il Corridoio di Lobito, l’autostrada dei minerali

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Il Corridoio di Lobito, presentato come un’opera epocale di sviluppo e integrazione, rischia di essere l’ennesima occasione persa per l’Africa e l’ennesimo affare d’oro per le multinazionali e le potenze straniere. Miliardi di dollari investiti, proclami trionfalistici, strette di mano tra leader e sorrisi davanti alle telecamere, mentre le comunità locali guardano con sospetto l’ennesima grande infrastruttura costruita sopra le loro teste, senza consultazione né reali benefici per chi vive sulle terre attraversate dal nuovo percorso ferroviario.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha scelto l’Angola per la sua prima e unica visita in Africa, e non a caso. Il progetto del Corridoio di Lobito, finanziato con oltre 4 miliardi di dollari dall’amministrazione USA, non è solo una ferrovia: è un tassello strategico nella nuova corsa alle risorse del continente. L’obiettivo dichiarato è collegare l’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano, passando per Repubblica Democratica del Congo e Zambia. Ma la vera partita si gioca sui minerali strategici.

Il tratto congolese del corridoio attraversa le province minerarie più ricche del pianeta: Tanganica, Haut-Lomami, Lualaba e Haut-Katanga, con giacimenti sterminati di cobalto e rame. Gli Stati Uniti e le multinazionali occidentali vogliono assicurarsi un accesso più rapido e meno costoso a queste materie prime, essenziali per la transizione energetica globale, per le batterie di auto elettriche, i pannelli solari e i dispositivi elettronici. Il grande assente in questo piano è proprio il popolo congolese.

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Vivere con 2 dollari al giorno

Si parla di 30mila posti di lavoro generati dall’ammodernamento ferroviario. Numeri che, in un Paese dove il 73% della popolazione vive con poco più di 2 dollari al giorno, potrebbero sembrare una buona notizia. Ma basta fare due conti per capire che non è abbastanza. Con un investimento così massiccio, ci si sarebbe aspettati ben altri livelli di occupazione. E invece, come sempre, il grosso dei profitti finirà altrove.

Nelle province meridionali della RDC, la paura è che il corridoio serva solo a velocizzare l’estrazione e l’export delle materie prime, senza alcun valore aggiunto per il Paese. Il rischio è di rimanere, ancora una volta, uno “Stato-miniera”, un semplice serbatoio di risorse naturali che vengono poi lavorate altrove. La richiesta delle comunità locali è chiara: raffinare i minerali direttamente in Congo, creare un’industria locale, costruire scuole, ospedali e infrastrutture. Ma per ora il progetto va nella direzione opposta.

Perché l’Angola è la vincitrice

L’Angola, invece, è la grande vincitrice. Il nuovo percorso ferroviario ridurrà drasticamente i tempi di trasporto: i 1.600 chilometri tra Kolwezi e Lobito saranno coperti in otto giorni, abbattendo i costi logistici e rendendo il porto angolano un nuovo hub strategico per l’export minerario. Chi controlla il trasporto, controlla il mercato. E per la RDC significa continuare a perdere il controllo sulle proprie ricchezze.

I problemi non si fermano all’economia. L’ONU ha già avvertito che il progetto potrebbe esacerbare le tensioni in una regione martoriata da conflitti armati e traffici illeciti. Gruppi criminali e milizie, già in lotta per il controllo delle miniere, vedranno nel corridoio un’opportunità per espandere la loro influenza. Il rischio è che si apra una nuova stagione di violenze, con la popolazione civile a pagarne il prezzo più alto.

Donne e minori le prime vittime

Ci sono poi le preoccupazioni sanitarie. La costruzione della ferrovia richiamerà migliaia di lavoratori, spesso in condizioni precarie, aumentando la diffusione di malattie come tubercolosi, HIV/AIDS e malaria. Per prevenire una crisi sanitaria, servirebbero presidi medici, acqua potabile, servizi igienici adeguati. Nulla di tutto questo sembra essere una priorità. Le donne e i minori saranno le prime vittime. In un contesto del genere, le prime rischiano sfruttamento e violenze, mentre i secondi finiranno inevitabilmente nei cantieri, costretti a lavorare in condizioni disumane. Un quadro che conosciamo già troppo bene, ripetuto in ogni grande progetto infrastrutturale imposto dall’alto in Africa.

La responsabilità non è solo dei Governi locali, ma anche delle potenze globali e delle aziende coinvolte. Se il Corridoio di Lobito sarà solo un altro canale per drenare risorse africane, allora sarà un fallimento annunciato. Se invece diventerà un’opportunità per creare sviluppo reale e sostenibile per le popolazioni locali, allora serviranno investimenti mirati, trasparenza e soprattutto la volontà politica di cambiare il solito copione. Per ora, gli interrogativi restano più delle certezze. E la storia dell’Africa insegna che, quando gli interessi economici parlano, le promesse di sviluppo per i più poveri restano sulla carta.

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