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“A VERSARE 1 EURO DI IRPEF LA META’ DEGLI ITALIANI.  40% POPOLAZIONE SI CARICA DI OLTRE IL 90% DELLE TASSE” – La Nuova Padania #finsubito prestito immediato #finsubito richiedi prestito immediato


Su una popolazione di 59.030.133 cittadini residenti sono 42.026.960 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2023 (con riferimento all’anno di impostazione precedente). A versare almeno 1 euro di Irpef solo 32.373.363 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani: a ogni contribuente corrispondono quindi 1.405 abitanti. E’ quanto emerge dall’undicesimo Osservatorio sulle entrate fiscali e sul finanziamento del welfare a cura del centro studi e ricerche 
ITINERARI PREVIDENZIALI, presentato oggi alla Camera dei Deputati in occasione del convegno ‘Le dichiarazioni dei redditi 2022: l’analisi Irpef e delle altre imposte dirette e indirette per importi, tipologia dei contribuenti e territori negli ultimi 15 anni. Il difficile finanziamento del welfare italiano’, promosso con Cida.

Nel dettaglio, fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.330.900 soggetti, il 22,20% del totale, che pagano in media 20 euro di IRPEF l’anno (14 se rapportati ai cittadini). I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 ei 15.000 euro lordi l’anno sono 7.626.579: in questo caso, al netto del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 294 euro (209 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.221 euro.

Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato si trovano 5,4 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.761 euro, che si riduce a 1.254 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9,5 milioni di contribuenti, con un’imposta media di 3.612 euro che si scende a 2.571 se rapportata al totale degli abitanti: un importo che, come per la fascia successiva, basterebbe di per sé a coprire i costi della sanità, ma che resterebbe comunque insufficiente guardando alle altre principali funzioni di welfare non coperte da contributi di scopo, tra cui appunto l’assistenza.

Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 3.754.371 contribuenti pari a 5.273.306 abitanti: questi contribuenti, l’8,93%, pagano un’imposta media di 6.138 euro l’anno, 4.370 euro per abitante, e versano complessivamente il 12,17% delle imposte.

NEL 2023 +6,3% IRPEF MA 45% ITALIANI NON HA REDDITO ED E’ A CARICO

 Il totale dei redditi prodotti nel 2022 e dichiarati nel 2023 ai fini Irpef è ammontato a 970 miliardi, per un gettito Irpef generato – al netto di Tir (Trattamento integrativo sui redditi da lavoro dipendente e assimilati) e detrazioni – di 189 ,31 miliardi (di cui 169,59 miliardi, l’89,59%, di Irpef ordinaria): valore in aumento del 6,3% rispetto allo scorso anno ma inferiore alla crescita del Pil nominale (+7,7%). Crescono sia i dichiaranti (42.026.960, numero addirittura superiore a quello record del 2008) sia i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di Irpef, che toccano quota 32.373.363. Mentre salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 ei 29mila euro (9,5 milioni) sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 23.133 a 22.356 milioni.

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Sicuramente condizionato dalla ripresa Covid-19, quello che evidenzia l’ultimo Osservatorio di ITINERARI PREVIDENZIALI, sembrerebbe un quadro in apparenza positivo se non fosse che, dati alla mano, resta sostanzialmente invariata la quota di contribuenti che effettivamente sostiene il Paese con tasse e contributi, e di contro troppo alta quella di cittadini totalmente o parzialmente a carico della collettività: malgrado il miglioramento PIL e occupazione, il 45,16% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno. Su 42 milioni di dichiaranti, poi, il 75,57% dell’intera Irpef è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%. Come garantire innanzitutto la sostenibilità innanzitutto del nostro sistema di protezione sociale ma, più in generale, produttività e sviluppo del Paese se il grosso del carico fiscale grava su una ristretta minoranza? Questa la domanda che ha animato questo pomeriggio presso la nuova Aula dei Gruppo Parlamentari il convegno ”Il difficile finanziamento del welfare italiano”. Lo studio, realizzato in collaborazione con Cida, anche quest’anno tra i sostenitori della ricerca, l’Osservatorio realizza un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi Irpef e delle altre principali imposte dirette e indirette (tra cui Irap, Ires, Isost e gettito Iva), con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la tenuta del suo sistema di protezione sociale.

IN ULTIMI 15 ANNI SPESA +38% MA REDDITI +21,44%

 “Negli ultimi 15 anni i redditi dichiarati sono aumentati del 21,44%, mentre la spesa per il welfare è cresciuta di circa il 38%, formata soprattutto da quella assistenziale, il cui valore tende ormai ad avvicinarsi pericolosamente al gettito dell’Irpef ordinaria. Basta questo semplice confronto per capire come si sia davanti a un onere, già oggi e ancora di più in futuro, molto gravoso da sostenere che lascia ad altre funzioni statali, indispensabili allo sviluppo del Paese (come scuola, infrastrutture, investimenti in capitale e così via), solo le residue imposte indirette, le accise e la strada del debito che ogni anno aumenta spaventosamente nella totale indifferenza generale e, infatti, siamo il fanalino di coda in Europa per occupazione e produttività”. Così il professore Alberto Brambilla, curatore, insieme a Paolo Novati, intervenendo ancora sull’ultimo 
Osservatorio.

Come rilevato dal Centro Studi, nel 2022 sono stati necessari 131 miliardi per la spesa sanitaria, oltre 157 per l’assistenza sociale e altri circa 13 miliardi per il welfare degli enti locali. Un conto totale che supera i 300 miliardi che, in assenza di tasse di scopo (come, ad esempio, accade per le pensioni che sono in attivo al netto dell’Irpef), viene finanziato attingendo fiscalità generale: a queste sole 3 voci di spesa sono stati dunque destinati nell’ultimo anno di rilevazione pressoché tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e Isost e anche 23,77 miliardi di imposte indirette, in primis l’Iva. 

TASSANDO ANCOR DI PIU’ CETO MEDIO EFFETTI RECESSIVI PER ECONOMIA

 ”Le dichiarazioni Irpef rese l’anno scorso fotografano una tendenza positiva dell’occupazione, che è tornata a crescere, e questo non può che farci piacere. Se aumenta il numero di contribuenti relativamente alle fasce medie significa che abbiamo maggiori speranze di garantire la sostenibilità al welfare pubblico in futuro. Ecco perché è importante non tradire il ceto medio. Tassarlo oltre a quanto già non si faccia, proprio ora che inizia a rinfoltirsi, potrebbe avere effetti recessivi sull’intera dinamica”. Così Stefano Cuzzilla, presidente Cida, commentando quanto emerge dall’Undicesimo Osservatorio sulle entrate fiscali e sul finanziamento del welfare.

”Il motivo? Perché In Italia vale il principio che maggiore è il contributo fiscale, minori sono i servizi pubblici di ritorno”, chiarisce il presidente. “Quindi chi guadagna, ad esempio, dai 55.000 euro in su (oggi poco più del 5 % del totale) si fa carico da solo di circa il 42% del gettito fiscale e non riceve nulla in cambio. A peggiorare il quadro arriva la nuova Manovra, con tagli ai massimali delle detrazioni a partire da 75.000 euro che, di fatto, rappresentano un aumento di tassazione per chi contribuisce di più Si trasmette così un messaggio allarmante: che in Italia non conviene eccellere, produrre o innovare, invece , evadere e occultare”, ribadisce Cuzzilla.

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”Non a caso, un quinto dei contribuenti italiani dichiara redditi minimi o nulli. Una fetta consistente che non è degna di una delle più grandi potenze industrializzate assistenza e assistenzialismo, mentre affonda nell’economia sommersa. Basti pensare che in 10 anni la spesa per il welfare è aumentata del 30% a causa di una vertiginosa spesa in assistenza, pari a +126%. Di fatto, nel nostro sistema fiscale il peso per chi produce e contribuisce è ormai insostenibile”, spiega Cuzzilla.

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“Mentre l’ buy ha mangiato il 24% del potere d’acquisto in 15 anni, questa minoranza continua a sostenere sanità, assistenza sociale e servizi per tutti, spesso senza alcun beneficio diretto. Mi chiedo fino a quando sarà disponibile a farlo”, concludono. 

DA 2008 RADDOPPIATO COSTO ASSISTENZA MA ANCHE DI POVERI ASSOLUTI

 “Nel 2008 spendevamo in trasferimenti dalla Manovra all’Inps per assistenza 73 miliardi di euro, nel 2023 164 miliardi, quindi il doppio. Ma al raddoppiare del costo dell’assistenza non è corrisposto un effetto positivo sulla povertà. Anzi i poveri assoluti sono raddoppiati: erano 2 milioni e 100 mila nel 2008 e sono diventati 5,8 milioni nel 2023”. A dirlo ancora è Alberto Brambilla.

40% POPOLAZIONE SI CARICA OLTRE 90% TASSE’

 “Emerge che il 40% della popolazione italiana si carica oltre il 90% delle tasse e il restante paga circa l’8% dell’Irpef. E’ un Paese un po’ sbilanciato dove finanziare forme di welfare è sempre più complicato”, spiega in sintesi Brambilla a Adnkronos/Labitalia.

 “Va premiato chi lavora, il ceto medio, e oggi invece siamo arrivati ​​al punto che chi fa il manager si deve vergognare. Se non incentiviamo chi vuole lavorare il Paese non cresce. E sull’evasione va invertita la tendenza, serve una lotta seria all’evasione fiscale, la attesa da anni. Dobbiamo cercare di capire chi sono gli evasori, gente che non lavora e prende bonus e aiutare chi ha veramente bisogno, e rilanciare il ceto medio, senza portarlo verso il basso”, conclude il presidente Cida, Cuzzilla.

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