Meta dice addio al fact-checking: contro le fake news ci resta solo l’educazione digitale

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Addio al fact-checking su Facebook e Instagram. Il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha annunciato in un video sui social che negli Stati Uniti le piattaforme abbandoneranno i fact-checker indipendenti, che saranno sostituiti con “community notes”, proprio come su X, lasciando quindi la verifica dell’accuratezza dei contenuti completamente nelle mani degli stessi utenti.

Una scelta politica

Una svolta storica che al momento però si realizzerà solo oltreoceano: Zuckerberg infatti ha escluso piani immediati per l’Unione Europea e la Gran Bretagna, dove sono in vigore leggi più restrittive per le piattaforme social, che sono obbligate ad assumersi le responsabilità per i loro contenuti, pena sanzioni pesanti, come appunto il Digital Services Act (Dsa).

“È tempo di tornare alle nostre radici sulla libertà d’espressione” ha dichiarato Zuckerberg, secondo cui i fact-checker erano “troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata”. Ma in realtà anche la scelta di non moderare più i contenuti è decisamente schierata politicamente, tanto che ha riscosso l’immediato plauso del presidente eletto Donald Trump (“Meta ha fatto molta strada”, ha commentato) che in passato aveva invece criticato aspramente la piattaforma per la sua politica di fact-checking, definendola una censura verso le voci della destra.

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Come funziona il fact-checking di Meta

La decisione di Meta adesso rischia di minare uno dei pilastri fondamentali della lotta contro la disinformazione: la verifica dei fatti basata su standard imparziali.
Il sistema di verifica adottato da Meta dal 2016 infatti si basa su organizzazioni terze indipendenti certificate dall’International Fact-Checking Network (IFCN), che valutano i post apparentemente falsi o fuorvianti e se necessario li segnalano come inaccurati agli utenti, offrendo informazioni aggiuntive sulla decisione presa. Non una censura quindi, anche perché i post “falsi” non vengono eliminati ma declassati nei feed, limitandone quindi la diffusione senza impedire però agli utenti di accedervi.

Un sistema che non sempre funzionava ma semmai in difetto, non in eccesso: il fact-checking di Meta era solo un argine a fake news e deep fake, che non a caso hanno continuato a proliferare per anni su Facebook e Instagram, alimentando teorie del complotto, provando a manipolare l’opinione pubblica e in alcuni casi influenzando anche i risultati dei processi decisionali democratici.

La falsa democrazia delle community notes

Adesso, almeno per il momento negli Stati Uniti, le cose peggioreranno ulteriormente. Le “community notes” all’apparenza sono un tentativo di democratizzare il processo di verifica dei contenuti ma la maggioranza degli utenti non ha le competenze digitali, l’accesso alle fonti e il tempo per distinguere tra informazioni affidabili e disinformazione ben confezionata. Le “community notes” rischiano così solo di diventare un terreno di scontro ideologico tra posizione diverse, piuttosto che un luogo di analisi oggettiva dove per lo meno si cerchi di arrivare alla verità.

Affidarsi esclusivamente a questo sistema significa ridurre gli standard di verifica (che andavano invece migliorati) in nome di una libertà di espressione mal interpretata. Questo approccio rischia di aprire le porte a una maggiore diffusione di odio, manipolazione e disinformazione, minacciando proprio la libertà che si dichiara di voler difendere.

Competenze digitali per arginare le fake news

L’unica possibile soluzione è come sempre la strada più complessa: quella dell’educazione. Solo cittadini con competenze digitali più avanzate sono in grado di rendersi conto da soli se si trovano davanti a una fake news e persino a un’immagine creata con l’AI o manipolata.

Per questo serve investire sulla formazione, a cominciare dalle nuove generazioni che vivranno un futuro dove gli strumenti per distinguere il vero dal falso saranno sempre più necessari. Secondo il report “Disinformazione a Scuola”, realizzato dai ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in Italia un giovane su tre non è in grado di comprendere correttamente se un contenuto online è veramente affidabile.
Solo formando cittadini digitalmente consapevoli si potrebbe risolvere il problema alla radice: smetterla di informarsi sulle piattaforme social, che sono nate non per essere strumenti di informazione ma di intrattenimento.



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