la tragedia silenziosa degli sfollati palestinesi in Cisgiordania – Mediafighter

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Dal nostro inviato in Cisgiordania

Il campo profughi di Nur Shams è ormai un groviglio di macerie e strade polverose. Qui, tra le case sventrate e i negozi devastati, migliaia di palestinesi si aggirano senza una destinazione, sradicati dalle loro abitazioni da un’operazione militare israeliana che non accenna a fermarsi.

La Cisgiordania occupata, già tormentata da tensioni e violenze, sta vivendo un nuovo capitolo di devastazione. Dopo mesi di bombardamenti su Gaza, il conflitto si è spostato qui, nei campi profughi storici di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, dove il governo israeliano ha lanciato la cosiddetta Operazione Muro di Ferro.

Una città sotto assedio

A Nur Shams, i racconti degli abitanti parlano di case distrutte, famiglie divise, vite sospese nel limbo della guerra. Hamdan Fahmawi, proprietario di un piccolo negozio, ha visto la sua attività vandalizzata per la terza volta in un anno. Il 26 febbraio, ha deciso di tornare con suo figlio diciassettenne per recuperare documenti e qualche soldo.

“I soldati ci hanno ordinato di andarcene. Uno di loro ha alzato la pistola contro di noi. Ci siamo sentiti in pericolo, ma per fortuna siamo usciti illesi”, racconta Fahmawi.

Non tutti, però, hanno avuto la stessa sorte. Decine di abitazioni sono state rase al suolo e almeno 40.000 palestinesi sono stati costretti a fuggire dai campi profughi in Cisgiordania dal 21 gennaio, quando Israele ha intensificato la sua offensiva nella regione.

Le scuole e le moschee si sono trasformate in rifugi di emergenza, ma gli aiuti umanitari scarseggiano. A sostenere le famiglie sfollate sono soprattutto donazioni spontanee: cibo, coperte e letti di fortuna vengono distribuiti da chi è riuscito a conservare qualcosa.

L’obiettivo di Israele: smantellare la resistenza?

Il governo israeliano giustifica queste operazioni con la necessità di colpire gruppi armati affiliati a Hamas e alla Jihad Islamica Palestinese. Secondo fonti militari, la presenza di cellule organizzate in questi campi rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza nazionale.

Tuttavia, molti analisti e gruppi per i diritti umani sostengono che si tratti di una strategia deliberata per rendere insostenibile la vita dei palestinesi in Cisgiordania. Secondo Murad Jadallah, ricercatore di Al-Haq, il vero obiettivo è svuotare i campi profughi e aumentare la pressione sulle città palestinesi.

“Abbiamo raggiunto un nuovo livello di incertezza. Le persone sfollate sono perse, non sanno cosa fare. Questa non è solo un’operazione di sicurezza, è un piano per sradicare comunità intere”, afferma Jadallah.

Sfollati senza una destinazione

Dove vanno ora i palestinesi espulsi dalle loro case? Nourdeen Ali, 17 anni, ha visto decine di famiglie rifugiarsi presso parenti o amici appena fuori dai campi. Ma la fuga non garantisce sicurezza.

“Molti sono stati cacciati di nuovo quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione nelle case circostanti”, spiega Ali. “A quel punto, alcuni si sono nascosti nelle scuole, nei campi da calcio. Ma per quanto tempo si può vivere così?”

Israele ha adottato una tattica già vista in passato: occupare le abitazioni palestinesi e trasformarle in centri di interrogatorio improvvisati. Chi cerca di rientrare in casa rischia di essere arrestato, o peggio.

“Non c’è altra patria”

Nonostante il pericolo costante, molti palestinesi sono decisi a tornare nei campi. È una questione di radici, ma anche di necessità economica. Fahmawi, il commerciante, spiega che la maggior parte degli abitanti di Nur Shams non può permettersi di vivere altrove.

“Ovunque in Palestina è pericoloso, non solo nei campi. Non abbiamo un’altra casa, non abbiamo scelta”, dice.

Eppure, alcuni palestinesi più abbienti stanno cercando di fuggire. Jadallah racconta la storia di un amico che ha deciso di trasferirsi in Giordania con la sua famiglia, temendo che la violenza possa presto estendersi anche alle città principali come Jenin, Ramallah e persino Nablus.

Ma per molti altri l’esilio non è un’opzione.

“Alla fine, non c’è alternativa alla nostra terra. Non c’è altro posto dove andare. Se moriamo, moriremo qui”, conclude Fahmawi.

Un conflitto che non conosce tregua

Mentre il mondo si concentra sulla guerra a Gaza, la Cisgiordania occupata sta vivendo una delle peggiori ondate di violenza degli ultimi anni.

Nel frattempo, la comunità internazionale resta in silenzio. I leader mondiali parlano di “preoccupazione”, ma non sembrano disposti a intervenire per fermare le demolizioni e gli sfollamenti forzati.

Intanto, le famiglie palestinesi continuano a vagare senza meta, in attesa di capire se avranno mai un posto da chiamare casa.



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