La decisione della Corte costituzionale blocca il referendum sull’autonomia regionale differenziata, la legge 86 del 2024, creando una difficoltà all’ampio movimento unitario, sociale e politico, cresciuto con un lavoro di anni fino ad essere temuto dal ministro Calderoli e dal governo. È purtroppo una battuta d’arresto per il lavoro che puntava a informare e coinvolgere ancora di più le persone durante la campagna per il referendum abrogativo, parte di un pacchetto di referendum di cui cinque ammessi.
Ci impegneremo comunque tutti a sostenere gli altri cinque referendum e individueremo nuove modalità per proseguire il contrasto alle scelte del governo che ha voluto e fatto approvare la legge 86. Dal blocco del referendum non consegue la rinuncia a contrastare la legge Calderoli, anzi le dichiarazioni del neopresidente della Corte Amoruso incoraggiano ad incalzare il governo, le scelte inaccettabili che ha portato avanti con la sua legge anche senza il referendum. Il presidente Zaia se ne faccia una ragione.
La Corte costituzionale va ovviamente rispettata ma le decisioni possono essere criticate nel merito. Era già intervenuta sulla legge Calderoli con una pesante sentenza (la 192 del 2024) dichiarando l’incostituzionalità di sette punti, riscrivendone altri cinque e ricordando che la Corte vigilerà sui nuovi testi legislativi e sulla loro attuazione – come ha ricordato Amoruso – pur non arrivando a dichiarare incostituzionale l’intera legge. Malgrado la pesante sentenza della Consulta, il governo e la maggioranza non ne hanno tratto la conseguenza logica di tornare in parlamento con una nuova proposta.
on risulta che la Corte abbia tenuto in conto l’argomento del collegamento della legge 86 a quella di bilancio. Ha invece bocciato il referendum abrogativo perché ha ritenuto di non facile comprensione il quesito sottoposto a referendum, che poteva prefigurare indirettamente un coinvolgimento dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione. Ne saranno rimasti stupiti i 25 magistrati della Cassazione che hanno invece ritenuto ammissibile il referendum il 20 dicembre non solo per il numero delle firme (un milione e 291.248) ma perché hanno giudicato trasferibile il quesito dalla legge 86 al testo come modificato dalla sentenza della Corte.
Va sottolineato che la Cassazione ha scritto, alla fine della sua sentenza di ammissibilità, il nuovo testo del quesito referendario abrogativo sulla legge 86/24 indicando con chiarezza che si riferiva al testo della legge come modificato dalla Corte costituzionale.La Corte costituzionale non sembra avere tenuto conto della sentenza della Cassazione, dando l’impressione che la non ammissione del referendum risalga al momento della sentenza 192.
In una conferenza stampa l’ex presidente Barbera aveva affermato che pesano ancora nelle discussioni sulla Costituzione opinioni fondate sul timore del tiranno, che potrebbe essere ritenuto superato. Ovviamente la nostra Costituzione è coerente con un’Italia da rinnovare dopo la dittatura, ma con tutto il rispetto, l’avvento di Trump e dei super ricchi al governo degli Usa dice il contrario, come ha denunciato anche Biden prima di lasciare. Le democrazie corrono il serio rischio di assomigliare alle esecrate autocrazie.
Un altro timore sembra avere influito sulle decisioni: e cioè che un referendum popolare possa destare preoccupazione, essere un elemento divisivo del paese. A parte il rovesciamento delle responsabilità, visto che il referendum propone di abrogare qualcosa fatto da altri, in sostanza è una reazione: le democrazie, Italia compresa, hanno una crisi di credibilità e di partecipazione democratica alle scelte politiche, con un aumento dell’astensionismo elettorale, di caduta della partecipazione, di allontanamento dalle istituzioni democratiche. I referendum possono contribuire a riportare elettrici ed elettori a partecipare e a decidere, guardare con preoccupazione a questa forma di partecipazione democratica è un errore che può costare caro alla democrazia.
È curiosa l’affermazione che il quesito avrebbe finito per diventare un giudizio sull’art. 116, visto che la Consulta ha ristretto l’area delle materie che sarebbero devolvibili alle regioni, togliendo commercio estero, ambiente, energia, porti, aeroporti, reti, istruzione, professioni, modificando di fatto l’art. 117 della Costituzione. Vigileremo sull’attuazione delle modifiche imposte con la sentenza 192, segnalando alla Corte le forzature, con un attento monitoraggio, per evitare distrazioni della Corte costituzionale. Un controllo popolare dal basso non può che far bene a tutti.
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