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L’impianto della vergogna è la bidonvia di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, la Regina delle Dolomiti
ROMA – Impianti di risalita dismessi e abbandonati, più acqua per ‘fabbricare’ la neve. Si vede anche da qui come Alpi e Appennini si imbianchino sempre meno. Si contano ben 265 strutture legate agli sci non più funzionanti, il doppio rispetto a quelle censite nel 2020 quando erano 132. Piemonte (76), Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30) sono le regioni ad oggi con più strutture dismesse e che risentono, insieme al resto d’Italia, “di una crisi climatica che anche in montagna lascia sempre più il segno, con nevicate in diminuzione e temperature in aumento, e un turismo invernale che diventa più costoso e in alcuni casi di lusso a discapito del portafoglio e dell’ambiente”, avvisa Lagambiente.
L’altra faccia della medaglia è l’incremento dei bacini di innevamento artificiale: 165 quelli mappati oggi in Italia dai satelliti per una superficie totale di un milione e 896.317 metri quadri. Il Trentino-Alto Adige è la regione con più bacini censiti (60), seguita da Lombardia (23), e Piemonte (23). La Valle D’Aosta, invece, conta 14 bacini ma primeggia in termini di metri quadri, ben 871.832.
Numeri e dati arrivano dal nuovo dossier Nevediversa 2025 “Una nuova montagna è possibile?” presentato oggi a Milano. Nelle sue pagine si parla di impianti legati agli sci chiusi, semichiusi o che faticano a restare aperti, c’è un focus sulle Olimpiadi invernali, un’analisi su overtourism-turismo di lusso.
L”impianto della vergogna’, scelto anche per la copertina del Report Nevediversa di quest’anno, è la bidonvia di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, Regina delle Dolomiti. Chiuso nel 2019, fu travolto nel dicembre 2020 da una valanga che toccò anche il vicino rifugio, il cui gestore, proprio nel 2020 assieme ad associazioni ambientaliste, aveva lanciato una petizione volta per rimuovere tutte le tracce dei vicini impianti in disuso. Della bidonvia di Pian dei Fiacconi oggi, rimane una struttura abbandonata e sventrata, “dal pesante impatto ambientale e paesaggistico in un’area montana patrimonio Unesco”, segnala Legambiente.
Allargando lo sguardo, 112 le strutture temporaneamente chiuse, 128 un “po’ aperte, un po’ chiuse”, 218 impianti sottoposti ad “accanimenti terapeutici”, distribuiti in 36 comprensori, e più che raddoppiati rispetto al 2020 quando erano 103. Il numero più alto in Lombardia (59), Abruzzo (47), Emilia-Romagna (34). Invariato, invece, il numero degli impianti smantellati e riusati, rispetto all’anno precedente: 31; 80 gli edifici fatiscenti censiti e 15 le storie “di brutti progetti” segnalati nel report. Il dossier di Legambiente si estende poi anche sulle Alpi francesi e svizzere attraverso l’analisi dei dati di Mountain Wilderness Francia.
Ad aprile 2024 sono stati censiti 101 impianti abbandonati in 56 siti distribuiti sulle catene montuose francesi, mentre in Svizzera risultano dismessi da anni oltre 55 skilift e funivie. “Segno che il turismo invernale è in crisi anche oltralpe”. La crisi climatica presenta dunque il conto in alta quota e questo, secondo gli ambientalisti, “impone un ripensamento del rapporto con la montagna, in quota e a valle”.
Cioè servono più azioni di mitigazione e adattamento e più finanziamenti per il turismo dolce, accompagnati da una migliore gestione del territorio replicando le buone pratiche. Anche perchè “le previsioni per i prossimi anni indicano inverni significativamente più caldi rispetto a oggi, con un conseguente calo delle nevicate”. I dati della Fondazione Cima illustrano il “grave deficit nevoso” registrato al 13 febbraio 2025 rispetto alle medie storiche. Sulle Alpi nella fascia tra i mille e duemila e i metri, la riduzione dell’innevamento è del 71% e del 94% sugli Appennini.
Più su, tra i 2.000 ei 3.000 metri, il deficit si attesta al 43% sulle Alpi e al 78% sugli Appennini, “evidenziando una situazione critica soprattutto lungo la dorsale appenninica. Dati che evidenziano le difficoltà a cui vanno incontro gli impianti sciistici che, a causa della crisi climatica, hanno prospettive di sviluppo sempre più incerte”, annota Legambiente. E, sul sito del ministero del Turismo, dall’inizio del governo Meloni, sono stati pubblicati avvisi riguardanti l’assegnazione e l’erogazione di contributi per 430 milioni di euro, destinati a compensare le perdite subite dai comprensori sciistici. Inoltre, fino al 2028, il ministero continuerà a finanziare a fondo perduto le imprese che gestiscono impianti di risalita a fune.
“Quanto sta accadendo ad alta quota è solo la punta di un iceberg- commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente- la crisi climatica sta avanzando a ritmi preoccupanti, la fusione dei ghiacciai da un lato, la diminuzione delle nevicate, ma anche la chiusura di diversi impianti insieme a quelli che faticano spesso a restare aperti, dall’altro, sono facce della stessa medaglia su cui va aperta una importante riflessione che deve essere accompagnata da interventi concreti”.
Si continua ad alimentare l’innevamento artificiale, “che comporta consistenti consumi di acqua e di energia, senza invece mettere in campo una chiara strategia di adattamento e mitigazione alla crisi climatica. È da qui che bisogna partire, se si vuole arrivare ad una migliore gestione del territorio”. Negli ultimi anni, gli impianti di neve artificiale sono diventati “una spesa costante e cruciale per la sopravvivenza dei comprensori e per garantire la settimana bianca”.
Tra gli esempi citati da Legambiente nel report ci sono Veneto, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia. A metà febbraio si sono spesi due milioni di euro per l’innevamento artificiale nelle aree montane del Bellunese dall’inizio della stagione. Nel caso del Sestriere, in Piemonte, in quattro anni si è saliti oltre i 10 milioni. Per innevare i 125 chilometri di piste del Friuli-Venezia Giulia il costo stagionale si aggira intorno ai 5.300.000 euro. Oltre alla spesa in conto capitale.
E in parallelo salgono in Italia i costi della settimana bianca. Una famiglia di tre persone, stando alle ultime stime, quest’anno spende in media 186 euro al giorno solo per accedere agli impianti di risalita e alle piste. In aumento, secondo Federturismo, anche hotel (+5,1%), scuole sci (+6,9%), ristorazione (+8,1%). In sintesi, per una settimana bianca, un adulto spende in media 1.453 euro, una famiglia di due genitori e un figlio circa 3.720 euro.
“Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato – commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – e gennaio 2025 ha segnato un nuovo record come il mese più caldo di sempre. Bisogna ripensare il turismo invernale in una chiave più sostenibile e avviare percorsi di governance tra le istituzioni, le comunità locali e le realtà territoriali replicando le buone pratiche di turismo dolce. Esperienze come quelle della Valle dei Cavalieri e della Val Maira, insieme agli esempi virtuosi che citiamo nel report rappresentano un punto a cui guardare. Da qui bisogna partire se si vuole davvero voltare pagina nella consapevolezza che la crisi climatica sta ridisegnando il nostro rapporto con la montagna”.
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