I rincari filano via lisci, come l’olio…di oliva. E se lo chiamano oro verde un motivo ci sarà . L’olio extravergine, dopo una leggera flessione a novembre scorso, ha recuperato in pochissimo tempo il terreno perduto riportandosi intorno ai 9,50 euro al litro. Anzi, per la precisione, costa 9,50 al chilo e quindi, in termini di capienza, non si parla di un litro preciso ma di qualcosina in più dal momento che il peso di un litro d’olio è stimato in 916 grammi. Secondo i dati Ismea, un litro, o poco più, d’olio d’oliva extravergine, a dicembre, è costato alle famiglie, in media, 9,45 euro. Il trend rialzista è proseguito anche a gennaio quando, nelle prime due settimane dell’anno, è arrivato a toccare quota 9,50 euro al litro. Prezzi che risultano perfettamente in linea con quanto s’è pagato in (quasi) tutto il 2024, un anno a dir poco record per il costo dell’olio extravergine. La resa della campagna 2024 per le olive da frantoio, presentata a settembre scorso dalla stessa Ismea a Ortigia, nell’ambito del G7 Agricoltura, ha fatto registrare, in Italia, una flessione del 32 per cento. Dovuta, per lo più, al netto dimezzato del raccolto pugliese e alla cattiva annata in Calabria e Sicilia. Problematiche come il cattivo tempo e la siccità si sono andate ad aggiungere alla piaga non ancora del tutto risolta della Xylella e hanno colpito, e non poco, le coltivazioni ed è stato solo grazie alla resa record registratasi in altre zone d’Italia (il Nord e il Centro hanno prodotto rispettivamente il 75% e il 70% in più rispetto al disastroso 2023) se la produzione italiana non è crollata. Al contrario, gli altri Paesi del bacino del Mediterraneo, a cominciare dalla Spagna, con cui l’Italia combatte una guerra più o meno invisibile proprio sull’olio e sulla produzione olivicola, hanno brindato a un raccolto eccezionale che ha consentito ai competitor agricoli italiani di proporre i loro prodotti a prezzi dimezzati rispetto a quelli praticati dalle nostre imprese. Un litro (anzi un chilo) d’olio spagnolo, per esempio, viene venduto a 5 euro. Ma soltanto perché ha subito, negli ultimi mesi, un rincaro repentino perché altrimenti sono stati registrati accordi, in media, a 4,55 euro al kg. Più o meno gli stessi prezzi, e la stessa dinamica, si è vista sul mercato greco dove un chilo o litro d’olio è quotato interno ai 5,5 euro. Più contenuto ancora il costo dell’olio d’oliva in Tunisia, di poco sotto ai 4,5 euro. La questione del prezzo, per i produttori italiani, non va presa sottogamba. Perché adesso, come ha denunciato Confeuro nelle scorse settimane, la filiera rischia il tracollo. I numeri parlano chiaro, quelli proposti dagli analisti di mercato di eToro riferiscono che il prezzo dell’olio d’oliva, in appena otto anni, ha subito un’impennata pari all’83 per cento. Un trend doppio rispetto a quello che ha riguardato la frutta (+42%) e di gran lunga superiore a quello che ha colpito il riso (+51%). A dispetto di questi rincari, però, l’export regge. E, adesso, l’olio d’oliva italiano è sempre più richiesto in Australia e Corea del Sud dove, come ha riferito Brunella Saccone, dirigente dell’Ufficio Agroalimentare dell’Ice all’Ercole Olivario di quest’anno, s’è registrato un aumento di importazione pari rispettivamente al 228% e al 149%. Stando ai numeri Ismea, i Paesi stranieri che importano più olio sono Germania, Francia e Stati Uniti. Almeno per ora, dal momento che c’è lo spauracchio dei dazi che potrebbe, come fa notare il Cerved, ridimensionare l’export italiano e quello dell’olio in particolare. Resta solido, nonostante le sanzioni, anche il mercato verso Russia. A tutto gas le vendite in Brasile, Giappone e soprattutto in Canada mentre i consumi e gli acquisti massicci dalla Spagna hanno fatto storcere il naso agli operatori poiché si temevano importazioni massicce per miscelare oli da rivendere ulteriormente.
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