Omicidio a Capannori: Svolta nelle indagini sulla morte di Kaja Artan, trovato senza vita alla Smurfit Kappa

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CAPANNORI. Altro che malore o incidente sul lavoro come in un primo tempo ipotizzato dagli inquirenti. È stato un colpo di pistola alla testa a uccidere martedì sera intorno alle 18,30-19, Artan Kaja, 52 anni, origini albanesi, titolare di una piccola ditta di movimentazione merci impegnato in una delle più importanti aziende della Piana, la cartiera Smurfit Kappa in via Pesciatina a Lunata, dove prestava i suoi servizi come terzista, con il compito di movimentare il pallet.

L’omicida – sottoposto a fermo di polizia giudiziaria – è un cinquantenne connazionale, residente a Capannori, ex autotrasportatore. Dai primi riscontri sembra che un paio di mesi fa il camionista, poi licenziato dall’azienda per cui lavorava, avrebbe avuto un acceso diverbio per motivi di natura personale, probabilmente legato alla gelosia, con l’imprenditore conosciuto da tutti come “Tony”, il nome che aveva dato alla sua impresa individuale (la “Tony Service”). È stato lo stesso albanese a presentarsi mercoledì mattina ai carabinieri del nucleo investigativo con una frase sibillina: «Sono io la causa della morte di Artan».

E con il passare delle ore l’ipotesi che si trattasse di un mitomane o di una persona che volesse depistare le indagini – orientate in un primo momento, non appena rinvenuto il cadavere del piccolo imprenditore, sul malore o l’incidente sul lavoro – sono via via scemate grazie alle verifiche dei militari nelle 48 ore successive all’evento luttuoso sul luogo del crimine.

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L’omicidio premeditato

L’assassino avrebbe agito per vendetta convinto che la causa del suo licenziamento fosse da attribuirsi proprio al pesante diverbio avuto un paio di mesi fa con Kaja, l’unico ad avere rapporti stretti con gli autotrasportatori che scaricano i pancali sul piazzale dell’azienda.

Dal racconto fornito ai militari – sapendo che la zona in cui solitamente stazionava il connazionale era sprovvista di telecamere – l’assassino ha scavalcato il muretto che confina con il cimitero di Lunata. Poi, senza far rumore, si è avvicinato al ricovero del muletto – provvisto di tettoia e cancelletto – e nell’oscurità ha atteso che Kaja fosse solo per sparargli in testa. L’arma, che al momento non è stata recuperata, sarebbe stata gettata in una grande cesta prima che l’autore del delitto si allontanasse, sempre con l’ausilio delle tenebre, dalla stessa parte e nello stesso modo in cui era arrivato. E mercoledì mattina i carabinieri della scientifica hanno eseguito un sopralluogo seguendo le indicazioni del presunto omicida e riscontrando effettivamente impronte delle scarpe e altri elementi probatori che coinciderebbero con il racconto fornito dall’ex autotrasportatore albanese.

E probabilmente è stata recuperata l’ogiva del proiettile. La zona indicata è stata posta sotto sequestro e il cassone dove si trovava della carta non è stato svuotato per consentire il ritrovamento dell’arma che, tuttavia, stando ai carabinieri non è stata ancora recuperata. In considerazione degli elementi probatori raccolti il pm Lucia Rugani ha chiesto il fermo di indiziato di reato nei confronti del cinquantenne albanese che adesso dovrà essere interrogato dal giudice delle indagini preliminari.

Altre ipotesi e l’autopsia

Che qualcosa non tornasse lo si era capito subito dopo il ritrovamento del cadavere dell’imprenditore avvenuto dopo le 20 di martedì 7 gennaio dalla moglie Aurora, addetta alle pulizie dell’azienda, che l’aveva rinvenuto a terra in una pozza di sangue e lontano dal muletto già parcheggiato nel ricovero tra le cataste di pallets che utilizzava per spostare i pianali di pancali. C’era tanto sangue, troppo per giustificare le due ipotesi prese in esame nell’immediatezza dai volontari del 118 e dai carabinieri: il malore improvviso, anche se apparentemente Kaja non aveva particolari problemi di salute, con l’uomo che cade e sbatte pesantemente la testa sull’asfalto senza difesa o, in alternativa, l’incidente sul lavoro sul lavoro con l’albanese salito, per qualche inspiegabile motivo, sui pancali o sulla tettoia di copertura del deposito del mezzo meccanico e precipitato giù senza difesa. Tutto tremendamente strano. Compresa la singolare presenza, fuori dai cancelli della fabbrica, di una quarantina di albanesi.

Evidentemente qualcuno sapeva o aveva intuito che qualcosa di grave extra lavoro era accaduto. Per avere contezza delle lesioni alla testa riportate dalla vittima lunedì mattina il magistrato conferirà l’incarico di eseguire l’autopsia all’obitorio dell’ex Campo di Marte al medico legale Ilaria Marradi. Soltanto allora sarà più chiara la dinamica del delitto. 



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