Il presidente applica la sua logica imprenditoriale alla politica estera mentre Netanyahu ascolta, sorride e lascia fare.
‘L’apprendista’, il film che lo racconta da giovane figlio di papà durante i difficili anni ’70 e i vistosi ’80. Era impegnato nell’attività di grande demolitore e costruttore. Seguiva gli insegnamenti di un Roy Cohn, avvocato repubblicano, diventato faccendiere, amico della importante mafia newyorkese, soprattutto italiana di allora. La prima regola che Cohn spiega nel film e viene adottata subito da Trump fu: “attaccare, attaccare, attaccare”.
L’immobiliarista che ridisegna il mondo
Ancora una volta capo della Casa Bianca, invece di fare politica con i metodi più o meno tradizionali propone una strada meno tortuosa per comprare e vedere terreni (e popoli?) in giro per il mondo anche se appezzamenti più disastrati di quelli del Bronx o nel cuore di Manhattan di una volta. Innanzitutto, dice bisogna sgomberare gli inquilini. In questo caso, un paio di milioni, più o meno di palestinesi. Donne, uomini, bambini stravolti dagli effetti di un anno e mezzo di bombe israeliane. Per loro ha idee non proprio nuove e difficoltà obiettive che, sostiene, una buona trattativa multilaterale dovrebbero riuscire a risolvere.
Il quasi Re saudita socio in affari
L’Arabia Saudita, con il suo quasi re accusato di aver assassinato un cittadino americano (Kashoggi), dovrebbe essere, secondo Trump, il partner con cui trasformare la striscia di Gaza in un paradiso: spiagge e, perché no, casinò scintillanti a disposizione – Atlantic City, una sua impresa non andata proprio bene – di tutti i popoli del Mediterraneo. Ci vorrà del tempo dice – 5 o 10 anni – e, se necessario, per controllare che vada tutto bene, è pronto a inviare la cavalleria. Lui che aveva promesso ai suoi elettori non mandare mai più i giovani americani in uniforme in giro per il mondo è veramente pronto a occupare Gaza con i Marines?
Netanyahu che plaude stupito
Le sue parole hanno sorpreso persino Netanyahu, ospite d’onore alla Casa Bianca. Il capo del Governo israeliano, responsabile della morte di decine di migliaia di palestinesi a Gaza; della distruzione della Striscia; del nuovo assalto alle comunità palestinesi della Cisgiordania, sorrideva quasi incredulo accanto al presidente.
A chi Gaza meglio che agli Stati Uniti?
Più convinto, da subito, che l’idea sia realizzabile il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar. «Gaza non ha funzionato sotto la sovranità egiziana, è stato un fallimento quando è stata consegnata all’Autorità Palestinese come parte degli accordi di Oslo e ha definitivamente fallito sotto il dominio di Hamas… Gaza nella sua forma attuale non ha futuro». «Dunque –sostiene-, è molto importante studiare idee che sono fuori dai soliti schemi». Come il piano di Trump per lo spostamento di massa della sua popolazione.
Non dico tutta, ma oggi una parte considerevole della popolazione ebraica israeliana sogna di svegliarsi un giorno senza più popolo palestinese come vicino di casa. Che siano o non cittadini israeliani, qualcosa come il 20 percento della popolazione.
Trump sorprende gli amici ebrei
Secondo il Wall Street Journal, la proposta di Trump ha sbalordito persino alcuni dei suoi sostenitori più influenti nella comunità ebraica. Uno ha definito l’idea ‘folle’, mentre per altri osservatori sia in USA che in Medio Oriente sembra l’inizio di una trattativa più politica che immobiliare. E invitano a guardare allo slancio furibondo con lui il presidente appena insediato ha confrontato il Canada e il Messico per poi, subito dopo, avviare una serie di trattative.
Tutta la Groenlandia e solo un pezzo di Palestina
Bisogna credere che con le parole pronunciate sul futuro di Gaza e di tutto il medio oriente Trump abbia solo voluto aprire un grande mercato immobiliare. «Prenderemo possesso di quel pezzo (di terra) e lo svilupperemo, e creeremo migliaia e migliaia di posti di lavoro…Vedo un acquisto nostro a lungo termine…».
‘La pace? Un pezzo di questo e un pezzo di quello’
Yasser Arafat ha fallito varie volte a portare a conclusione i processi di pace che forse avrebbero potuto mettere fine al conflitto più lungo della storia contemporanea. Più di una volta mentre lo intervistavo in inglese nei suoi rifugi in giro per il medio oriente per parlare di pace, sorrideva e rispondeva con una
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