Lavoro, dal burnout alla dipendenza da farmaci, ecco come ci si ammala

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La seconda puntata della serie che affronta il tema dello stress sul lavoro, dopo la prima dedicata alle grandi dimissioni in Italia.

Quando la pressione sul posto di lavoro diventa insopportabile, il dirigente oppressivo, il futuro incerto ecco che lo stress inizia a farsi sentire. Gradualmente, ma inesorabilmente. La prima tappa è quelle dell’allarme. Tutto comincia con un aumento dell’adrenalina e dei corticoidi circolanti e con uno stato di tensione emotiva. A quel punto si passa ai tentativi di resistenza, ossia allo sforzo di adattamento biologico e comportamentale agli stimoli esterni.

Se l’operazione fallisce scatta l’esaurimento, con sintomi comuni a tutti i tipi di stress: alterazione del ritmo cardiaco e della pressione arteriosa. Ma anche problemi all’apparato digerente, iperidrosi, formicolii. Il problema è che lo stress, da lavoro o meno, attraverso l’aumento del cortisolo endogeno – l’ormone per l’appunto simbolo dello stress – finisce per impattare su ben quattro sistemi, quello neurologico, psicologico, immunologico ed endocrinologico. Alla fine tutti e quattro parlandosi tra loro, da un lato finiscono per attenuare le difese immunitarie, predisponendo il lavoratore stressato a patologie sia acute che croniche. Per cui non è un luogo comune errato dire, «mi sono così stressato per finire di ammalarmi». Dall’altro lato l’impatto negativo ovviamente c’è anche sul sistema nervoso. Tanto più se lo stress sul lavoro da temporaneo si trasforma in burnout, ossia cronico. E questo fa scattare ansia, aggressività, perdita di autostima, fino alla depressione. Disturbi che possono ricadere sull’intera società quando colpiscono personale come quello sanitario. Basti pensare che una recente indagine della Fadoi, la società scientifica dei medici internisti ospedalieri, ha stimato che il 52% dei medici e il 45% degli infermieri siano in burn out, con un prezzo altissimo da pagare, visto che questa condizione genererebbe 100 mila errori sanitari l’anno.

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La pressione sul lavoro dunque genera stress e questo può avere conseguenze molto serie per la nostra salute e, come nel caso dei lavoratori della sanità, per la società nel suo insieme. Lo stress acuto, così come dimostrato da studi su modelli animali, può infatti attivare tutta una serie di meccanismi che portano vari disturbi, come l’ansia o l’insonnia. Quando poi la condizione si fa cronica, si può giungere alla depressione e, nei soggetti anche geneticamente più predisposti e vulnerabili, può far emergere persino manifestazioni psicotiche.

In questi casi è chiaro che il ricorso agli psicofarmaci possa rendersi necessario. E infatti se ne fa uso. Dati specifici in letteratura non ne esistono, ma dopo la grande crisi finanziaria del 2011, ad esempio, venne condotta un’indagine tra i dipendenti di banche e assicurazioni dalla quale emerse che il 25% di loro assumeva antidepressivi e le donne in misura doppia degli uomini. Un’altra indagine, condotta dal Servizio di sorveglianza sanitaria per la tutela dei lavoratori della Regione Lombardia, rilevò invece anni fa che circa la metà dei lavoratori italiani era afflitto da stress da lavoro. Dati che ci dicono quanto sia rilevante il fenomeno ma anche di come dietro l’angolo possa emergere un problema di dipendenza da psicofarmaci. Con effetti non meno deleteri di quelli provocati dallo stress.

Nei pazienti in condizione di ansia reattiva legata a stress lavorativo il trattamento al quale più spesso si fa ricorso è quello a base di benzodiazepine. Che sono ansiolitici, oppure ipnotici sempre di tipo benzodiazepinico. Medicinali sicuramente efficaci nel controllare la sintomatologia, ma che per il loro meccanismo di azione possono indurre a dipendenza psicologica e fisica e quindi anche a forme di crisi da astinenza. Nei casi più gravi e prolungati di stress si possono altrimenti usare antidepressivi ma il problema è sempre lo stesso: quello della dipendenza che porta poi all’abuso di questi medicinali. Perché il paziente prima o poi finisce per assumere quel farmaco non più per scacciare l’ansia o peggio la depressione, ma per contrastare la manifestazione della dipendenza dal farmaco, ovvero la sindrome di astinenza, che è chiaramente associata all’abuso di benzodiazepine, che sono i farmaci ansiolitici ed ipnotici più utilizzati.

Per questo il farmaco può essere un antidoto allo stress ma sempre e soltanto dietro stretto controllo medico. Senza dimenticare, anzi, mettendolo al primo posto, l’ambiente. Ossia considerando che la migliore terapia consiste sempre nel creare condizioni di lavoro migliori e più umane per tutti.

* Presidente Aifa, professore ordinario di farmacologia e psichiatra



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