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Nell’antica legislazione ebraica era prevista l’istituzione di un anno sabbatico (ogni sette anni) e un anno giubilare, da celebrare dopo sette cicli di sette anni, cioè ogni 50 anni.
Questa legislazione consisteva in una serie di norme (riassunte principalmente in Levitico 25), soprattutto di carattere sociale, tra le quali quelle di lasciare riposare la terra non coltivandola, di condonare i debiti e di lasciare liberi gli schiavi e i prigionieri per debiti, consentendo loro di rientrare in possesso dei propri beni.
Non risulta che queste norme siano mai state applicate, tuttavia volevano rappresentare insegnamenti importanti, innanzitutto che la terra è di Dio e così la vita e la libertà sono suoi doni e che è sempre possibile ricominciare una vita nuova. E quindi infondere fiducia e speranza.
Anche Gesù inaugura la sua missione riprendendo l’antica profezia di Isaia: portare la liberazione a tutti gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore (Lc 4,16-21). Nel Padre nostro si prega così «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12) e Zaccheo promette a Gesù «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,48).
La prassi delle indulgenze
In epoca medioevale, l’idea di un giubileo è stata ripresa dalla Chiesa cattolica e tenuta viva fino a oggi.
Nella bolla di indizione del Giubileo della Speranza 2025 ci sono molte indicazioni positive che esortano i cristiani a seminare speranza andando tra la gente in difficoltà con un occhio particolare per i giovani e per i poveri.
Papa Francesco, chiedendoci se «è troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte», ci chiama a riscoprire la speranza nei segni dei tempi, traducendola innanzitutto «in pace per il mondo». Rivolgendosi quindi a chi detiene il potere, il papa propone, ancora una volta, di ridurre l’enorme quantità di denaro investita nelle guerre e destinarla allo sviluppo delle nazioni povere e per la difesa della natura.
Ancora: che vengano condonati i debiti dei paesi poveri, che si facciano atti clemenza per i prigionieri e, infine, si chiede l’abolizione della pena di morte. Purtroppo, è facile immaginare come queste reiterate richieste ai poteri politici ed economici cadranno nel vuoto, inascoltate e destinate a restare senza conseguenze. Ma è il messaggio rivolto ai semplici fedeli che suscita in noi maggiori riserve: molto incentrato sulle pratiche tradizionali di carattere prevalentemente devozionistico e individualistico.
Soprattutto se queste pratiche si concentrano a Roma, esposte a tutti i rischi di un turismo religioso di massa. È proprio difficile immaginare come lo spirito di rinnovamento, il cammino sinodale, l’esperienza viva dei cristiani impegnati in tanti campi, possano trovare spazio in questo vecchio modello ecclesiale. Appunto, sarebbe come mettere il vino nuovo in otri vecchi!
Ancora, accanto a belle parole e buoni propositi, non si può non esprimere sconcerto di fronte al persistere della prassi delle indulgenze. Infatti, nella bolla papale che indice l’Anno Santo vengono stabilite precise norme che i fedeli sono tenuti a seguire per ottenere le indulgenze. Leggiamo fra l’altro: «Durante il Giubileo Ordinario del 2025 … Tutti i fedeli veramente pentiti, escludendo qualsiasi affetto al peccato (cf. Enchiridion Indulgentiarum, IV ed., norm. 20, § 1) e mossi da spirito di carità e che, nel corso dell’Anno Santo, purificati attraverso il sacramento della penitenza e ristorati dalla Santa Comunione, pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, dal tesoro della Chiesa potranno conseguire pienissima Indulgenza, remissione e perdono dei loro peccati, da potersi applicare alle anime del Purgatorio in forma di suffragio».
Come si vede, è un linguaggio di altri tempi, figlio di un regime di cristianità ormai superata, almeno nel nostro mondo occidentale. La questione delle indulgenze, oltre a essere anacronistica, ha anche una pesante ricaduta a livello ecumenico.
È nota la violenta polemica di Lutero e di tutte le Chiese della Riforma nei confronti di questa prassi, giudicata in contrasto con le Scritture. E tutto questo dopo 500 anni dalla Riforma e dopo il faticoso ma fecondo cammino ecumenico che ha portato nel 1997 a un’importante dichiarazione congiunta sulla «dottrina della giustificazione» tra la Chiesa cattolica e le principali confessioni protestanti.
Una volta affermato che Dio perdona sempre e perdona tutti (e il papa lo dice continuamente), che senso ha legare questo perdono in modo speciale al Giubileo?
È mancato il coraggio di mettere in sordina tale questione. Il rischio infatti è quello di perpetuare un grave equivoco, di pensare, cioè, che le buone pratiche suggerite servano per ottenere appunto quel perdono che ci è già stato donato. È certamente giusto invitare i cristiani alla penitenza, che però non può essere a buon mercato e risolversi visitando le quattro basiliche, attraversare porte, compiere pellegrinaggi e poco più.
Carcere e migranti
Quanto è più vicina allo spirito del Vangelo la parte in cui il papa esorta a una conversione fattiva, con appelli a coinvolgere sempre più singoli e comunità a moltiplicare gesti concreti di solidarietà con i più poveri, di perdono e di riconciliazione!
Due in particolare ci sembrano i luoghi oggi brucianti verso cui indirizzare la nostra conversione: il carcere e la condizione dei migranti.
Spesso noi cristiani, come singoli e come comunità, restiamo indifferenti alle condizioni di grande sofferenza di tanti detenuti, ne sappiamo poco, oppure pensiamo che non possiamo farci niente. È vero che la competenza è della politica e delle istituzioni, ma è anche vero che singolarmente e collettivamente possiamo fare qualcosa. Per esempio, sostenere le forme di volontariato che già esistono o provare a inventare modalità nuove per affrontare il tema della pena, che tenga conto anche della sofferenza delle vittime e del futuro reinserimento della persona detenuta nella società. Si può fare pressione sugli organi competenti e contribuire a rompere il muro che separa i carcerati dalla società.
La conversione nei confronti dei migranti è forse ancora più difficile ma necessaria. Dobbiamo aiutarci a superare i pregiudizi e guardare i loro volti, fare nostre le loro speranze, considerare le enormi sofferenze di molti di loro e cambiare il nostro sguardo.
Dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un problema epocale che è anche un segno di contraddizione, una vera e propria pietra di inciampo per la nostra società “cristiana”. Da come riusciremo ad affrontarlo nei suoi mille aspetti, dalle risposte che riusciremo a dare a livello politico ma anche culturale, come società e come Chiese, dipenderà in buona parte il nostro futuro.
Infine, noi pensiamo che l’istituzione Chiesa, mentre invita i fedeli alla penitenza, debba a sua volta offrire concreti segni di conversione delle proprie strutture. Per fare solo un esempio, ci possiamo riferire concretamente ai gravi disagi provocati a molti abitanti di Roma a causa dei lavori per la preparazione del Giubileo: sgomberi forzati di molti senza tetto, sfratti di intere famiglie per far posto a locazioni turistiche, caro affitti insostenibile per studenti, lavoratori poveri e anziani.
A queste situazioni né le istituzioni pubbliche né quelle religiose hanno dato risposte sufficienti. Il patrimonio edilizio della Chiesa cattolica a Roma (Vaticano, parrocchie, ordini e istituti religiosi…) ci risulta a tutt’oggi imponente: ci chiediamo se davvero è stato fatto tutto il necessario per alleviare questo disagio abitativo. Oppure si è preferito lasciare al mercato e alla speculazione il compito di regolare queste situazioni?
Tuttavia, non bisogna mai perdere la speranza, personale e collettiva, come sempre ci esorta il papa. Infatti la bolla pontificia che indìce il giubileo ha come titolo Spes non confundit, cioè «la speranza non sarà delusa».
Ci auguriamo, quindi, che la fiducia e la speranza ci accompagnino in questo nostro pellegrinaggio anche interiore e che il Giubileo possa essere un’occasione perché si aprano tante altre porte sante che portino luce e aria nuova nella Chiesa e in tutto il mondo. (Comunità Cristiana di base del Villaggio Artigiano – Modena)
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