Dialoghetto sulla libertà ai tempi del declino dell’Occidente

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#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Due giornalisti, due amici, uno alla soglia della pensione, hanno accettato che riportassi, a modo mio, questo loro “dialoghetto morale” e lo pubblicassi.

Una domenica di gennaio, ci siamo trovati tutti e tre in riva a un mare livido, davanti a un piatto di trofie al pesto (versione antica, quella con patate e fagiolini) e a un vermentino profumato. Loro parlavano, io ascoltavo. Sapevano del mio assoluto rispetto verso il “sigillo sacramentale” che era, e dovrebbe ancora essere, alla base del giornalismo: la riservatezza fra colleghi. Inizia il giornalista più giovane (A), risponde l’altro (B).

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A: Nella storia del mondo la libertà non è mai stata un pasto gratis. Figuriamoci per noi giornalisti!

B: È così.

A: Eppure i vecchi mi dicono che la libertà si possa comprare. Tu che dici?

B: Sì, si può comprare.

A: Tu che ne sai una più del diavolo, qual è lo strumento principe per una transazione lavoro-denaro-libertà?

B: Il denaro!

A: Quindi, per avere la libertà si deve pagare?

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B: È così. Comunque, meglio pagare che rimanere “servomuto” a vita.

A: Mi piace questa definizione da spogliatoio ZTL: “servomuto”. Se ho capito bene, quando lavoro sono un “servomuto”, divento libero solo dopo essere stato pagato?

B: È così.

A: Libero ma dimezzato. Libero solo di spendere il denaro guadagnato da “servomuto-consumatore”?

B: È così. Di più, un giorno ti diranno che dovrai “consumare” solo quello che Loro vorranno!

A: Ti rendi conto di cosa hai detto? Hai usato il temine “Loro”, perdipiù in senso dispregiativo! Sei impazzito? E se il caporedattore lo venisse a sapere?

B: Chi? Quello con il fermacravatta simil oro? Il mascalzone introverso di ogni redazione?

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A: Sì, proprio lui!

B: Scusami, mi sono lasciato andare, non ne posso più. Ti rendi conto come siamo ridotti? Loro si stanno prendendo tutto, i lettori ci disprezzano, come categoria siamo alla frutta, eppure bisticciamo fra noi! Capisci? Fra di noi!

A: Dimmi, è ancora valida la libertà costituzionale fra il dare e l’avere?

B: Sulla carta sì.

A: Secondo te saprò essere un consumatore libero, almeno sulla carta?

B: Sulla carta sì. E come amico te lo auguro. In tutta onestà, devo però dirtelo: non ci credo.

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A: Allora, anche la libertà di stampa, nella quale tu e io abbiamo creduto e lottato, non esiste più?

B: Per noi giornalisti perbene non è mai esistita! Ci hanno gabbato fin dal primo giorno in redazione! E noi ci siamo fatti gabbare! Ci hanno sempre considerato il “servomuto” sul quale ogni sera gettare i loro indumenti, i loro problemi, le loro sporcizie! Nostro compito era la mattina dopo fare il bucato per ripulire la loro narrazione (ricordi il mitico ”Dash lava così bianco che più bianco non si può”?) tutta basata su verità non dette, semi menzogne varie per assicurare quello che Loro chiamavano “lo sviluppo controllato dell’informazione”. In questa locuzione c’era e c’è la ciccia di cosa è diventato il nostro lavoro e il nostro ruolo. Nel linguaggio di oggi, come dice quello, sono le ignobili fake truth del mainstream che ci impongono, dicendo che combattono le fake news.

A: Allora, che fare?

B: Prendere atto che noi giornalisti apparteniamo sì all’élite, ma all’élite dei morti di fame. Infatti, guarda a che punto sono scese le nostre libertà e i nostri compensi. Però i direttori e i nostri editori ci dicono che noi rappresentiamo la fascia alta della cultura! E’ questo che vogliamo? Essere la fascia alta di un mondo miserabile?

A: No certo, quindi?

B: Quando la linea editoriale si fa palese menzogna il giornalista perbene si guarda allo specchio e dovrebbe gettare la penna!

A: Facile farlo se sei vicino alla pensione, come te!

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B: Hai ragione! Comunque, se vogliamo sopravvivere, è giunto il momento di decidere. Hai notato? Ogni volta che ci incontriamo, il nostro linguaggio diventa via via irriconoscibile, è pieno di rancore, parliamo sempre e solo delle miserie umane della redazione, del direttore, dell’editore, miserie nelle quali siamo stati immersi, e delle quali siamo ormai prigionieri.

A: Certo, abbiamo a che fare con dei tossici, ci stanno intossicando, lo capiamo ma non reagiamo!

B: Finalmente hai capito. Siamo immersi in una realtà aliena che non ci deve più appartenere. Ogni giorno dobbiamo fingere di svegliarci, pur sapendo che non siamo mai andati a dormire. E continuare a scrivere cose ignobili con linguaggio servo. Io mi fermo qua. Appena puoi, fallo anche tu!

Qualche tempo dopo, sull’angolo del grande viale che spacca in due la città (di qua la ZTL allargata, di là le diverse periferie) i due amici si scambiano un abbraccio affettuoso: sanno che non si vedranno più. Poi, uno svolta a sinistra, l’altro a destra.



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