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Nonostante lo scetticismo con cui il mondo ha reagito alla sua proposta di trasformare la Striscia di Gaza nella «Riviera del Medio Oriente», Donald Trump ieri ha riconfermato la sua intenzione di occuparla e ricostruirla, e ha anzi sostenuto che il suo piano «piace a tutti». Tuttavia, dopo queste affermazioni categoriche ieri è apparso evidente che la Casa Bianca voleva attenuare i toni. Nel pomeriggio, ad esempio, è stato precisato non solo che il presidente non si impegna a inviare truppe, ma neanche a finanziare la pulizia e la ricostruzione della Striscia. La sua portavoce, Karoline Leavitt, ha descritto l’intervento di martedì come «una proposta non convenzionale», dopo che «da decenni la stessa gente non fa che ripetere le stesse idee». La giovane donna ha anche sostenuto che il presidente intende ricostruire «per i palestinesi e per tutta la gente che nella regione vuole vivere in pace». E anche il ministro degli Esteri Marco Rubio ha sostenuto questa versione, che reinterpreta le parole espresse da Trump, trasformando l’esodo forzato dei palestinesi in un allontanamento temporaneo.

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LA PROPOSTA
La proposta, ha spiegato Rubio «non era intesa come ostile. Era intesa, credo, come una mossa molto generosa: l’offerta di ricostruire e di essere responsabile della ricostruzione». L’idea originale di Trump, espressa martedì sera al fianco del premier israeliano Benjamin Netanyahu, prevedeva invece il trasferimento dei quasi due milioni di palestinesi in altri Paesi, come Egitto e Giordania, e solo a quel punto l’intervento degli Stati Uniti, che avrebbero dovuto assumere il controllo della Striscia, con l’obiettivo di ricostruirla e trasformarla in una località turistica di alto livello, «la Riviera del Medio Oriente». L’unico ad aver espresso aperto apprezzamento per l’idea della «Riviera», però, è stato lo speaker della Camera, Mike Johnson, che ha definito il piano «uno sviluppo positivo». Per il resto, sia dai leader politici europei, che arabi, che quelli americani stessi, sono venute parole di aperta condanna. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ammonito che spostare la popolazione di Gaza per sviluppare l’enclave equivarrebbe a una «pulizia etnica» che rischierebbe di «rendere impossibile uno Stato palestinese per sempre». Il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi hanno avuto un colloquio telefonico durante il quale i due hanno affermato che «qualsiasi sfollamento forzato della popolazione palestinese da Gaza e Cisgiordania costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale, un ostacolo alla soluzione dei due Stati e un importante fattore di destabilizzazione per Egitto e Giordania».

LE CRITICHE
In Europa, le condanne sono venute non solo da Francia, ma anche da Spagna, Gran Bretagna e Germania, che hanno giudicato le proposte di Trump «in violazione del diritto internazionale». Fra i Paesi arabi, reazioni sono arrivate dall’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar e la Turchia, solidali nell’esprimere una ferma opposizione al piano e denunciarlo come un rischio che «destabilizzerebbe la regione». Al di là delle drammatiche implicazioni etiche e legali, va sottolineato che molti notano con sgomento anche la dimensione faraonica del progetto, che costerebbe decine di miliardi di dollari. E se Trump non vuole che a sborsarli siano i contribuenti americani, dovrebbe convincere i ricchi Paesi arabi a finanziare il progetto. Ma al momento nel mondo forse l’unico Paese in grado di affrontare un simile lavoro ciclopico di ripulire Gaza dalle macerie – in presenza di almeno 30 mila munizioni non esplose e centinaia di costruzioni pericolanti – sono proprio gli Usa, che lo hanno già fatto dopo la guerra in Afghanistan e in Iraq. Ma chi ha partecipato a quelle missioni ricorda gli enormi ostacoli anche culturali e religiosi, per esempio nel recupero e nell’identificazione dei resti umani. È giusto chiedersi se i palestinesi sarebbero d’accordo a lasciare che siano gli americani, che hanno fornito a Israele le armi della loro distruzione, a recuperare le loro famiglie sotto le rovine. E c’è anche chi ricorda l’enorme corruzione che quelle operazioni di ricostruzione avevano generato. Ma almeno allora gli americani ricostruivano con il preciso impegno di uscire dall’Iraq e riconsegnare il Paese ai legittimi proprietari. Con Gaza, Trump ha detto di immaginare una «lunga presenza», quasi un ruolo coloniale, pur dopo che per anni ha insistito che gli Usa non dovevano più mettere piede nel Medio Oriente.

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