sono debole, nulla di scandaloso»

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Il cardinale Domenico Battaglia e papa Francesco lo scorso 7 dicembre quando l’arcivescovo di Napoli ha ricevuto la berretta nella Basilica di San Pietro – Agenzia Romano Siciliani

«Da quella camera del Policlinico Gemelli non si proclamano discorsi, ma si testimonia il Vangelo con il respiro della fragilità. Papa Francesco ci sta dicendo che il dolore non è un inciampo, ma una strada da percorrere con fiducia». Il cardinale Domenico Battaglia è l’ultima porpora, in ordine di tempo, voluta da papa Bergoglio. Entrato “a sorpresa”, come ha scritto la stampa, nel novero dei cardinali che il Pontefice ha creato nel Concistoro del 7 dicembre.

Da Napoli, dove dal dicembre 2020 è arcivescovo sempre per decisione di Francesco, guarda al decimo piano del Gemelli a Roma in cui il Papa è ricoverato da quasi un mese. La sua voce flebile diffusa in piazza San Pietro che è rimbalzata in tutto il mondo ha commosso. Ma, ancora una volta, è diventata il pretesto per alimentare speculazioni mediatiche sul Pontefice e sul futuro della Chiesa. «A tutto questo si risponde con il silenzio operoso. Con la fedeltà al Vangelo. Con la vita – afferma Battaglia -. Le parole passano, la verità resta. Le fake news fanno rumore, ma la luce di chi ama brilla più forte di ogni menzogna. Francesco non ha bisogno di difendersi. La sua risposta sono i gesti, le scelte, la sua fedeltà a Cristo e ai poveri. Il futuro della Chiesa non è nei pettegolezzi, ma nelle mani di Dio. E mentre il mondo si agita, noi continuiamo a camminare con il cuore saldo e lo sguardo fisso sull’unica cosa che conta: l’amore». C’è una sorta di speciale sintonia di papa Bergoglio con Battaglia. Una vicinanza che Francesco ha testimoniato non solo con la berretta ma almeno con due gesti pubblici: nel 2021 il Pontefice ha consegnato ai vescovi italiani durante l’Assemblea generale della Cei un’immaginetta che conteneva le otto “beatitudini del vescovo” proposte da Battaglia; e nel marzo 2022, a tre settimane dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Francesco ha letto nell’udienza generale la preghiera per la pace del futuro cardinale dal titolo “Perdonaci la guerra, Signore”.

Eminenza, come sta vivendo la degenza del Papa? E come la vive Napoli?

«La vivo con il cuore in preghiera e gli occhi pieni di speranza. Francesco ci ha insegnato che la croce non è sconfitta, ma un’altra forma d’amore. E così lo immagino lì, in quella stanza d’ospedale, con lo stesso sguardo di sempre: quello di un padre che continua a donarsi, anche nel dolore. E Napoli di questo gli è grata. E l’abbraccio della sua preghiera arriva fino a Roma. Napoli ama Francesco perché Francesco parla il linguaggio degli ultimi, perché nei suoi occhi c’è la stessa luce di chi ha conosciuto la fatica della vita ma non ha mai smesso di credere nella bellezza del domani».

Il Gemelli è oggi la nuova cattedra del Papa.

«Francesco ci insegna che non si ama solo con le parole, ma anche con il silenzio dell’attesa, con la pazienza della guarigione, con il coraggio di affidarsi».

Nella malattia c’è la preghiera personale del malato e quella comunitaria per il malato, come testimonia la “catena orante” per il Papa.

«La preghiera è il filo che lega la terra al cielo, è la mano che stringe un’altra mano, è la voce che sussurra speranza anche nel buio della notte. Quando preghiamo non siamo soli: siamo popolo, siamo famiglia, siamo parte di un amore che non conosce distanze. In questi giorni la preghiera per Francesco è diventata un’onda che attraversa il mondo, un respiro che si fa coro, un fuoco che scalda il cuore della Chiesa».

Nel messaggio che lei ha inviato in occasione del ricovero, ricorda il Vangelo della pace e della fraternità che il Papa annuncia. Come declinare la fraternità nell’Italia di oggi che appare divisa al suo interno?

«Fraternità non è solo una parola da predicare, ma una strada da percorrere, giorno dopo giorno. È scegliere di ascoltarsi prima di giudicarsi, di tendersi la mano invece di puntarsi il dito contro. È imparare a dire “noi” in un mondo che ci vuole sempre più soli, sempre più nemici, sempre più distanti. L’Italia ha bisogno di ponti, non di muri. Ha bisogno di cuori aperti, di gesti concreti, di dialoghi sinceri. La fraternità non è una teoria, è vita vissuta. Comincia dalle piccole cose: un sorriso, un perdono, un posto a tavola in più».

Nel suo messaggio, lei cita i poveri, gli ultimi, i sofferenti, particolarmente cari a papa Francesco. Poi ci sono i bambini che lasciano disegni e preghiere davanti all’ospedale.

«I bambini sono il Vangelo disegnato a colori. Nelle loro preghiere c’è la fede più vera, in quei fogli lasciati fuori dall’ospedale c’è un mondo che sa ancora sognare. Francesco lo sa, per questo li ama tanto. Perché sono loro a ricordarci ciò che spesso dimentichiamo: che la vita è un dono, che la tenerezza è una forza, che la fragilità è un invito ad amare di più. Se ascoltassimo i bambini, se imparassimo da loro, il mondo sarebbe un posto migliore».

Lei è stato nominato a gennaio membro del Dicastero per l’evangelizzazione. Anche nella fragilità si può essere annunciatori del Vangelo con la propria vita “debole”?

«Non solo si può, si deve. Il Vangelo non si annuncia dall’alto di un piedistallo, ma dal basso di un cuore ferito e innamorato. Non servono potenza, perfezione o grandi discorsi. Basta la vita, quella vera. Quella che cade e si rialza, che sbaglia e riprova, che soffre ma non smette di amare. Anche la debolezza è una parola di Dio, se la lasciamo parlare. Anche le cicatrici possono essere luce, se abbiamo il coraggio di mostrarle».

Nella società dell’efficientismo, la malattia viene nascosta. Il Papa ha chiesto trasparenza. Un’ulteriore lezione?

«Sì, ed è una lezione di verità. Viviamo in un mondo che celebra la forza e nasconde la fragilità, che esalta il successo e si vergogna della debolezza. Ma la vita è fatta di entrambe. Francesco ci sta dicendo: “Guardatemi, anche io sono fragile. Anche io ho bisogno di cura, di attesa, di speranza.” Non c’è nulla di scandaloso nell’essere deboli. Lo scandalo è fingere di non esserlo. La trasparenza del Papa è un invito a essere veri, a non temere la nostra umanità, a non vergognarci della nostra vulnerabilità».





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