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Cosa fanno gli Usa (dopo i dazi) per portare aziende italiane a casa loro: incentivi, sgravi fiscali, contributi


di
Rita Querzè

A maggio aziende invitate a Washington per valutare se aprire sedi a stelle e strisce. Confindustria: troppe produzioni a rischio fuga

Microcredito

per le aziende

 

Bastone e carota. Il bastone sono i dazi al 20%. La carota le agevolazioni e gli sgravi previsti dagli Stati Usa per le imprese italiane che spostano le produzioni oltreoceano. Sia chiaro: il piano SelectUsa per incentivare gli insediamenti di aziende straniere  c’è dai tempi di Obama. Ma l’amministrazione Trump ha dato un’accelerata. A marzo si sono tenuti una serie dei incontri in tutt’Italia. I principali: il 18 a Treviso, il 19 a Bologna, il 20 a Milano e il 21 a Napoli. Il tutto con il supporto di AmCham, la Camera di commercio americana in Italia. Agli incontri hanno partecipato le organizzazioni per lo sviluppo economico dei diversi Stati a stelle e strisce. Il gran finale sarà dall’11 al 14 maggio, con gli imprenditori italiani invitati a Washington

L’incontro a Washington

«Potrà partecipare chi ha già un progetto da sviluppare negli Usa — spiega il consigliere delegato di AmCham Simone Crolla —. Durante questo evento si potranno fare confronti e capire quale è il contesto più vantaggioso per impiantare la propria impresa. Saranno presenti in pratica tutti gli Stati, dall’Alabama al Wisconsin. Di fatto in concorrenza tra loro nell’offerta di incentivi, dalla formazione del personale, al taglio delle tasse per i primi anni, fino ai contributi a fondo perduto».
L’anno scorso la delegazione italiana era formata da una trentina d’imprenditori ma oggi quelli interessati (le iscrizioni sono ancora aperte) risultano molti di più. D’altra parte Trump ha appena calato l’asso: dazi che per molte aziende mettono a rischio una preziosa quota di export ad alta marginalità. Di cui è difficile fare a meno.




















































Lo ha detto chiaro  la stessa Confindustria: «Il rischio è la fuga di aziende e capitali negli Usa». Il presidente esecutivo di Pirelli Marco Tronchetti Provera ha spiegato che «l’amministratore delegato e un nostro team sono ad Atlanta per avviare delle discussioni per aumentare la nostra capacità produttiva negli Usa». «Stiamo facendo un lavoro di valutazione per capire se una parte di quanto vendiamo sul mercato Usa può essere prodotto lì, negli Stati Uniti», ha detto a inizio settimana l’amministratrice delegata di Illycaffè Cristina Scocchia. Aggiungendo: «Speriamo che non sia necessario». Prysmian ha approvato un investimento di circa 245 milioni in Nord America per potenziare la produzione di cavi di media tensione. Il gruppo dell’alimentare Granarolo intende ampliare lo stabilimento nel Connecticut e raddoppiare la produzione. Stesso discorso per Lavazza, che ha annunciato di voler accelerare gli investimenti a Filadelfia.

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Ma il cambiare idea di Trump non dà fiducia

Poi ci sono tutte medie imprese che sorreggono l’economia del Paese. «Non escludo nulla — dice Cristina Piovesana, presidente e amministratrice delegata di Alf group spa, realtà veneta nel settore dell’arredo —. I dazi Usa hanno un impatto su una realtà come la nostra che esporta per 70% del fatturato. Ma la scelta di spostare un pezzo di produzione negli Usa ha anche molti rischi: viene a mancare l’ecosistema della filiera, per dirne una. Per non parlare del personale: oltreoceano non ci sono le stesse competenze che abbiamo qui». Vie d’uscita? «Il problema va affrontato alla radice, l’Europa deve riprendere la sua strada verso una maggiore integrazione. Strada che si è interrotta nel momento in cui non venne approvata la nuova costituzione».
Il primo Paese per l’export dell’Emilia Romagna sono gli Stati Uniti. «Dopo gli incontri dei mesi scorsi, qui molti imprenditori si fanno domande — constata il presidente di Confindustria Emilia Centro Valter Caiumi —. Ma portare un pezzo di produzione all’estero non è un’operazione che si fa a cuor leggero. Molti stanno aspettando. Anche perché non si fidano di Trump e del suo cambiare idea nel volgere di poche ore. Nessuno vuole rischiare un investimento sbagliato. E c’è anche chi confida nel fatto di avere prodotti, per esempio nell’ambito delle macchine utensili, che gli americani non potranno sostituire così facilmente».

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