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L’Agenzia delle entrate, con le recenti risposte a interpello n. 41/2025 e n. 53/2025, ha fornito importanti chiarimenti sul periodo di permanenza all’estero che deve essere rispettato da parte di quei lavoratori che intendono usufruire del c.d. “nuovo regime degli impatriati” a seguito di trasferimenti infragruppo.
Per inquadrare meglio la questione, occorre, in primo luogo, ricapitolare la disciplina di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b), D.Lgs. 209/2023.
Come noto, tale articolo prevede che, per poter accedere al nuovo regime degli impatriati a decorrere dal 1° gennaio 2024, deve essere rispettato un periodo minimo di residenza all’estero pari a 3 anni prima del trasferimento in Italia.
Il citato periodo, tuttavia, sempre ai sensi del citato articolo 5, D.Lgs. 209/2023, è aumentato nell’ipotesi in cui la prestazione di lavoro in Italia (post rientro) venga svolta in continuità con quella estera, ossia venga svolta in favore dello stesso datore di lavoro estero o datore di lavoro appartenente allo stesso gruppo del datore di lavoro estero.
In questa ipotesi, infatti, il nuovo regime degli impatriati richiede che il contribuente abbia risieduto all’estero per:
- 6 periodi di imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente allo stesso gruppo;
- 7 periodi di imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente allo stesso gruppo.
Nell’ambito di questo contesto, l’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 41/2025, ha chiarito che il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero deve essere pari a 6 periodi di imposta, se vi è “continuità” tra il datore estero e quello di rientro in Italia.
È questo il caso, secondo l’Agenzia delle entrate, del lavoratore impiegato all’estero presso la società Alfa che, a seguito del suo trasferimento in Italia, continui a lavorare per tale società (o per un soggetto appartenente allo stesso gruppo).
Il requisito della residenza pregressa, invece, in base all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate, viene innalzato a 7 periodi di imposta, nel caso in cui il lavoratore sia stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto (o per un soggetto appartenente allo stesso gruppo) per il quale abbia lavorato all’estero.
Tale ipotesi, pertanto, secondo l’Agenzia delle entrate, ricorre, riprendendo l’esempio sopra richiamato, qualora il lavoratore abbia già lavorato in Italia per la società Alfa prima del suo trasferimento all’estero.
Secondo l’Agenzia delle entrate, ciò che rileva, ai fini della determinazione del periodo minimo di residenza all’estero di 6 o 7 anni, è la coincidenza tra il datore di lavoro post rientro in Italia e quello immediatamente precedente il trasferimento all’estero.
Sulla base di tale principio, l’Agenzia delle entrate si è espressa nel senso di richiedere un periodo minimo di residenza estera di 6 anni per un contribuente che:
- ha lavorato in Italia per la società Alfa negli anni 2015 e 2016;
- ha lavorato in Italia per la società Beta nel 2017 e 2018;
- si è trasferito all’estero per lavorare presso la società Gamma (società appartenente allo stesso gruppo di cui faceva parte la società Alfa) negli anni dal 2019 al 2024;
- è tornato in Italia nel 2025 per ricominciare a lavorare per la società Alfa.
Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, in tale ipotesi, non vi sarebbe coincidenza tra il datore di lavoro per il quale il contribuente è stato impiegato in Italia nel periodo immediatamente precedente il trasferimento all’estero e quello presso il quale ha iniziato a lavorare dopo il trasferimento in Italia.
In conformità a tale conclusione, l’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 53/2025, si è pronunciata in merito all’ipotesi di un contribuente che:
- ha lavorato in Italia per la società Alfa fino ad aprile 2019;
- si è trasferito all’estero a maggio del 2019, continuando a lavorare per la medesima società Alfa fino a giugno 2024;
- a decorrere da quest’ultima data, ha interrotto il suo rapporto di lavoro con Alfa, iniziando a svolgere un’attività di lavoro autonomo;
- è tornato in Italia nel gennaio 2025 per ricominciare a lavorare per Alfa.
Ebbene, in relazione a tale ipotesi, l’Agenzia delle entrate ha affermato che, ai fini dell’applicazione del regime degli impatriati, il periodo minimo di residenza all’estero che deve essere rispettato è pari a 7 periodi di imposta. Ciò in quanto, in questo caso, vi sarebbe coincidenza tra il datore di lavoro per il quale il contribuente è stato impiegato all’estero, nel periodo di imposta precedente il rientro in Italia, e quello presso il quale ha iniziato a lavorare, dopo il trasferimento nel nostro Stato. In tale ipotesi, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto di non attribuire alcun tipo di rilevanza alla circostanza che il contribuente, prima del rientro in Italia, abbia interrotto il rapporto di lavoro per svolgere un’attività di lavoro autonomo.
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