“I piranha baciano gli azzurri pesci-usignolo”. Sull’estremismo lirico di Rolf Bossert

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17 febbraio 1986, Francoforte sul Meno: Rolf Bossert fu trovato morto davanti alla casa accoglienza in cui viveva da pochi mesi, dopo aver ottenuto il permesso d’espatrio dalla Romania alla Germania. Il quotidiano “Bild” l’indomani fece uscire un breve articolo intitolato “Un poeta tedesco si è buttato dalla finestra”, titolo involontariamente gravido di quella macabra ironia che contraddistingue i testi dell’autore.

Bossert era rumeno, ma allo stesso tempo tedesco; era nato a Reschitza, una città che non è tedesca come le altre della Transilvania, ma nemmeno rumena, sebbene faccia parte della Romania dal 1918; nemmeno era una città ceca, slovacca o polacca, sebbene cechi, slovacchi e polacchi vi abbiano vissuto a lungo insieme a tedeschi e rumeni, forza lavoro nell’industria siderurgica che torreggiava proprio sopra le case, avvolgendole in una cupa e fumosa oscurità.

Oggi noi chiameremmo tutto ciò “interculturalità”, ma non dobbiamo dimenticare che per gli scrittori rumeno-tedeschi che provenivano dalla regione del Banato, per quella generazione che non aveva ancora finito di rielaborare gli eventi della Seconda guerra e le loro conseguenze, il confine geografico divenne in poco tempo insormontabile; inoltre, lo stesso sistema culturale, che per un autore di lingua tedesca costituiva a tutti gli effetti una “patria”, passò sotto il controllo del regime di Ceaușescu e della sua Securitate.

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Da quel momento, la vita di Bossert si svolse tra giornate che non prevedevano alcuna libertà di immaginazione e riflessione, salvo il ripetersi di una realtà distorta, vissuta tra la scuola in cui lui e sua moglie insegnavano e gli spazi claustrofobici dove vivevano, come descritto nella poesia Dalla mia vita, del 1977:

noi abitiamo in due stanze di un trilocale
la stanza piccola è grande sette virgola ottantasette
metri quadrati la stanza grande è grande nove virgola
ottantotto metri quadrati la stanza più spaziosa
dell’appartamento è grande quattordici virgola sessantanove
metri quadrati

Non si tratta soltanto di una rappresentazione della vita quotidiana, ma della sua penetrante messa in discussione.

Il vero “radicalismo è sempre banale” aveva scritto il giovane Bossert in una dichiarazione di poetica. Ma cosa è esattamente il banale? La vita quotidiana, gli eventi privi di valore intrinseco? La banalità è apparentemente poco interessante come soggetto poetico, ma nella poesia di questo autore il banale tocca tutti, è esistenziale e la sua portata diviene politica e sociale. La sua forza sta proprio nella combinazione tra banale e poetico, anche parodiando la forma dell’haiku, come nella poesia intitolata domicilio:

Il vano ha spigoli appuntiti,
nessuna voce e nessuno
che senta l’urlo al quadrato.

Oppure, mescolando immagini che a prima vista appaiono incompatibili e il confronto tra l’immagine “bella” e la sua metafora porta il linguaggio in una dimensione fisica, come in Domenica:

Le chiavi dei raggi del sole tintinnano
nelle mani del giorno: come previsto
forzano la serratura (ora avrei bisogno
della pace che non ho mai avuto) Ma il panno
scuro alla finestra protegge fin verso
le undici Poi il giorno mi attira in
strada Dopo due svolte una birra cruda
mi si pianta nello stomaco Credo ancora
che la mia testa sia un osso duro da spezzare
tra così tanti prefabbricati di cemento

La poesia di Bossert appare ispirata dalla riflessività di un Bertold Brecht, ma non dalla sua austerità; i doppi e tripli sensi minano quel confronto permanente con la vita vissuta, così da portare l’autore a porsi la domanda

ma cos’è la realtà?
se ne sta seduta in un programma televisivo
dedicato agli autori di poesia?
si vende per poche parole educate,
qualche riga di bell’aspetto?
è questa?

e infine a rispondere così:

andiamo con una puttana? se lo sai
e poi taci nascondendoti come merda nell’erba,
a cosa serve la tua
saggezza?
perché parlare di saggezza e in modo generico?
dividerci, amici, non è possibile.

La poesia degli esordi di questo poeta era contraddistinta da montaggi linguistici, sgrammaticature, assenza di punteggiatura e influenze che appartenevano alla sfera della poesia concreta, ma tra le righe ciò che veniva preso di mira era l’ipocrita “realismo socialista”, divenuto dottrina ufficiale del paese. Questo rese Bossert sin da subito sospetto agli occhi delle autorità, che contro di lui si accanirono come non mai, arrivando a forme di violenza psicologica e fisica, una pressione feroce che portò l’autore ad avvicinarsi ad una più densa confessione autobiografica attraverso un linguaggio sincopato, ellittico, al limite dell’ermetismo, che ricorda Paul Celan e il suo “soccombere all’assenza della storia”. Tra annotazioni sintetiche interrotte da punti, frasi lasciate in sospensione, metafore isolate e buchi neri di senso, lo spazio immaginario acquista colori prevalentemente scuri su uno sfondo minacciato dalla stagnazione e dall’inerzia, in un’atmosfera aggressiva e notturna, come nella poesia Un minuto di silenzio per Eulenspiegel:

“Interminabile la nenia
del silenzio:

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i morti non ne vogliono più sapere
d’accompagnare il nostro mutismo

al ritmo delle loro palpebre. Sapete:
la vostra strizzatina d’occhi è scordata”.

Oppure, negli stati d’animo che ritroviamo nei versi di un’altra poesia, Resistere allo scampanellio della mungitura del mattino:

“Era come se la notte
mi parlasse, solo per ficcarmi
nell’orecchio l’ossicino
apatico dell’ansia: quello
delle seppie, disorientate
dall’ansioso lieve sussurrio.

Ma io sono un vagabondo.
I miei piedi riposano
sopra viadotti pieni di spifferi.
I miei figli vivono a chilometri
di distanza, sparsi nel paese.
(Lo stile impacciato delle loro lettere,
fa un po’ respirare i censori)”.

Vi si avverte la memoria dolorosa di alcuni eventi della storia rumena e dell’esperienza personale del poeta, segnata dalle ferite dell’era comunista. In un distico si può leggere tra le righe la situazione tesa e contrastante della poesia di quel tempo, intitolata proprio Poesia:

: satolli dell’enorme carcassa delle ideologie
i piranha baciano gli azzurri pesci-usignolo

Tra i cadaveri delle ideologie Rolf Bossert ha scritto le ultime poesie, come un uomo sempre più disgustato dallo stato delle cose, ma seguendo fedelmente la linea di fondo della propria visione, critica, tesa, in cui il verso appare incalzato da intense metafore, suggestioni che raccontano ancora una volta dove noi siamo, noi cosa siamo:

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Tu figlio mio fatto di corallo,
mia dura conchiglia nei sogni.
Tu introverso labirinto.
Io clown uscito dalla bolla di sapone.

Spunta dalle lingue di sabbia un albero,
io vittima del vento delle stelle.
Tu spazio rosso scarlatto!
Dove noi siamo, noi cosa siamo.

In una lettera aperta indirizzata il 14 novembre 1985 a Petru Enache, membro del Comitato Centrale del PCR, Bossert menziona le vessazioni da parte della Securitate, la persecuzione politica e l’oppressione subita per via della sua poesia non conforme alle norme imposte. Alla fine della lettera, Bossert scrive di sentirsi minacciato fisicamente e di non sapere se uscirà indenne dalla situazione creata dell’apparato del partito e dello Stato.

“Vi confesso che nelle condizioni sopra descritte temo per la mia integrità fisica e per quella di mia moglie e dei miei figli”.

Alla fine, il poeta che ha sfondato le regole del linguaggio fino a farne brillare i frammenti e “in quello scintillio fuse paura e desiderio” (come ha scritto l’amica Herta Müller, che nel romanzo Hertzier Cuoreanimale, nella traduzione italiana edita da Feltrinelli nel 2021 – lo raffigura nel personaggio di Georg), quel poeta riuscì a lasciare la Romania, ma dopo pochi mesi i ricordi ossessivi finirono per abbatterlo, mentalmente e fisicamente, togliendogli la forza di vivere, come aveva forse consapevolmente anticipato in questa poesia:

Silenziosamente lui
scavalca il davanzale del balcone,
nel mezzo di un pomeriggio storto.
La morte è dura come il selciato.

Il mio sguardo vitreo,
affilato in profondità mai viste,
si scava una tomba nel fogliame.
Gli alberi se ne stanno immobili
sull’altro lato della strada.

Antonio Curcetti

**

dedica

allo stimato lettore si offre
la fronte e anche le mani
affinché poi possa applaudire la
fine

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*

Paternoster del poeta

Vieni qui; lasciamo
sotto di noi
le strade seducenti! Questo balcone
ai margini delle nuvole
sia il luogo del nostro abitare. Noi abbiamo
        una valigia nera, con dentro
        vaneggiamenti incompiuti,
        disperazione, macigni ingombranti,
e nella frusciante busta di plastica
        due tre libri stufi di parole,
        calzini bucherellati
        e illusioni amorevolmente
        sfamate, inoltre

te ne sarai reso conto: noi stiamo
risalendo la china. Per le narici
è tempo di fiutare
benevolmente verso il cielo –
pieno di spenzolanti grossi alluci.

Come si dilata l’orizzonte! Cosa vedo:
poeti di mia conoscenza si librano
sopra ai tetti, santo Dio,
leccano i piedi –

e io muoio dal ridere, come
se fossero i miei.

*

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2 marzo

spesso il vento porta l’influenza nelle case
lettere che non vanno aperte
esalano primaverile spossatezza
e si diffondono sulle scrivanie

non può essere questo
l’annuncio della primavera

*

appunti sul mattino d’estate

1

un’occhiata al quadrante luminoso
trapassa da parte a parte ogni metafora
volentieri prenderei nuovamente
su di me il peso caldo della coperta

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2

il latte che trabocca
si è bruciato
la cucina del diavolo ha quest’aspetto?

3

togli col pettine la pagliuzza dall’orecchio
la bianca microspia
protegge il tuo ottimismo:

4

burro a volontà
sulla striminzita fetta di pane
sole e fogli di giornale
sul tavolo

5

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sta arrivando il caldo
anche se è ancora troppo presto
non siamo ancora esauriti del tutto
ne approfitteremo

*

autunno nella valle del fiume prahova¹

paiolo di rame, verderame sul bordo.
tintinnanti monete blu
piovono dal cielo,
elemosine di lune passate,
non prova invidia il cappello da zingaro:
anche il cielo paga con gli spiccioli.

¹ Prahova, fiume della Romania che nasce dal massiccio di Bucegi.

*

Vento da moderato a forte

Sono i vetri delle finestre,
non brividi umani.

Per quanto il tuo udito
possa sentirne l’odore.
Andare sui trampoli.

Intelletto senza denti,
senza lingua, memoria.

A sostenermi il vino,
che va giù.

(Ansimare: ma dove,
durante l’incontro, a letto?)

Cambia d’intensità
un rumore.

*

Lamento: un nuovo giorno

La notte vive dentro il giorno,
ma non ha più tempo:
le prime ore del mattino iniziano a urlare.
Penetranti. Da lontano.

Io mi giro pesantemente nel letto.
Sogno, di dormire ancora,
il mio spirito, al momento è muto
come mille pecore morte.

Se mi viene duro (e non sono mica sveglio)
stretto in morbide lenzuola di lino,
porterò poi nel cervello quell’ahhh
e attorno agli occhi i cerchi.

Chi ero io oggi attorno ai dodici anni?
Lavorando non si va lontano.
Il giorno scorre per conto suo.
Il tempo non ha più tempo.

*

Canzone per Frank

Lo vedi, bambino, il mondo intorno a te?
Tieni gli occhi aperti.
Io me ne fotto di me stesso,
sono ubriaco.

Oh, figlio mio, cosa c’è che non va?
Una foglia, un’ombra?
Foglia e ombra volano via.
Forse erano dei ratti.

Lo vedi, bambino, il pozzo profondo?
Ѐ fatto per attingere i giorni.
Abbiamo una lunga notte da passare,
senza contrappeso e bilancino.

Lo vedi, bambino, il mondo intorno a te?
Tieni gli occhi aperti.
Io me ne fotto di me stesso,
sono ubriaco.

*

Sera. Idillio.

Sul prato io le do
una botta in testa.
Non rotola via: qui
non esiste passato,
non si fa la storia.
Sussurra tra i fili d’erba
l’ultima maldicenza.

Sorretta da stampelle rosso
dorate anche la sera zoppica.
Le stelle cadono
sulla mia pancia. I grilli
abitano ai piani alti.

Invisibile io giaccio
in una grande cella.
La chiamo notte.

*

Impromptu¹

Tu vedi
lo squarcio
nel giorno
nella settimana
nel mese

Tu senti
il silenzioso reticolato

Salgemma nelle scarpe
vino grezzo che sostiene

¹ Brano letterario, o più spesso musicale, che ha carattere d’improvvisazione.

Traduzione di Antonio Curcetti



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