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) non ha fatto marcia indietro: quasi tutte le richieste presentate a novembre 2024 per ripristinare la concorrenza nel mercato dei motori di ricerca sono state mantenute. Al centro di queste misure c’è la vendita di Chrome, il browser di punta dell’azienda, in un caso che potrebbe ridefinire il futuro del colosso tecnologico.

Il DOJ, insieme ad un pool che  comprende 38 Procuratori Generali, ha depositato in tribunale la versione definitiva dei rimedi da imporre a Google per soddisfare la sentenza dell’agosto scorso in cui l’azienda caiforniana è stata ritenuta colpevole di aver messo in atto pratiche anticoncorrenziali nel mercato della ricerca online.

Rispetto alla versione preliminare, c’è stata una sola concessione a favore di Google. Inizialmente, il DOJ aveva chiesto che l’azienda non investisse in prodotti di intelligenza artificiale (IA) concorrenti e che annullasse gli investimenti esistenti, considerando il ruolo cruciale dell’AI nel futuro della ricerca online. Nella versione finale, invece, Google può mantenere il suo attuale investimento in Anthropic, una società di IA, a patto che notifichi al governo eventuali investimenti futuri, in modo che possano essere valutati e approvati. 

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Pertanto, il cuore della proposta del DOJ rimane invariato: Google deve vendere Chrome, il browser più utilizzato al mondo, e non potrà rientrare nel mercato dei browser se non dopo cinque anni. Questa misura è vista come un duro colpo per l’azienda di Mountain View, dato che Chrome non è solo un prodotto di punta, ma anche un tassello fondamentale del suo ecosistema digitale. Inoltre, il DOJ ha lasciato aperta la possibilità di un’ulteriore escalation: se i rimedi non dovessero funzionare o se Google non rispettasse gli obblighi, potrebbe essere costretta a vendere anche Android, il suo sistema operativo per i dispositivi mobili.

Un altro rimedio chiave riguarda gli accordi che rendono Google il motore di ricerca predefinito su varie piattaforme. Il DOJ ha ordinato l’annullamento di tutti questi contratti, mettendo fine ai pagamenti miliardari che Google versa a società come Apple, Mozilla e Samsung per assicurarsi questa posizione privilegiata. Apple potrà continuare a ricevere compensi da Google, ma solo per servizi non legati alla ricerca. Questa mossa potrebbe aprire nuove opportunità per motori di ricerca alternativi, come Bing di Microsoft, e incentivare una competizione più equa.

Google non ha accettato passivamente queste misure. Un portavoce dell’azienda ha dichiarato che i rimedi proposti dal DOJ vanno oltre la sentenza di primo grado, affermando che le richieste siano eccessive rispetto a quanto stabilito dal tribunale. L’azienda ha già annunciato che presenterà appello, e il prossimo capitolo di questa saga legale si aprirà con le udienze sui rimedi, programmate dal 21 aprile al 9 maggio. È chiaro che lo scontro è tutt’altro che concluso.

Se queste misure entreranno in vigore, le conseguenze per Google potrebbero essere importanti e non certo in senso positivo. La vendita di Chrome non solo priverebbe l’azienda di un asset strategico, ma potrebbe anche frammentare l’esperienza degli utenti abituati a un ecosistema integrato. 

L’annullamento degli accordi per il motore di ricerca predefinito, d’altra parte, potrebbe stimolare la competizione nel mercato della ricerca online. Senza la possibilità di “comprare” la posizione di default, altri attori potrebbero emergere. 

Infine, la parziale apertura sugli investimenti in AI rappresenta una vittoria relativa per Google, che potrà continuare a esplorare questa tecnologia cruciale, anche se con limitazioni: il controllo governativo sui futuri investimenti potrebbe rallentare la sua capacità di competere con rivali meno vincolati.

Questo caso antitrust segna un punto di svolta non solo per Google, ma per l’intero panorama tecnologico. Le autorità stanno dimostrando di essere pronte a intervenire con decisione contro le pratiche monopolistiche, inviando un messaggio chiaro alle big tech. Per i consumatori, i benefici potrebbero includere maggiore scelta e innovazione, ma anche alcune incertezze a breve termine, soprattutto se asset come Chrome o Android dovessero cambiare “padrone”.

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