Il 2025 che si sta avviando chiuderà un quarto di secolo che ha sconvolto la mappa mondiale e si apre con la speranza di tempi nuovi, invocati anche da un Giubileo declinato nel segno della speranza.
Il quarto di secolo che abbiamo alle spalle non era cominciato bene nel 2001 con l’attacco terrorista alle Torri gemelle a New York, dando fuoco alla miccia di molteplici conflitti in Medio Oriente che durano tuttora con il rischio di aggravarsi ancora. E non ci eravamo accorti in tempo allora che da poco era salito al potere in Russia un grigio funzionario ex-sovietico diventato durante questo quarto di secolo un pericoloso autocrate che avrebbe aggredito l’Ucraina.
Altre turbolenze non sono mancate, motivo di speranza all’inizio come le primavere arabe, poi rientrate con un generale indebolimento delle democrazie: entrambe le vicende favorite dall’esplosiva risorsa della digitalizzazione piegata ad usi contrastanti, come più recentemente nel caso della manipolazione dell’informazione, in particolare nel caso delle competizioni elettorali.
L’Unione Europea non sarebbe sfuggita ad attacchi terroristici minori ma di una gravità fino ad allora sconosciuta e comunque tali da indurla a tentare di rafforzarsi da una parte affrontando impegnativi allargamenti a est del continente e, dall’altra, provando a dotarsi di una Costituzione che la avviasse verso un’Unione politica.
Le due iniziative hanno prodotto risultati contrastanti: l’UE ha raccolto attorno al suo progetto di riunificazione continentale una quindicina di nuovi Paesi, ma senza riuscire ancora dopo vent’anni a promuoverne la coesione politica e sociale e esponendosi a inquietanti rischi sul rispetto dello Stato di diritto.
Quanto al progetto di Costituzione europea, affondato da Francia e Olanda nel 2005, molta parte dei suoi contenuti sono riemersi nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore a fine 2009, alla vigilia di una difficile stagione economico e finanziaria per la UE, prima vittima la Grecia e molti altri Paesi soffocati nella morsa delle politiche di austerità . Nella ripartenza a fine del decennio scorso il mondo e l’UE sono incappati nel 2020 nella pandemia da Covid e, nel 2022 e 2023, in due guerre ai suoi confini, tuttora in corso.
Di tutto questo, e di molto altro – come del riuscito ancoraggio all’euro per 20 Paesi UE – bisognerà tenere conto nella valutazione di questi primi 25 anni di questo secolo, senza dimenticare le coraggiose risposte date dall’UE tanto per rispondere alla crisi sanitaria del Covid che a quella economica, in particolare con la creazione di un debito comune a conferma che la solidarietà europea può essere attivata quando si prende coscienza dei problemi.
Problemi che non mancheranno nel secondo quarto di secolo, quando per il 2050 era prevista una neutralità climatica con l’azzeramento delle emissioni di gas serra, un obiettivo che sarà molto difficile raggiungere. Vi si oppone, da una parte, lo scarso coraggio dei governanti nazionali con poca visione di futuro e, dall’altra, la scarsità di risorse finanziarie in gran parte assorbite dalle crisi industriali in corso e, più ancora, dall’impennata della spesa per armamenti.
Di qui le svolte possibili per l’UE: o investire sulla solidarietà e la pace, rilanciando con vigore il progetto di integrazione europea oppure galleggiare, come avvenuto dal 2022, aggrappati alla NATO e al suo azionista di maggioranza, gli Stati Uniti, stretti nella tenaglia commerciale tra la nuova Amministrazione americana e la strategia di accerchiamento della Cina, provvisoriamente a fianco della Russia.
Perché prevalga la prima opzione servirà all’UE molto coraggio collettivo, il problematico ritorno al timone della coppia franco-tedesca alle prese con un difficile anno elettorale, un chiarimento sul ruolo dell’Italia nell’UE, la ricomposizione al Parlamento europeo di una maggioranza progressista e di una linea politica della Commissione europea senza le recenti ambiguità di Ursula von der Leyen e, soprattutto, una diffusa consapevolezza tra i cittadini europei dei rischi che si corrono ad ignorare la gravità della situazione, rinviando alle future generazioni costi da assumere adesso, prima che sia troppo tardi.
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