Si è tolta la vita in ospedale mentre era ricoverata presso il reparto di alta vigilanza di psichiatria del Ca’ Foncello. Daniela (il nome è di fantasia) avrebbe utilizzato un cordino di cotone lungo un metro e mezzo, legato intorno al collo, di cui però nessuno sa spiegarsi la provenienza. La Procura di Treviso, che aveva aperto un fascicolo ipotizzando l’omicidio colposo, ha chiesto però l’archiviazione. Il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha giudicato il fatto come un “evento imprevedibile”. Per ragioni di economia processuale ha deciso che l’identificazione del personale che ebbe in cura la paziente non sia necessario. In più, secondo quanto stabilito dalla Riforma Cartabia, non ci sarebbe una “ragionevole previsione di condanna nei confronti dei medici che si occuparono del caso”. Una tesi questa duramente contestata dal legale della famiglia, l’avvocato Jenny Lopresti, che ha presentato una documentata opposizione all’archiviazione. Il gup Carlo Colombo si è messo in riserva e una decisione è prevista non prima di dieci giorni.
Daniela, 50enne residente in un comune dell’hinterland, era in cura dal suo medico di base fin dal 2019 per quella che era stata diagnosticata come una forma depressiva. Le ragioni del suo malessere risiedevano nella convinzione che il marito, da cui si sentiva trascurata, avesse una relazione extraconiugale. Il 4 febbraio di quest’anno l’uomo aveva telefonato ai carabinieri. «Venite, mia moglie si vuole suicidare». La donna aveva cercato di mettere in atto un tentativo di autolesionismo tagliandosi i polsi. Nel caos che ne era seguito avrebbe ferito anche l’uomo.
Daniela viene ricoverata nel reparto di alta vigilanza di psichiatria a Treviso. All’inizio non è per nulla collaborativa con i medici, ai quali rifiuta di dare spiegazioni sulle sue intenzioni. E’ ostile e si trincera dietro ad un silenzio impenetrabile, accompagnato da segni di squilibrio che costringono i sanitari all’immobilizzazione.
Il giorno prima della tragedia la donna avrebbe nuovamente tentato il suicidio tagliandosi nuovamente i polsi con uno strumento che non si sa dove sia stato reperito. Di quell’evento non c’è però traccia nella cartella clinica ma è presente soltanto in una annotazione nel diario giornaliero. Passano ventiquattro ore , intorno alle 13.50, Daniela, che nel frattempo non era più sottoposta alla immobilizzazione, va in bagno dove la troveranno strangolata con un cordino di cotone di cui non si riesce a stabilire la provenienza. Tanto più che nel padiglione in cui si trovava non sarebbero stati ammessi oggetti che potrebbero dì facilitare il compimento di ulteriori autolesionistici.
I consulenti della difesa, Carlo Schenardi e Alberto Kirn, rilevano come nella procedura di prevenzione del suicidio del paziente ospedalizzato è necessario procedere, ciascuno secondo le proprie competenze, ad una precisa anamnesi creando un clima che favorisca la comunicazione tra operatori e paziente. Sottolineando che i primi giorni di ricovero sono quelli più a rischio e che la presenza di un secondo tentativo suicidiario, come quello compiuto da Daniela il giorno prima, appare come un chiaro segnale di allarme da prendere in considerazione.
Il 14 marzo, un mese e mezzo circa dopo la morte, il pubblico ministero formula la richiesta di archiviazione ritenendo come non fossero emersi propositi suicidiari durante la degenza tali da far aumentare la sorveglianza. «Ma questo – lamenta l’avvocato Lo Presti – non corrisponde al vero, se si pensa all’episodio registrato il giorno prima. Nessuna indagine è stata espletata circa la provenienza del nastrino né tanto meno nessuna domanda è stata rivolta al personale medico e soprattutto al responsabile della sicurezza. Quel pezzo di stoffa non era nella disponibilità della 56enne, da dove sia saltato fuori resta un mistero».
Nel contempo il legale chiede che venga disposta l’imputazione coatta di quattro infermieri e tre operatori socio sanitari, di tutti i medici in servizio nel corso della notte precedente al suicidio, del responsabile della sicurezza del reparto e di chi avrebbe dovuto controllare le borse dei familiari di Daniela.
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