La gestione dei rifiuti urbani costa circa 12 miliardi di euro, con differenze profonde lungo lo Stivale. L’adeguamento ai nuovi standard ambientali e di servizio è costato “solo” 79 euro a tonnellata in più in 20 anni, ma resta ancora molto da migliorare

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L’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti urbani contiene un ampio capitolo dedicato ai costi del sistema, con molti dati interessanti, essendo una delle contabilità di settore più ricca e articolata in Europa. Sono dati poco analizzati di solito, visto che più spesso ci si concentra sui dati tecnici del sistema: produzione, gestione, impianti, raccolta differenziata, riciclo.

Il rapporto (con dati relativi al 2023) ci consegna un dato parziale di 10,6 miliardi di euro ma relativo al campione analizzato, pari a 53,7 milioni di abitanti (91,1% del totale). Riportando linearmente questo valore al totale degli abitanti (59 milioni) il costo totale si attesta a 11,6 miliardi di euro. Sembrerebbe questo il valore del costo complessivo annuo nazionale della gestione dei rifiuti urbani, per un valore ad abitante di 197 euro e che viene posto alla base della Tari/Tarip emessa da comuni e/o gestori.

In realtà il costo complessivo è superiore a questo valore, perché una parte dei costi dei gestori è coperta da ricavi diversi dalla Tari/Tarip, come il contributo Conai (0,7 miliardi di euro), la vendita di materiali ed energia (0,3 miliardi di euro), contributi vari a fondo perduto (non rilevabili). Considerato il fattore di sharing è ragionevole pensare che il costo complessivo sia intorno a 12 miliardi di euro. Purtroppo Ispra (né Istat) ci consegna un quadro esauriente del “bilancio economico” del settore, che distingua bene i diversi costi e i diversi ricavi.

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Un altro elemento di confusione è l’indicatore ad abitante espresso da Ispra, che è frutto della divisione fra il totale dei costi e il numero di abitanti residenti. Naturalmente la cifra che ne deriva (197 euro anno a persona) non corrisponde a quanto paga ciascuno di noi in media, ma è soltanto un indicatore generale, di solito affiancato al valore del costo al kg.

Per capire quanto spende una persona o una famiglia dobbiamo considerare quanta parte della Tari/Tarip è imputata agli utenti non domestici e quanta agli utenti domestici. Purtroppo, anche per questa analisi non disponiamo di dati ufficiali. È ragionevole pensare che circa il 40% del gettito Tari/Tarip sia a carico degli utenti non domestici, e che quindi sugli utenti domestici gravi solo il 60% del totale ovvero 7 miliardi di euro. In questo caso la spesa media “vera” ad abitante sarebbe di circa 115 euro all’anno, valore in linea con la valutazione fatta da Cittadinanza attiva e Uil sul peso della Tari su una famiglia media italiana di 3 persone (pari a circa 320/350 euro).

Come si è evoluto il costo della gestione dei rifiuti urbani nel tempo? Ispra produce una tabella interessante che descrive il costo totale per chilogrammo di rifiuto dal 2003 al 2023, valore che è passato da 211 euro tonnellata a 398, quasi un raddoppio di 21 anni (89% in più), a fronte di un’inflazione aumentata nello stesso periodo del 44,5%. Vuol dire che il valore di 211 euro/tonnellata nel 2003 corrisponderebbe nel 2023 ad un valore rivalutato di 319 euro. Una differenza di 79 euro, dovuta ad incrementi di costo unitario relativi a cambiamenti della struttura dei costi: aumento della raccolta differenziata e sviluppo del porta a porta (nel 2003 la RD totale era pari al 21,1% nel 2023 al 66,6%), riduzione dell’uso della discarica, sistema a basso costo (nel 2003 andava in discarica il 60% dei rifiuti urbani, nel 2023 solo il 165%). Ma nel 2003 i rifiuti urbani procapite erano 524 kg, nel 2023 496: l’indicatore a tonnellata potrebbe quindi anche risentire della riduzione dei volumi raccolti. Infine, probabilmente l’aumento netto è dovuto al graduale superamento delle gestioni in economia. L’aumento nel ventennio segue una progressione costante dal 2003 al 2015, per poi stabilizzarsi di fino al 2019, risalire nel 2020 (Covid?) e rimanere stabile fino ad oggi.

Diciamo che la “modernizzazione” del sistema e l’adeguamento a standard ambientali e di servizio ci è costato “solo” 79 euro a tonnellata in più in 20 anni. Possiamo considerarlo un risultato positivo. Al tempo stesso, va detto che l’evoluzione del sistema doveva essere accompagnata da un crescente spostamento del costo del servizio dalla tassa/tariffa ai meccanismi di copertura del costo della Responsabilità estesa del produttore (Accordo Anci/Conai e simili), cosa che è avvenuta solo in parte (nel 2003 era zero, nel 2023 circa 650 milioni di euro su un totale di 12 miliardi).

Purtroppo non esistono dati di confronto e benchmark dei costi della gestione dei rifiuti a scala dei singoli Paesi europei. Messi in ordine questi primi aspetti, è interessante analizzare la dispersione dei valori ad abitante e al kg nelle diverse regioni, con riferimento sia al costo totale che al costo dei singoli segmenti di servizio.

Quanto al costo totale intorno al valore medio nazionale di 197 euro ad abitante, i valori regionali si polarizzano molto, con un minimo in Molise e Lombardia intorno ai 144 euro ed un massimo di 275 in Liguria (quasi il doppio). Simile la situazione dell’indicatore al kg: intorno alla media nazionale di 39,8 i valori regionali si distribuiscono da un minimo di 28,3 (Friuli Venezia Giulia) ad un massimo di 52,2 (Calabria), anche in questo caso quasi il doppio.

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Come è possibile che valori regionali (quindi già in parte mediati) possano essere così diversi? Per capirlo occorre guardare dentro i numeri e ai costi unitari per servizio. Per il costo di raccolta indifferenziata intorno al valore medio nazionale di 20 euro, i valori regionali variano da un minimo di 12 (Molise, Lombardia) a un massimo di 32,9 (Liguria): per questo servizio il rapporto è quasi di uno a tre. Per il costo di smaltimento dell’indifferenziato intorno al valore medio nazionale di 23,6 euro, i valori regionali variano da un minimo di 10,4 (Lombardia) ad un massimo di 47,8 (Calabria): per questo servizio quasi un rapporto da 1 a 5.

Per i costi delle raccolte differenziate intorno al valore medio nazionale di 52,9 euro i valori regionali si distribuiscono da un minimo di 36 euro (Lombardia, che ha una RD del 74,2%) ad un massimo di 71 (Liguria, che ha una RD del 57,8%) con un rapporto di uno a due. Per i costi di spazzamento intorno ad una media nazionale di 24,5 euro, i valori regionali variano da un minimo di 12,3 (Friuli) ad un massimo di 34,4 (Lazio), con un rapporto di quasi uno a tre.

Da questi 4 indicatori si comprende come la variabilità dei costi unitari sia molto elevata, condizionata certo da fattori morfologici e logistici (densità, viabilità), ma soprattutto da moduli organizzativi e tecnologici diversi sia in fase di raccolta che in fase di trattamento e smaltimento, segmento dove non a caso le differenze di costo unitario sono più marcate. Infine, pesano i moduli gestionali (gestioni in economia, gestori integrati o meno, gestioni di area vasta o meno) così come, nell’indicatore ad abitante, pesa l’impatto della gestione del servizio per utenze non domestiche (rifiuti simili agli urbani, turismo).

Difficile quindi fare una “classifica” di regioni più o meno efficienti, anche è possibile dire che regioni con altri tassi di raccolta differenziata e moduli di smaltimento finale semplici ed efficienti (Lombardia), spendono meno delle altre regioni.



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