In cosa consiste la riforma dei medici di famiglia? 

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La proposta di modificare lo status giuridico dei medici di base divide la politica e i sindacati. Le prime anticipazioni

Da tanti è stata definita una “svolta epocale”. La riforma sui medici di famiglia allo studio del Ministero della Salute guidato da Orazio Schillaci è al centro di un forte dibattito che riguarda non solo la politica, regioni, sindacati e gli addetti ai lavori ma il Paese reale.

Il passaggio da liberi professionisti a dipendenti del Ssn è destinato a cambiare il rapporto con i pazienti. Il Corriere della Sera, con la rubrica Dataroom di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, ha anticipato alcuni contenuti della bozza di riforma.

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Un passaggio “indispensabile a far funzionare le 1.350 Case della Comunità messe in piedi con i 2 miliardi del Pnrr”, annota il Corsera, sottolineando come “tra il 2025 e il 2030 su circa 37 mila medici di base in servizio, si stima che ne vadano in pensione intorno ai 10 mila”. Il ricambio quindi è imminente.

COSA PREVEDE LA RIFORMA DEI MEDICI DI FAMIGLIA

Cosa prevede la riforma? Secondo la bozza che il Corriere ha visionato, il nuovo modello di assistenza prevede che i medici di medicina generale lavorino per 38 ore settimanali, superando l’attuale minimo garantito di 5-15 ore. Il tempo di lavoro sarà suddiviso tra l’assistenza diretta ai pazienti e attività di programmazione territoriale, con un numero crescente di ore dedicate agli assistiti in base alla quantità di pazienti seguiti.

I medici opereranno principalmente nelle Case della Comunità e negli ambulatori pubblici, garantendo una presenza costante sul territorio e assicurando che anche i Comuni più piccoli abbiano accesso all’assistenza sanitaria. Il modello prevede una maggiore collaborazione tra i medici, permettendo una copertura continua per i pazienti, senza sostituire il medico di fiducia ma affiancandolo con altri colleghi. Inoltre, i medici parteciperanno a servizi comuni come vaccinazioni e visite per i pazienti di altri professionisti della zona, migliorando la continuità assistenziale.

I DISTINGUO ALL’INTERNO DELLA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA

Cosa pensano le regioni e i sindacati di categoria? Quali reazioni stanno alimentando il dibattito sulla riforma? Intanto c’è da dire che all’interno della stessa maggioranza le posizioni non sono così convergenti. Forza Italia, ad esempio, ha presentato nei giorni scorsi un disegno di legge sui medici di base ma “senza alterare alcun equilibrio – ha precisato il capogruppo alla Camera Paolo Barelli -, senza modificare lo status giuridico dal momento che resteranno in regime di lavoro parasubordinato, convenzionato”.

LE REGIONI A FAVORE DELLA RIFORMA DEI MEDICI DI FAMIGLIA

Per quanto riguarda le Regioni, sarebbero a favore i leghisti Attilio Fontana (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto). E anche il meloniano governatore del Lazio, Francesco Rocca, il quale ha evidenziato le criticità dell’attuale sistema: “La volontà comune, da parte delle venti Regioni, e dico 20, è di accelerare i tempi di una riforma ineludibile”. Rocca, intervistato proprio dal Corriere della sera, ha insistito sulla necessità di una maggiore gestione regionale dei medici di base: “Come capo di una Regione voglio poter decidere dove e per quante ore i medici di famiglia devono prestare servizio visto che è da qui che escono i soldi per pagarli in base al servizio prestato per il sistema pubblico”.

Uno dei problemi principali, secondo Rocca, è l’accessibilità alle cure territoriali: “Ci sono tanti professionisti diligenti. Però è anche vero che i cittadini ci scrivono per segnalarci difficoltà nel trovare lo studio aperto o per farsi inviare le prescrizioni per l’acquisto di farmaci”. Per questo, ha auspicato un’organizzazione più simile a quella dei medici ospedalieri, con un controllo più diretto delle ore di servizio.

Il forzista Alberto Cirio (Piemonte) si trova a dover svolgere un ruolo di pontiere, mentre sembra che “in modo informale – ha scritto Margherita De Bac sul quotidiano di via Solferino – i tecnici di Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio alle quali si è aggiunto il «contributo» della Lombardia si siano messi all’opera”.

LE CRITICHE MANIFESTATE DAI SINDACATI

Il coordinamento nazionale Fp Cgil Medici di Medicina Generale si è dichiarato favorevole alla trasformazione dei medici di base in dipendenti del Ssn. Con alcuni distinguo. La bozza attuale è stata infatti criticata e giudicata un compromesso inefficace. Secondo il sindacato, il rischio è che i medici di famiglia siano costretti a spostarsi continuamente tra studi convenzionati, domicili dei pazienti e Case di comunità, con un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza.

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Decisamente contraria è la Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), con il presidente Filippo Anelli che ha messo in guardia dai rischi di un cambiamento così radicale: “Con lo smantellamento dell’attuale sistema della convenzione, si ridurrebbero i livelli di tutela della salute dei cittadini e si ridurrebbe anche l’autonomia dei professionisti”. Anelli ha difeso il rapporto fiduciario tra medico e paziente, ritenendolo essenziale per la qualità della cura: “Vari studi evidenziano come proprio tale rapporto diretto continuativo, di fiducia e fidelizzazione […] produca un miglioramento della salute e degli indici di sopravvivenza”.

Sulla stessa linea il presidente della Federazione dei medici di Medicina generale, Silvestro Scotti, che vede nel passaggio alla dipendenza un rischio di privatizzazione della Medicina generale: “Tale ipotesi verrebbe rifiutata dai giovani medici per la mancanza di attrattività del sistema pubblico e ciò determinerebbe inevitabilmente la diffusione di strutture private e di cooperative di medici di famiglia a gettone”. Scotti avverte inoltre che, in caso di attuazione della riforma, molti medici potrebbero dimettersi dal Ssn, lui compreso.

Critico anche il Sindacato medici italiani, che ha sottolineato il già elevato carico di lavoro degli attuali medici di famiglia: “Un medico di medicina generale già evade in media 75 accessi al giorno”, ha ricordato la segretaria Pina Onotri, lasciando intendere che il tempo per ulteriori attività nelle Case della salute sarebbe praticamente nullo.

Al momento, non esiste una proposta di legge definitiva sul passaggio dei medici di famiglia alla dipendenza, ma la discussione è aperta e le pressioni delle Regioni per una riforma del settore sono forti.

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