Salvini, la giornata di passione (al telefono): caos treni? È stata anche la sfortuna

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di
Marco Cremonesi

Bufera sul ministro dopo il caos dei treni bloccati a Milano che ha provocato ritardi in tutta Italia. Il capo leghista chiama in causa i lavori per il Pnrr

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Il buongiorno si vede dal mattino, proprio come le giornatacce. Il cellulare di Matteo Salvini comincia a ronzare pochissimi minuti dopo le 7 del mattino. Il disastro, a quell’ora, non è ancora conclamato: il pantografo di un primo treno ad alta velocità ha già danneggiato la linea aerea che fornisce l’energia a tutta la tratta.

Il rischio per la circolazione, però, è già ben presente. Praticamente da subito. E quando un secondo treno completa il danno ai cavi sospesi, la mobilità ferroviaria è compromessa. Da Nord a Sud e per lunghissime ore. Complice anche «l’imbuto di Firenze» che non consente di smaltire i ritardi con la velocità necessaria. E «proprio per questo — sottolineano persone vicine al ministro — è stato aperto un cantiere 2.7 miliardi».




















































Alla fine, Salvini condivide con i suoi un’analisi sintetica che si può riassumere così: «La rete è fragile, il Pnrr ha imposto tappe forzate» e soprattutto ha giocato un ruolo decisivo il «nemico invincibile», la jella. Che in realtà il ministro dei Trasporti con i suoi ha indicato con la parola ben più comune: «Sfiga».

Sì perché il punto in cui l’incidente si è verificato non era quelli in cui la manutenzione risale a decenni addietro. Era, al contrario, di recente ammodernamento. Anche per questo, Salvini ha chiesto alle Ferrovie se sia possibile escludere il dolo, sabotaggi o quant’altro. Ma così non è. E dai primi accertamenti anche la Polizia ferroviaria pare escluderlo.

E dunque al leader leghista non resta che monitorare la situazione con telefonate ininterrotte ai collaboratori. a cui si aggiungono, con il passare delle ore, quelle allarmate provenienti dai dirigenti leghisti che di solito attendono le sue dichiarazioni per regolarsi su che cosa dichiarare a loro volta. Ma la domanda: «Che cosa dobbiamo dire?» continua a risuonare a lungo senza risposta. 

Poi Salvini decide che non ci sarà alcuna sua dichiarazione: «Quando si verifica un incidente sul lavoro in qualsiasi cantiere pubblico — spiega una persona vicinissima al leader della Lega —, non è che possa risponderne il ministro». La raffica di richieste di dimissioni che partono, con toni diversi ma spesso irridenti dalle opposizioni, non fanno che confermare Salvini nella sua convinzione, proprio per non dare soddisfazione ai critici. La parola che si sente risuonare più spesso tra i vicini al ministro è «sciacallaggio».

E così, già diverse ore dopo l’incidente, si decide per la risposta convenzionale in tutti i momenti di crisi: rispondono non Salvini ma i salviniani. Intervengono prima i deputati leghisti della commissione Trasporti, poi i senatori della stessa commissione. Infine, sul piano istituzionale, il ministero di Porta Pia. Infine, «fonti leghiste».

Al di là dell’imprevedibilità di un incidente là dove non si sarebbe atteso, i salviniani ammettono che il traffico ferroviario sia sotto stress. Il tasto è lo stesso che si batte continua dalle giornate critiche della scorsa estate: «Ci sono 1.200 cantieri aperti, stiamo facendo lavori che non si facevano da decenni». Ma il dare il via a troppe opere su una rete cruciale in cui i passeggeri continuano comunque ad aumentare non è, come minimo, un errore di programmazione? Secondo i salviniani, più che altro, la programmazione è stata obbligata: «Il Pnrr — spiega una fonte vicina al segretario — con le sue tappe forzate e verificate sia per la programmazione che per la realizzazione ha imposto di aprire moltissimi cantieri tutti insieme per evitare di perdere le risorse disponibili». Insomma, senza il piano di ripresa i 1.200 cantieri probabilmente non sarebbero stati aperti tutti insieme.

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12 gennaio 2025 ( modifica il 12 gennaio 2025 | 07:32)

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