Redazione
lavialibera
7 febbraio 2025
Quasi duecento persone, tra presenti e online, hanno seguito giovedì 6 febbraio “Fame chimica”, un incontro pubblico su sostanze, contesti e politiche organizzato da lavialibera e Gruppo Abele.
La prima parte dedicata ai nuovi consumi – dal crack alla cocaina, dai farmaci alle droghe sintetiche – ha visto messo il focus su migranti, donne, giovani e famiglie. Nella seconda parte l’approfondimento si è concentrato invece sulle politiche del governo.
Le nuove sostanze e i loro consumatori
“Dal punto di vista sociale l’uso di sostanze è un fenomeno trasversale che interessa tutte le fasce sociali”
“La probabilità di iniziare ad usare sostanze è molto più elevata in adolescenza e nella prima età adulta – ha spiegato Nadia Gennari dell’Asl di Torino, che ha raccontato l’esperienza di Onda1, un servizio rivolto a giovani fino ai 25 anni –. Dal punto di vista sociale l’uso di sostanze è un fenomeno trasversale che interessa tutte le fasce sociali. Con ogni probabilità un adolescente entrerà in contatto con queste, ma è fondamentale come avverrà: potrà evitarle, fermarsi alla sperimentazione, al consumo ricreativo o intraprendere un uso problematico”.
È importante parlare del consumo femminile perché le differenze biologiche e sociali incidono fortemente
Valentina Mancuso di Itanwud, la rete italiana delle donne che usano droghe, ha sottolineato come la narrazione maschiocentrica sia per le donne un’ulteriore problema: “è importante parlare del consumo femminile perché le differenze biologiche e sociali incidono fortemente: non ci sono studi e informazioni che permettano alle donne di utilizzare in maniera più consapevole e meno rischiosa. Gli stessi servizi di accoglienza sono pensati per un pubblico maschile. Questo comporta il rischio di cadere in una dipendenza molto più alto di quello di un uomo”.
Abuso di farmaci, quando i migranti sono sedati e abbandonati
Migrazioni e farmaci
Altro tema affrontato durante la serata è la farmacodipendenza tra migranti, adulti e minori non accompagnati. Nicholas Medone, autore de lavialbiera e formatore di Itardd ha spiegato anche le ragioni della diffusione di consumo di queste sostanze tra queste popolazioni: “È una questione culturale. La comunità etnica che usa Lyrica e Rivotril in Italia percepisce la società che li ospita come ostile e spesso usa questi farmaci per superare la mancata integrazione. Li usavano già nei paesi di provenienza e la percezione attuale che il numero di utilizzatori sia aumentato è dovuta per lo più alla visibilità delle persone migranti che nel nostro paese vivono in situazioni di marginalità estrema”.
“Le comunità migranti utilizzano i farmaci in maniera problematica ma la sostanza che resta dominante tra coloro che incontriamo in strada è l’alcol. A questo molti abbinano crack e eroina”
Silvia Giannone del Drop-in Gruppo Abele ha raccontato il contatto in strada: “Le comunità migranti utilizzano i farmaci in maniera problematica ma la sostanza che resta dominante tra coloro che incontriamo in strada è l’alcol. A questo molti abbinano crack e eroina. Quando usciamo (in strada, ndr) incontriamo uomini e donne in situazioni sanitarie compromesse. Sono persone difficili da agganciare. Hanno bisogni specifici e necessitano percorsi personalizzati. Spesso questa specificità e i tempi lunghi dei servizi territoriali fa sì che questi si perdano”.
L’effetto della pandemia
Francesco Tocco, un ragazzo che è passato dal Centro crisi del Gruppo Abele come utente, ha raccontato il passaggio dall’uso ricreativo a quello problematico di sostanze: “Sono un dj. Il mio uso era inizialmente legato al mondo della notte. Con la pandemia si è spostato verso la dimensione domestica. Dopo anni di difficoltà il serd della mia città mi ha proposto una comunità con una logica di accoglienza innovativa, a Torino. La mia generazione ha una concezione delle comunità come di posti in cui si sta male, un giudizio dovuto alla rigidità delle strutture assistenziali. Sapevo che la comunità classica non faceva per me ma la proposta del Molo 18, il Centro crisi del Gruppo Abele, mi ha convinto per la concezione adattata al presente. È pensato per persone giovani che usano sostanze oggi di moda, come il crack. C’è attenzione alla diversità, alla soggettività”.
Bisogna tenere conto che la mia generazione ha una concezione delle comunità come di posti in cui si sta male, un giudizio dovuto alla rigidità delle strutture assistenziali. Io sapevo che la comunità classica non faceva per me ma la proposta del Molo 18 mi ha convinto
24 ore con i ragazzi del centro Crisi
“Abbiamo puntato su giovani e giovanissimi, che quasi principalmente consumano crack – ha detto Mauro Melluso, responsabile del Centro crisi Molo 18 –. L’accoglienza classica era pensata per l’eroinomane e vedeva un ruolo fondamentale nell’uso del metadone. Con l’arrivo del crack abbiamo deciso di puntare sulla relazione, con i ragazzi come anche con le famiglie per garantire loro una possibilità di rientro”.
Crack, la droga ninja che “finché non ti ammazza non la vedi”
A conferma del passaggio di alcune sostanze dall’uso ricreativo a quello problematico, Elisa Fornero e Lorenzo Camoletto del Progetto Neutravel hanno spiegato il nuovo ruolo della ketamina: “Il progetto interviene nei contesti del divertimento, come festival o rave. Ogni anno incontriamo decine di migliaia di persone. Dalla pandemia abbiamo notato come si stia diffondendo sempre più la ketamina. Oggi è diventata la ‘dama di compagnia’ della cocaina, sempre molto presente, con un uso combinato, chiamato in gergo Calvin Klein”.
La dimensione familiare
Marco Foglino dello sportello Accoglienza del Gruppo Abele ha poi spostato il focus sulla dimensione familiare. “Consumo, abuso e dipendenza si amplificano in famiglia. Il nostro servizio di accoglienza accoglie chi fa uso, insieme ai genitori o familiari. Dagli incontri vediamo le emozioni delle persone: angoscia, tristezza, paura, inadeguatezza. Sono sistemi familiari che si chiudono su loro stessi. I genitori spesso nascondono in casa il problema. Il nostro primo intervento è di accogliere le loro emozioni, spingerli a condividerle, superare la solitudine che li divora. Solo dopo si dà la possibilità di fare un percorso che produca cambiamenti e un’uscita dalla sofferenza”.
“Consumo, abuso e dipendenza si amplificano in famiglia. Il nostro servizio di Accoglienza accoglie chi fa uso, insieme ai genitori o familiari. Dagli incontri vediamo le emozioni delle persone: angoscia, tristezza, paura, inadeguatezza”
“La prima cosa che emerge – ha concluso Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele – è la diversità tra consumo ricreativo e problematico, una diversità che non è ancora stata accettata dal resto della società. C’è confusione. Oggi c’è un’importante zona grigia dove l’uso ricreativo si fa pre-problematico. Questa è l’area in cui dovrebbero intervenire i servizi. Ma l’offerta non incontra la domanda. Come nel caso dei minori stranieri non accompagnati. Difficilmente i servizi, seppur preparati, riescono a agganciarli perché non rispondo alla loro necessità di miglioramento di una vita già complicatissima”.
La pandemia ha portato a galla una sofferenza collettiva. Per gli utilizzatori di sostanze, questo ha portato verso due strade: implodere o esplodere
La pandemia ha sicuramente manifestato una sofferenza collettiva. Sofferenza che, negli utilizzatori di sostanze, porta a implodere o esplodere. Nonostante i media insistano più sull’esplosione, e quindi sui fatti eclatanti di violenza, il serbatoio più grosso riguarda l’implosione. “Quella che i giovani si tengono dentro è una sofferenza che li attacca a partire dal corpo: lo affamano, lo feriscono, lo alterano con l’uso di sostanze. Per quel che riguarda le persone straniere, possiamo dire che le condizioni create oggi nel trattare l’immigrazione sono giunte a un punto tale di tensione che ragioni di sopravvivenza portano queste persone al disordine sociale. Sembra quasi un disegno voluto per creare paura e lucrarci elettoralmente. Ora la domanda si fa politica: di quali nuovi servizi abbiamo bisogno e quali bisogna potenziare? Occorre rispondere”.
Le mosse del governo Meloni: dal decreto anti-rave alle comunità svuota-carcere
Se l’utilizzo delle sostanze è un mondo complesso e articolato, la politica sembra ridurre il fenomeno, banalizzando alcuni aspetti e dando risposte che cavalcano l’onda di pregiudizi e semplificazioni.
La politica sembra ridurre il fenomeno, banalizzando alcuni aspetti e dando risposte che, secondo gli ospiti, cavalcano l’onda di pregiudizi e semplificazioni che non aiutano
Partendo dall’ultima relazione al parlamento sull’utilizzo di sostanze, nella premessa del sottosegretario Alfredo Mantovano si legge che la riduzione del danno “è ormai ritenuta universalmente non valida”. “Questa affermazione – ha commentato Augusto Consoli, neupsichiatra e membro della Società italiana tossicodipendenze – viene contraddetta all’interno del documento stesso, in cui si fa riferimento proprio a questo metodo nelle attività dei dipartimenti”.
L’adolescenza è l’età dello specchio
Non è l’unica stortura: c’è ancora la divisione tra droghe leggere e pesanti e la falsa impostazione secondo cui chi inizia a fumare cannabis, poi sicuramente passerà ad altre sostanze. “C’è un altro punto importante – ha continuato Consoli –. Nella relazione non si fa quasi mai riferimento al consumo degli adulti e questo risponde a un pregiudizio un po’ paternalistico che il consumo sia un problema da adolescenti”.
Anche le risposte del governo sembrano riproporre una contrapposizione tra servizi pubblici e privati e “così facendo, sembra che i serd e i servizi territoriali siano solo un danno erariale, mentre la soluzione sarebbe spostare i servizi in grandi comunità terapeutiche private”.
La salute passa in secondo piano
L’approccio governativo sembra orientato verso “una limitazione continua della libertà” commenta Pino Di Pino della Rete italiana riduzione del danno (Itardd). “Le persone vengono spinte ai margini della società e stigmatizzate nel nome di una sicurezza che negli ultimi anni ha completamente cambiato significato”. Di Pino ha sottolineato come alcune politiche governative siano portate avanti in base a una moralità che indica le persone che usano sostanze come non meritevoli di accedere a servizi come quello della casa, di un posto in comunità, di poter emanciparsi o diventare indipendenti. Secondo Alessio Guidotti di ItanPud, network italiano delle persone che usano droghe, la marginalizzazione è una diretta conseguenza del fatto che le decisioni politiche vengono prese senza il reale coinvolgimento di chi utilizza le sostanze. “La salute così passa in secondo piano, mentre la criminalizzazione si estende. Il proibizionismo però fa solo danni”.
Politiche antidroga: luci sul fentanyl, ombre sul resto
Ecco perché, per dare risposte ai cittadini che ci sono necessità, bisogna creare servizi integrati sul territorio, nei luoghi dove serve. È questo uno degli spunti lanciati da Alfio Lucchini, di Federserd, federazone operatori dei dipartimenti e servizi dipendenze, che ha messo in luce come da una parte sia fondamentale la relazione con le persone che utilizzano sostanze, dall’altra serve presidiare anche i tavoli della politica.
I decreti estivi del governo Meloni
Le decisioni del governo sul tema delle sostanze sono frammentate in vari decreti, come quello approvato d’urgenza la scorsa estate dal ministro Nordio, il cosiddetto “Svuota carceri”. “Da una parte – ha spiegato Caterina Pozzi del Coordinamento nazionale comunità accoglienti (Cnca) – il capo del dicastero alla Giustizia dice che le persone con dipendenza e con disagio psichico non sono criminali, dall’altra però il 30 per cento di chi è detenuto ha avuto a che fare con le sanzioni penali legate al decreto 309/90 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, ndr)”. Il Cnca ha chiesto di conoscere l’elenco delle strutture che saranno utilizzate come “svuota-carcere”. “Non c’è ancora un elenco per sapere dove saranno”.
Cosa si muove: dimensione internazionale e reti territoriali
Qualche segno di speranza arriva invece da ciò che si muove oltre i confini nazionali. “L’obiettivo delle Nazioni Unite è un mondo senza droghe. – è intervenuta Susanna Ronconi del Forum Droghe – Un obiettivo disatteso perché significherebbe portare il consumo a zero”. Nei contesti internazionali, “Mantovano usa un linguaggio e dei concetti che utilizzano paesi come la Cina, l’Iran e la Russia”. Ad arginare queste posizioni c’è l’Unione europea, che in queste sedi politiche globali vota compatta, a eccezione dell’Ungheria e dell’Italia, che nel 2009 decise di non allinearsi a tutti gli altri Stati e, in questo modo, affossare la risoluzione a favore della riduzione del danno. “Ora le agenzie per i diritti umani stanno sgomitando per entrare a fare parte delle politiche sulle droghe – ha proseguito Ronconi –. Questo è possibile grazie a tutto il lavoro dei movimenti”.
Nei contesti internazionali, l’Italia usa un linguaggio e dei concetti che utilizzano paesi come la Cina, l’Iran e la Russia
Stimolare la creazione di luoghi di condivisione, valorizzare il protagonismo di esperti e operatori, costruire un linguaggio comune intorno al tema delle sostanze sono alcuni obiettivi della Rete Elide, di enti locali per l’innovazione sulle droghe. “Non si può ridurre tutto a una questione di sicurezza e di ordine pubblico – ha affermato Jacopo Rosatelli – ma serve affrontare il fenomeno nell’interesse e nel rispetto dei diritti e delle libertà delle persone”.
Ezio Farinetti, psicologo e formatore dell’Università della strada del Gruppo Abele, ha infine ricostruito alcune traiettorie comuni a questi interventi: “Il paradigma repressivo rischia di disumanizzare dei target specifici, come i migranti, i giovani, i poveri. La retorica si concentra sulla sostanza, dimenticando le persone. Si può uscire da questo oscurantismo solo riballendosi a un’impostazione ideologica”.
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