Quindici milioni di bottiglie da un litro commercializzate l’anno, trend di crescita costante del 10%: i numeri dell’Olearia Clemente sono di una consistenza inequivocabile e indicano la strada verso un’espansione di mercato, soprattutto all’estero, avendo l’azienda manfredoniana allacciato canali commerciali molto importanti con la Cina. Oggi l’olio Clemente si può trovare, oltre che regolarmente sugli scaffali della Grande distribuzione organizzata, anche all’estero: fece un certo scalpore, qualche anno fa, la collaborazione con il gruppo Alibaba e con la catena di supermercati premium “Freshippo”. Un’operazione che oggi l’azienda di Manfredonia conta di riattivare dopo il black-out dovuto al Covid. Le olive dell’olio Clemente vengono raccolte su una superficie di oltre 500 ettari, in gran parte nel nord della Puglia. «Oggi siamo un’azienda protagonista nel comparto dell’olio extravergine in Italia, siamo in grado di competere con i big del mercato», risponde in questa intervista concessa in esclusiva a “l’Immediato”, Dino Clemente, responsabile marketing. I produttori Clemente sono alla quinta generazione: centoventi anni di storia racchiusi in un claim tanto semplice quanto immediato: “Clemente l’olio buono veramente”.
Un’azienda di antica tradizione, un secolo d’impresa e il grande salto nel mercato che conta che risale a una ventina di anni fa. Cosa è cambiato?
«Nel 2001 i fratelli Clemente (Michele amministratore delegato, Antonello responsabile della produzione) decisero di spostare il quartier generale dell’azienda di famiglia nel nuovo stabilimento industriale alle porte di Manfredonia, potendo contare su nuovi spazi e un ampliamento della logistica che ha permesso di allargare la rete commerciale. È stata così acquisita la consapevolezza che si poteva e doveva fare di più per crescere sui mercati. Sono arrivati dunque i risultati che ci hanno permesso di tagliare traguardi importanti: Olearia Clemente è stata per due anni di seguito, 2021 e 2022, l’azienda che ha commercializzato l’olio al 100% italiano più venduto nel nostro paese. È stato un traguardo non facile da raggiungere, ricordo che parliamo di un settore dalla competizione altissima, una commodity tra le più competitive che per essere tale molto spesso bisogna duellare sul prezzo anche per pochi centesimi di differenza».
Avete migliorato in questi anni il volume di produzione e aumentato le vendite, è più importante allargare la distribuzione commerciale o elevare la qualità di un prodotto spesso impunemente contraffatto da produttori senza scrupoli?
«Abbiamo avuto la possibilità in questi anni di affinare il nostro sistema produttivo, già oggi possiamo contare su una rete di produttori/conferitori di olive già molto estesa sul territorio pugliese, compresa in una fascia dal Gargano al Nord Barese. Facciamo affidamento proprio su questa nostra forza propulsiva per aumentare il livello sia qualitativo che quantitativo dell’olio che produciamo, cercando comunque di mantenerci su prezzi altamente concorrenziali e competitivi in una fascia di qualità».
Per due anni di seguito è stata l’azienda che ha venduto più olio in Italia
Trovare la convenienza nella stessa bottiglia di qualità è un’impresa ardua quando si parla di olio, non crede?
«Non siamo ovviamente un piccolo frantoio, non siamo neanche la classica azienda industriale che vende il suo blend in bottiglia e ne cura di più la confezione per attrarre i consumatori. Ricordo che l’Italia è la culla della manifattura e che alcune aziende confezionatrici che vendono olio sono situate in regioni come l’Emilia Romagna e l’Umbria in cui c’è scarsa materia prima. Da parte nostra c’è la voglia di crescere e di conquistare nuovi mercati, certi obiettivi non si raggiungono mettendo in bottiglia un prodotto scadente. Devo dire che avverto la stessa sensazione osservando il trend di altre aziende del settore specie al Sud. C’è voglia di crescere e di affermarsi sui mercati proprio perchè l’olio è un tipo di alimento che non si improvvisa. E il consumatore questo lo sa».
La vostra è un’azienda ibrida, a conduzione familiare ma con aspirazioni più globali per governare l’espansione del mercato all’estero. A che punto del percorso siete?
«Produciamo 15 milioni di bottiglie in media l’anno, con una crescita stimabile intorno al 10% da un raccolto all’altro. Numeri che riteniamo di poter raggiungere a conclusione della campagna olearia 2024 nella quale la produzione di olive si è notevolmente ridotta a causa del cambiamento climatico. Siamo un’azienda in crescita, abbiamo superato il muro dei 70 milioni di fatturato. Un segnale incoraggiante direi, in un mercato che invece decresce a doppia cifra. Ed è questo il segnale che più ci conforta. Stiamo facendo bene, ma questo significa che continuiamo a mettercela tutta nel nostro lavoro, perché c’è dedizione e passione in quello che facciamo. Non parlo soltanto dei titolari d’azienda ovviamente, ma dei nostri collaboratori, di tutti i fornitori e di tutte le aziende che lavorano con noi per la buona riuscita dell’olio prodotto. Se mi guardo indietro e ricordo i sacrifici affrontati dalla nostra famiglia per arrivare a questo punto non possiamo che essere soddisfatti».
Ma il mercato dell’olio accusa qualche colpo, secondo lei da cosa dipende?
«L’aumento del prezzo della materia prima è la prima ragione. Oggi i mercati sono fortemente connessi, parliamo di un sistema globale. Oggi questa interconnessione genera reazioni a catena: se la siccità colpisce la Spagna, ovvero il principale produttore di olio in Europa e immette di conseguenza i 2/3 di prodotto in meno sul mercato, può verificarsi un naturale e immediato aumento dei prezzi su tutta la produzione degli altri paesi e nei punti vendita. E contestualmente la domanda può scendere. Perchè si consuma meno olio per risparmiare, la maggior spesa implica un consumo più centellinato dell’extravergine acquistato. Oppure si vira verso i prodotti sostitutivi: l’olio di semi di girasole, oppure l’olio raffinato anche se parliamo di prodotti più grassi».
“Produciamo 15 milioni di bottiglie in media l’anno, con una crescita stimabile intorno al 10%”
Una bottiglia di olio di qualità costa intorno ai 15 euro a litro. Anche nella patria della dieta Mediterranea aumenta il consumo dell’olio di semi?
«Il mio esempio riguarda l’Europa nel suo complesso. In Italia siamo su percentuali più contenute riguardo al consumo alternativo di altro genere di olio. E’ stato bello anzi rilevare come nel nostro paese il decremento dei consumi sia stato rilevato in misura proporzionalmente molto ridotta. L’olio extravergine di oliva resta il primo alimento della dieta nazionale».
All’estero invece com’è andata?
«C’è stato un impatto molto più forte. Sulle vendite in Germania, ad esempio, è stato registrato un calo notevole di vendite di olio extravergine, l’aumento dei prezzi alla bottiglia ha fatto convergere la popolazione verso altro genere di sostituivi più tradizionali nella dieta dei paesi nordici come l’olio di semi, ma anche il burro».
Torniamo sulla vostra struttura aziendale, quali i livelli occupazionali dell’azienda Clemente?
«Abbiamo trenta dipendenti fissi, a mio avviso ancora pochi rispetto alle molteplici attività che svolgiamo. Sulle attività di frantoio, durante il periodo settembre-gennaio, facciamo affidamento su una forza lavoro stagionale: dalle squadre addette alla raccolta, all’attività di frantoio vera e propria sulla quale abbiamo un’altra quarantina di addetti nel periodo specifico di raccolta e produzione».
La vostra rete di vendita si estende ampiamente all’estero, dove si consuma maggiormente l’extravergine?
«I nostri principali mercati sono Cina, Giappone, Stati Uniti. Parliamo di paesi dove non si è mai radicata una vera cultura dell’olio, in fondo non ce n’è mai stato. Ma oggi che viene distribuito i consumatori continuano a richiederlo. Credo che al di là delle qualità riscontrabili sulle papille gustative, il consumo dell’olio si diffonda in quei grandi paesi perchè accompagnato da buone referenze salutistiche: le qualità organolettiche dell’extravergine sono riconosciute, si è portati a pensare che l’olio faccia bene alla salute. Questo crea una domanda, ma non solo: il made in Italy continua a fare la differenza sui mercati, nella dieta Mediterranea l’olio è il grasso più nobile».
“I nostri principali mercati sono Cina, Giappone, Stati Uniti”
Sulle vostre etichette compaiono i nomi di eroi epici: Achille, Ulisse, Elena. Il restyling del marchio da lei voluto e curato prende spunto dalla sua esperienza in Ferrero?
«Un po’ sì. E’ stata un’esperienza bellissima, ero un fan di quell’azienda considerata in tutto il mondo tra i principali motori del made in Italy. La forza di Ferrero è stata quella di considerare ogni prodotto un’azienda a sè stante e dunque di pensare a tecniche di marketing, di promozione specifiche per ogni tipo di brand: io ero concentrato sul marchio dei Ferrero Rocher, per qualche tempo mi sono occupato anche di Kinder Natale».
Come si passa dal fare marketing per un prodotto di largo consumo come il cioccolato, ad un altro considerato più di nicchia anche se riconosciuto da un italiano su due?
«Dal cioccolato all’olio cambia l’esigenza del consumatore. Il cioccolato non sarà mai un prodotto di nicchia, si compra a prescindere anche senza prima averlo scritto nell’elenco della spesa. E’ il classico acquisto d’impulso, se lo vedo lo voglio comprare. Dipende dalla sua collocazione, se è posizionato meglio rispetto agli altri prodotti in commercio: la sua strategia è nel punto vendita».
Quindi dovrebbe essere più facile vendere l’olio?
Risponde Michele Clemente, amministratore delegato dell’azienda: «E’ certamente più difficile vendere il cioccolato: dal packaging, al posizionamento ci sono tante accortezze da utilizzare. L’olio è considerato un prodotto essenziale, un po’ come il pane. Ma tradizionalmente non trasmette, a chi lo lavora, la minima percezione di una crescita commerciale. Noi abbiamo cercato di andare oltre questa visione d’impresa, abbiamo dedicato un ufficio marketing a questo proposito su impulso di Dino, mio figlio. Forse noi non ci avremmo pensato. L’olio è così radicato nel consumo che sembra superfluo doverlo promuovere. In realtà ci stiamo oggi accorgendo delle sue potenzialità commerciali al di là dell’uso standardizzato che se ne fa».
Sarà pure un prodotto essenziale, ma il consumatore ne fa comunque una questione di prezzo oltre che di qualità. Per voi cosa significa essere competitivi?
«Da sempre ci siamo preoccupati di fornire il miglior olio possibile a tutti». Riprende Dino: «Innanzitutto significa essere bravi a fare produzione, noi siamo un po’ una mosca bianca nel settore, non è facile conciliare artigianalità con un prodotto industriale. Ci sono aziende che fanno economie di scala che però non hanno le mani in pasta nella produzione. Questo significa riversare sul prodotto finale risparmi di costo e dunque vendere a prezzi più convenienti. Noi siamo in una via di mezzo, essere produttori per noi significa avere ogni giorno le mani in tutte le fasi della produzione, essere competitivi per noi significa avere alle spalle una disponibilità sufficiente di quella quota di prodotto da trasformare».
Significa anche avere contatti diretti con i conferitori delle olive, essere voi stessi produttori di materia prima?
«I nostri conferitori sono per lo più agricoltori da 10-20mila piante e qualcuno anche più, l’Italia è sempre stato un paese frammentato di medie e piccole aziende. E abbiamo anche produttori più piccoli. In Spagna, al contrario, ci sono grandi cooperative e società a capo di intere aree coltivate a oliveti, parliamo di migliaia di ettari. In Puglia un po’ tutti fanno l’olio, nella nostra regione viene prodotto quasi il 60% dell’olio nazionale: sei bottiglie su dieci sono fatte nella nostra regione».
Sì ma con le adulterazioni sempre dietro l’angolo come la mettiamo? Come si tutela il consumatore? La cronaca rivela notizie di questo tipo con una periodicità sconcertante.
«Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento notevole di controlli ispettivi da parte delle varie autorità chiamate dall’Unione europea a vigilare sulla qualità dell’olio di oliva. Noi per primi riceviamo decine di visite ispettive a sorpresa, quasi ogni giorno durante il periodo della produzione: dall’Haccp, all’ente della Dop, dai Nas, alla Repressione frodi eccetera. La vigilanza su questi temi è molto serrata, sono incappato proprio io in questo genere di inciampi: una volta organizzai una campagna sui giornali parlando di “oliva del Gargano”, ci arrivò la comunicazione dell’ente di vigilanza che censurava il riferimento territoriale. Questo per dire come i controlli siano a 360 gradi su tutta la filiera».
“In Puglia un po’ tutti fanno l’olio, nella nostra regione viene prodotto quasi il 60% dell’olio nazionale”
Come avete fatto a radicarvi in Cina, come nasce l’operazione di marketing con Alibaba, colosso del commercio elettronico mondiale?
«Eravamo nel 2016, è stato un rapporto proficuo che vorremmo adesso far ripartire. Il Covid ha cambiato interamente lo scenario di quei tempi. La Cina si è chiusa a riccio dopo la pandemia. Noi abbiamo fatto molto bene i primi due anni, siamo stati scelti da Alibaba ed è stato un rapporto proficuo. Ma poi qualcosa si è inceppato, forse la stessa piattaforma si è resa conto che non era il caso di far crescere troppo un prodotto e una linea di produzione che non rientra nella sua sfera di controllo».
Anche Alibaba ha avuto i suoi problemi con il governo cinese, forse c’è stata una concausa non crede?
«La Cina del pre-Covid era un’altra Cina. Ci sono stato a novembre scorso alla fiera FHC di Shanghai, oggi c’è davvero tutto di diverso. Persino la qualità dell’aria è migliorata. Ho notato un aumento esponenziale della classe media, riscontrabile anche con l’aumento dei prezzi al consumo. Un tempo il cambio era regolarmente a vantaggio di noi occidentali, oggi bisogna andarci molto più cauti».
Però il vostro export continua in Cina nonostante le difficoltà dovute alla pandemia.
«Continuiamo a commercializzare il nostro olio attraverso alcuni dei nostri vecchi clienti che non ci hanno abbandonato. Questo però ci permette di rimodulare meglio la nostra offerta: riusciamo a conoscere meglio il nostro interlocutore e mettere a fuoco il mercato cinese in particolare, profondamente cambiato come ho detto prima rispetto a quando abbiamo cominciato a inviare i primi container».
Quanto olio Clemente riesce oggi ad arrivare in Cina e, più in generale, all’estero?
«All’estero abbiamo raggiunto una quota del 40% della nostra produzione complessiva, la Cina pesa forse un decimo di questo valore. Ma sono sicuro che da qui a dieci anni potremo triplicare il nostro valore di mercato su scala mondiale».
«All’estero abbiamo raggiunto una quota del 40% della nostra produzione complessiva”
A parte la Cina, qual è oggi per voi e per l’olio extravergine in particolare, il mercato maggiormente reattivo?
«Sono stato molto in Asia negli ultimi anni, vedo molto ben posizionato nei consumi il Giappone. I consumatori giapponesi conosco molto bene la qualità del nostro olio di oliva. Conoscono l’importanza dei polifenoli, sanno distinguere le varie cultivar e sanno a cosa corrispondano le differenze delle varie colorazioni di olive, da dove proviene il retrogusto amaro dell’olio e così via. Quello giapponese è un mercato che premia indubbiamente la qualità e allora, quello che mi chiedo, se un mercato premia la qualità noi dobbiamo esserci e in quote sempre più massicce in base ovviamente alle richieste».
E in Italia l’olio Clemente dove ottiene i migliori riscontri commerciali?
«E’ stato più difficile crescere nelle nostre aree che altrove. Forse perchè abbiamo creduto che in Puglia, in provincia di Foggia l’olio fosse un prodotto dato per scontato per la nostra cucina. E comunque per la regola che nessuno è profeta in patria, i nostri migliori sbocchi commerciali li abbiamo in Veneto e in Lombardia, due piazze dove siamo ai primi posti tra le aziende leader di mercato sull’extravergine. Abbiamo cominciato a lavorare con la grande distribuzione con Esselunga».
Nelle regioni del Nord fino a qualche anno fa era più diffuso in cucina l’olio di semi, forse l’espansione dell’extravergine lo si deve alla forte presenza di meridionali residenti nel Settentrione.
«Immagino che un milanese l’acquisto di olio extravergine dalla Puglia lo consideri sinonimo di qualità. C’è un lavoro dietro svolto dalla Regione Puglia, il brand di riferimento di tutto il made in Puglia e dunque anche dell’olio. Noi che facciamo olio Igp Puglia (identificazione geografica protetta: ndr) è come se automaticamente mettessimo il marchio Puglia sulle nostre etichette».
È però ancora forte la migrazione delle olive raccolte in Puglia e lavorate in altre regioni del Centro-Nord. Senza rischiare di essere sciovinisti, può essere considerato quello trasformato altrove olio “pugliese”?
«Siamo in Italia, è sempre un prodotto made in Italy. Non penso che questa pratica ci danneggi, mi domando quanto siamo stati bravi noi produttori pugliesi a riprenderci quel valore. Questo accade anche con il vino. Se si è in grado di fare impresa e di arrivare al consumatore finale, vuol dire che si è conquistata una fetta di mercato».
E’ una quota di mercato che siete stati in grado di riprendere da una concorrenza non più sleale?
«C’è spazio per tutti, sia il piccolo che il grande produttore ha la forza di affermarsi in un mercato così specializzato come l’olio se in possesso di una “value proposition”».
Quest’anno con la stagione corta, causa siccità e cambio climatico, quali previsioni riuscite a formulare?
«C’è in giro meno prodotto, avremo prezzi un po’ più alti al dettaglio. Siamo intorno ai 9,80 euro, prezzo al litro all’ingrosso esentasse. Sullo scaffale si arriva intorno ai 14-15 euro. La prossima estate avremo una forbice di prezzo molto alta tra gli olii prodotti in Italia e la merce in arrivo dalla Spagna che contribuirà notevolmente all’abbattimento dei listini».
“C’è in giro meno prodotto, avremo prezzi un po’ più alti al dettaglio, fino a 15 euro al litro”
Aiuterà la Grande distribuzione ad ammortizzare i costi per i consumatori, ci può pure stare un olio a 14-15 euro sullo scaffale del supermercato ma stiamo parlando di altro genere di offerta.
«Ci sono tante dinamiche di cui bisogna tener conto. C’è sempre il consumatore che sa distinguere il valore della qualità. L’anno scorso gli oli della “Dop” hanno avuto un’impennata dei prezzi perchè il consumatore ha scelto di spendere 1-2 euro in più per acquistare un prodotto di maggior qualità in cambio di una differenza di prezzo non abissale. Noi siamo i più grandi produttori della Dop Gargano, con il nostro Dop Dauno Gargano abbiamo fatto conoscere il nostro territorio in tutto il mondo. Mio padre, Michele Clemente (amministratore delegato: ndr) ha ricevuto il premio Re Manfredi l’estate scorsa proprio per questo».
La vostra ultima etichetta si chiama “U Pulp” dal vago sapore marinaro.
«È un olio bio dop, con doppia certificazione: biologico e Dop. L’etichetta in bottiglia presenta un collarino con su scritto: “Lo senti il mare, chiudi gli occhi, sei sul Gargano”».
Questa volta il Gargano potrete citarlo senza timore di essere redarguiti dalle autorità di controllo.
«Ho voluto dirlo, questa mia scelta nasce dalla volontà di teletrasportare il consumatore nel luogo. Spero che funzioni, per me e per tante persone che provano le stesse mie sensazioni di emigrante di ritorno, il sapore e il gusto trasportano idealmente nel luogo in cui si vorrebbe stare. Un effetto che ho provato sulla mia pelle quando vivevo in Germania: quando mi mandavano il pacco da giù, mi teletrasportavo nei miei luoghi di origine in un nanosecondo. È un processo emozionale che parte dai sensi. Un viaggio della mente e del corpo».
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