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L’Unione Europea sta attraversando una fase di profonda trasformazione nella sua politica estera e di difesa, con decisioni che potrebbero alterare significativamente il suo ruolo sulla scena internazionale.
Tra queste, la scelta di affidare due incarichi chiave a rappresentanti di paesi baltici – notoriamente caratterizzati da un acceso antagonismo nei confronti della Russia – solleva molte perplessità. Kaja Kallas, ex premier estone, è l’Alta Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, mentre il lituano Andrius Kubilius ha assunto la responsabilità del portafoglio Difesa e Spazio.
Due figure che, con la loro storia personale e le loro dichiarazioni, non fanno che esacerbare le tensioni con Mosca e di orientare la politica europea verso una linea dura, basata sul riarmo e sul confronto più che sulla diplomazia.
Europa a guida baltica
L’assegnazione di ruoli cruciali a due figure con un forte passato anti-russo non è casuale. Kaja Kallas, ad esempio, è nota per la sua intransigenza nei confronti di Mosca, tanto da essere attualmente ricercata dalla polizia russa. Durante il suo mandato in Estonia, ha promosso la demolizione di monumenti dedicati ai soldati russi caduti nella Seconda Guerra Mondiale, un gesto simbolico che ha alimentato ulteriormente l’attrito con la Federazione Russa.
Dal canto suo, Kubilius è considerato uno dei più accesi avversari di Vladimir Putin e ha il compito di accelerare la costruzione di un complesso militare-industriale europeo. Il suo mandato prevede lo sviluppo di un programma di riarmo comune finanziato da Bruxelles, attraverso l’emissione di Eurobond per la Difesa.
Questo progetto comporterà investimenti miliardari nella produzione di armamenti, con la prospettiva di un’Europa sempre più militarizzata e meno incline a percorrere la strada della diplomazia.
Effetto Trump
La spinta verso una politica di difesa più aggressiva da parte dell’UE non può essere scollegata dalle dinamiche geopolitiche globali. La progressiva riduzione dell’impegno statunitense nella sicurezza internazionale, soprattutto con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ha creato un vuoto che l’Europa si sta affrettando a colmare.
Washington ha chiarito che non intende più sostenere da sola i costi della sicurezza globale, lasciando agli alleati europei l’onere di rafforzare le proprie capacità difensive. Questa prospettiva ha contribuito ad accelerare la corsa al riarmo nel Vecchio Continente, con il rischio di spese militari ingenti che graveranno sulle economie nazionali.
Un punto fondamentale del dibattito riguarda l’effettiva portata della minaccia russa. L’UE sta procedendo con una politica di riarmo massiccio, giustificandola con la necessità di difendersi da un’ipotetica invasione russa (ricordiamo Severgnini dichiarare in tv che bisognava fermare Putin sennò sarebbe arrivato a Lisbona). Ma questa isteria bellica non viene mai spiegata: perché Mosca dovrebbe invadere l’Europa?
A gettare ulteriore benzina sul fuoco è il think tank statunitense Stratfor, secondo cui il vero pericolo non è un’invasione russa dell’Europa, ma un’intensificazione delle operazioni di sabotaggio e destabilizzazione.
Mosca, secondo Stratfor, potrebbe colpire infrastrutture energetiche critiche e condurre campagne di spionaggio per mettere in difficoltà gli stati europei. Tuttavia, questa strategia non giustifica un’escalation militare su larga scala, ma piuttosto un rafforzamento delle capacità di sicurezza interna.
Dunque, affidare la politica estera e di difesa ai due esponenti baltici è una mossa tafazzista che potrebbe inoltre rivelarsi un fardello economico insostenibile per molti paesi membri.
Ll’Europa sta perseguendo una strategia razionale e sostenibile, o sta semplicemente obbedendo al padrino d’Oltreoceano, lasciandosi trascinare in azioni che rischiano di compromettere la sua sicurezza e la sua economia?
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