Genova. E’ iniziato questa mattina nell’aula magna del tribunale di Genova il processo per l’omicidio di Nada Cella, a quasi 30 anni dal delitto della giovane segretaria, aggredita il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco a Chiavari. Soracco è l’unico imputato a essersi presentato questa mattina in tribunale. Non c’è la madre di lui, Marisa Bacchioni, e non c’è Annalucia Cecere. Non ci sono neppure i familiari di Nada.
Il presidente della Corte d’assise Massimo Cusatti ha rigettato in quanto “manifestamente infondata” l’eccezione di costituzionalità sollevata dalle difese degli imputati circa il fatto che il decreto della corte d’appello di Genova che ha disposto il rinvio a giudizio non fosse motivato. Quindi il processo non si ferma. “La Corte di appello è stata chiamata e rendere la stessa decisione già chiesta al gip dalla pubblica accusa e si tratta di un tipo di provvedimento che sfugge al principio in base ai quale che i provvedimenti giudiziari devono essere sempre motivati”.
L’obiettivo – ha spiegato Cusatti nell’ordinanza – e’ quello di “non condizionare il giudice del dibattimento”. Ed e’
“Inconcepibile che gli imputati non conoscano i motivi per cui sono stati rinviati a giudizio, visto che sono gli stessi proposti al gip”.
Nella stessa ordinanza la Corte di assise ha disposto lo stralcio e sospensione del procedimento per il reato di false dichiarazioni nei confronti di Soracco e Bacchioni fino alla sentenza di primo grado nei confronti di Cecere, proprio perché – semplificando al massimo il concetto – è necessario accertare i fatti prima di sostenere le false dichiarazioni. Soracco e Bacchioni però restano però a processo per il reato di favoreggiamento.
Soracco fu inizialmente il primo sospettato per l’omicidio, poi scagionato da ogni accusa. Seguirono altre piste, tutte rivelatesi false, finché nel 2021 la famiglia di Nada grazie alla criminologa Antonella Delfino Pesce, che aveva riletto tutte le carte, scoprì alcuni particolari sottovalutati dagli investigatori dell’epoca e convinse la pm Gabriella Dotto a riaprire il caso affidando le indagini alla squadra mobile di Genova
A essere imputata per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi oggi è invece Annalucia Cecere, 55 anni, di Boves (Cuneo) difesa dall’avvocato Giovanni Roffo. Secondo l’accusa Cecere avrebbe ucciso Nada “per motivi di rancore e gelosia verso la vittima”, per via della posizione da lei occupata all’interno dello studio di Soracco e la sua vicinanza a costui.
Prima di tutto la Corte d’assise dovrà valutare alcune questioni preliminari come quella sollevata dall’avvocato Andrea Vernazza che chiede di rinviare davanti alla Corte Costituzionale quella che lui ritiene un’anomalia legislativa, vale a dire il fatto che il decreto di rinvio a giudizio non sia motivato. Obbiettivo dell’istanza è stoppare il processo, ma secondo quanto trapela molto difficilmente sarà accolta dalla Corte.
Poi cominceranno ad essere sentiti i primi testimoni, come l’ex capo della squadra mobile di Genova (oggi a Roma) Stefano Signoretti che ha coordinato le nuove indagini. In tutto sono una sessantina i testi che saranno sentiti in aula.
Le nuove indagini
Non ci sono prove scientifiche come il Dna che oggi consente di risolvere la maggior parte dei delitti insoluti, ma la Procura e la squadra mobile hanno in quasi due anni di indagini ricostruito tassello per tassello quello che può essere accaduto.
Tra gli elementi in mano all’accusa, uno dei più potenti, è la nuova comparazione tra il bottone rinvenuto sotto il corpo della vittima e le fotografie di due, pressoché identici, trovati nell’alloggio di Annalucia Cecere nell’estate 1996. All’epoca gli investigatori si erano limitati a un confronto indiretto tramite fotografia, senza acquisirli fisicamente, ma il lavoro condotto oggi su quel fronte è più profondo di allora. Sono stati anche interpellati i massimi esperti in bottoni del Paese. Secondo quanto emerso il bottone trovato sul luogo del delitto è compatibile con quelli trovati a casa di Cecere e se non fu giudicato tale è perché non era stato preso in considerazione un anello di plastica che lo ricopriva. Era fra l’altro un bottone abbastanza difficile da reperire sul mercato all’epoca, appartenente a un giubbotto maschile che secondo l’accusa apparteneva all’ex fidanzato di Cecere.
Poco invece si è riusciti a cavare dal Dna sulla scena del crimine, seppur rianalizzato con le più moderne tecniche dal genetista Emiliano Giardina. Tutto quello che è emerso è che appartiene a una donna. Nient’altro, poiché il campione è parziale, la conservazione non è stata ottimale.
Poi ci sono i testimoni oculari ma o sono morti oppure, nel clima di omertà che ha pervaso Chiavari in quel periodo, sono sempre rimasti anonimi. In diversi videro una donna fuggire dal luogo del delitto, in motorino e in un caso sporca di sangue. La più rilevante, una mendicante che si trovava a pochi metri dal portone di piazza Marsala, non è più in vita. Una sola delle fonti anonime è ancora in vita ed è stata identificata: è una donna che abitava accanto a Cecere in piazza Dante a Chiavari: ha raccontato che Cecere le aveva confidato di aver fatto proposte sentimentali a Soracco e che quella mattina del 6 maggio Cecere era uscita di casa molto prima del solito e anche che quel giorno eccezionalmente aveva poi steso tutti i vestiti lavati, comprese le scarpe e alcuni stracci. Ancora: c’è la figlia della vicina di casa che indicò nelle 9 l’orario d’ingresso nello studio da parte di Marco Soracco. Secondo la Procura quindi Soracco vide Cecere subito dopo il delitto (commesso alle 9.01 del mattino) ma il commercialista ha sempre negato, dicendo di essere sceso circa 15 minuti dopo, di aver visto Nada in una pozza di sangue e di aver pensato a un malore.
Un altro elemento, che resta inutilizzabile nei confronti di Cecere in quanto la voce registrata è sempre rimasta anonima è la “signorina” che il 9 agosto 1996, a tre mesi dal massacro, parlò con Marisa Bacchioni il cui telefono fisso era sotto controllo. Spiegava che in cinque, il 6 maggio, avevano visto Cecere allontanarsi dall’edificio di via Marsala, ma non hanno mai parlato per paura. La Procura ha fatto di tutto per risalire all’autrice di quella telefonata, diffondendo l’audio alla stampa, appello rilanciato anche dai famigliari di Nada ma a cui nessuno ha mai risposto
Il no della gip al processo e la decisione ribaltata in appello
A marzo 2024 la giudice Angela Nutini aveva prosciolto Cecere perché a suo avviso quelli raccolti dalla procura sono “sospetti“. Sospetti che non possono “portare a formulare una ragionevole previsione di condanna”, come vuole la riforma Cartabia, e che renderebbero “inutile il dibattimento” visto il quadro probatorio per alcuni aspetti “contraddittorio e insufficiente”. Il gup aveva prosciolto anche il commercialista e l’anziana madre Marisa Bacchioni, questi ultimi accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni. La pm Gabriella Dotto aveva fatto appello contro la decisione sostenendo che nella sentenza di proscioglimento c’erano ldiversi “travisamenti, ma anche implicitamente ripetute omissioni di valutazioni di temi e argomenti di fondamentale importanza”. Una sentenza – aveva scritto la Procura che “ha svilito la complessità della vicenda” e in cui viene emesso un “giudizio prognostico di inutilità del dibattimento” che secondo la Procura però “si fonda su erronee valutazioni delle prove, spesso considerate erroneamente meri sospetti, anziché indizi gravi o addirittura prove, e talvolta compromesse da ricostruzioni erronee, palesemente contraddette dagli elementi presenti in atti”. A novembre la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione rinviando a giudizio tutti gli imputati
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