Carne coltivata, mancano i finanziamenti e la ricerca in Italia non decolla

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La ricerca sulla carne coltivata non si è fermata ma rischia di perdere terreno nella sfida con gli altri paesi. È lo stato d’animo che si respira in un settore sempre più vasto, ad un anno dell’entrata in vigore della legge 172 che stabilisce il “divieto di produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”.

Un approccio contestato con forza da 19 scienziati appartenenti ad istituzioni accademiche italiane e internazionali – tra cui il Politecnico di Torino, l’Università di Roma Tor Vergata e l’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari – che ha pubblicato un articolo sulla rivista One Earth molto critico sulle scelte politiche giudicate antiscientifiche che hanno portato all’approvazione della legge. “Gli effetti più immediati – è l’accusa – sono la carenza di finanziamenti fondamentali per dare sviluppo agli studi che, al momento, sono ancora a livello embrionale”.

Gli studi servono anche per le patologie

L’obiettivo non è solo una revisione della legislazione ma promuovere una battaglia culturale che riesca ad informare i cittadini sulle opportunità che offre questa nuova frontiera. Secondo Diana Massai, docente di Bioingegneria industriale al Politecnico di Torinoè importante essere precisi già nella semantica: quando parliamo di carne coltivata ci riferiamo a cellule di animale coltivate in vitro, è sbagliato parlare di carne sintetica perché non c’è nessuna sintesi chimica”. Un altro punto fermo è spiegare le ricadute positive della ricerca anche in altri settori: “Faccio parte del gruppo di Biomeccanica dei solidi e dei fluidi, mi occupo di bioreattori per la coltura di cellule e tessuti in vitro: si tratta di strumenti per ricreare in vitro l’ambiente più adatto a consentire la crescita di cellule dei tessuti biologici. In ambito biomedicale sono importanti anche per studiare le patologie, ad esempio abbiamo sviluppato bioreattori per coltivare progetti sulle cellule cardiache o sul tessuto osseo in condizioni che replicano gli stimoli fisici presenti in vivo e capire come influiscano questi stimoli sullo sviluppo delle cellule e dei tessuti”.

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Il divieto di commercio allontana i privati

Il confronto con gli altri paesi non depone a favore dell’Italia. Dati raccolti dal Politecnico indicano che nel 2024 nel Regno Unito sono stati stanziati 12 milioni di sterline – si tratta del progetto Carma- in Olanda e Germania sono stati finanziati rispettivamente 38 e 34 milioni di euro per supportare il mondo delle proteine alternative e della carne coltivata. Un caso interessante riguarda la ditta israeliana Aleph Farms, un privato capace di realizzare bioreattori di dimensioni notevoli. “Io auspico il finanziamento pubblico – continua Massai – perché dobbiamo centrare risultati per tutti, non solo per un’impresa. La legislazione italiana, comunque, allontana i privati che non sono stimolati a investire sapendo che non ci sarà un ritorno sul mercato o comunque che il loro investimento sarà osteggiato”.

Sulla stessa linea anche Cesare Gargioli che docente di biologia a Tor Vergata:Il mancato sostegno alla ricerca potrebbe rivelarsi un grave errore che si ripercuote anche in altri ambiti. Faccio un esempio: nel mio laboratorio di ingegneria tissutale lavoriamo alla ricostruzione di tessuto muscolare a scopo terapeutico, abbiamo sviluppato tecnologie poi traslate per la carne coltivata. Bloccare la ricerca scientifica significa non fare decollare tecnologie che potrebbero essere impiegate anche a scopo terapeutico”.

Nonostante le difficoltà, nell’ateneo romano sono in corso esperimenti che potrebbero rivoluzionare l’alimentazione: “A Tor Vergata stiamo lavorando sulla carne coltivata strutturata, ovvero sullo sviluppo di una bistecca mediante la stampa 3D, credo che ci vorranno dai 5 ai 10 anni prima di vederla in distribuzione. Al momento non posso dire se avrà lo stesso sapore di quella tradizionale ma non si può escludere”.

Crescono in rete le petizioni pro libera ricerca

Non è solo dall’università che si chiede una revisione della legge 172, su Change.org una petizione lanciata lo scorso 18 dicembre ha già raggiunto 5 mila adesioni: chiede “ricerca scientifica libera”, “esame da parte dell’Efsa, istituzione dell’Ue con un compito alto e quindi una severità adeguata”, “decisione politica sull’ammissibilità o meno di una o più carni coltivate in Ue” e “liberissima scelta del consumatore”. Il disagio è presente anche nell’ambito dell’imprenditoria che, nonostante non possa coltivare l’obiettivo di approdare al mercato, riesce a restare in attività. È il caso di Bruno Cell, ormai ex start up trentina che si può considerare pioniere di questo settore:  “Un’impresa che si occupa di carne coltivata – spiega l’amministratore delegato Stefano Lattanziè sostenibile se lavora sulla ricerca, non siamo ancora arrivati alla commercializzazione a causa dei costi proibitivi e della tecnologia non matura, ancora non siamo pronti ad andare sul mercato. Pollice verso nei confronti della legge: “Ci siamo opposti alla legge approvata in Parlamento, abbiamo presentato anche nostre obiezioni che non sono state ascoltate. È vero che la ricerca non è vietata ma se resta questo impianto normativo potrebbero esserci conseguenze pesanti per una realtà sempre più vasta, stiamo parlando di ricercatori italiani che collaborano anche dall’estero”.

Raccolta fondi per il primo prototipo di carne coltivata

Se le possibilità di ottenere sostegni in Italia è problematica non resta che cercare sbocchi all’estero: “In altri paesi – afferma Lattanzi – hanno capito che le potenzialità sono enormi, c’è perfino un filone spaziale ovvero si studia la possibilità di utilizzare la carne coltivata, che ha caratteristiche di resistenza superiori a quella tradizionale, per le missioni spaziali: abbiamo già partecipato ad un bando dell’Agenzia Spaziale Europea. Ecco perché è importante una strategia e poter contare su sostegni finanziari affinché l’Italia non resti indietro”.  Anche se non in grado di raggiungere le cifre di cui dispongono i ricercatori del nord Europa, sono da segnalare iniziative che in questo momento potrebbero supportare la ricerca, come la campagna di CultMeat, un crowdfunding promosso dal Politecnico di Torino che grazie al sostegno di 230 persone in sole due settimane ha raggiunto l’obiettivo minimo di 10.000 euro che saranno che saranno utilizzati per isolare le cellule staminali suine e acquistare i materiali necessari per trasformarle in cellule muscolari e produrre il primo prototipo di carne coltivata. La raccolta è poi ripartita per acquistare un piccolo bioreattore, serviranno 20.000 euro: un banco di prova per capire quale livello di sensibilità è stato raggiunto in Italia.



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