Il prossimo 8 febbraio, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, visiterà Nova Gorica per inaugurare GO!2025, la prima Capitale Europea della Cultura transfrontaliera.
La designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica, avvenuta nel 2021, ha segnato un momento storico per due città un tempo divise da un rigido confine.
Fino a trent’anni fa, un filo spinato separava le due comunità, testimoni di una frattura profonda che ha ricordato a molti le divisioni tra Berlino Est e Berlino Ovest: famiglie spezzate, ricordi interrotti e un futuro incerto offuscato da barriere fisiche e ideologiche.
L’assegnazione dimostra come la diversità non sia un ostacolo, ma una risorsa capace di arricchire il territorio e chi lo abita.
Il 10 febbraio, due giorni dopo, al Quirinale si celebrerà il Giorno del Ricordo, istituito per onorare la memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati.
La vicinanza tra questi due eventi sottolinea il profondo legame tra cultura e memoria storica, ricordandoci quanto sia importante riconoscere le identità e le vicende del passato per costruire un futuro di comprensione e pace.
Istituito nel 2004 con un’ampia convergenza parlamentare, il Giorno del Ricordo rappresenta un’occasione di riflessione su una delle pagine più dolorose della storia nazionale, a lungo rimasta ai margini della narrazione pubblica.
Uno dei testimoni di quella lacerazione fu lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, che, nel 1960, nel suo romanzo “Materada” descrisse il dolore e le contraddizioni della sua terra:“La guerra tutti l’abbiamo provata, e anche la Liberazione che si portò dietro altri lutti e altre miserie”. Parole che restituiscono l’immagine di un confine dove la fine del conflitto non significò, per tutti, la fine della sofferenza.
Il 10 febbraio 1947, con la firma del Trattato di pace di Parigi, l’Italia cedette alla Jugoslavia l’Istria, Fiume, Zara e le isole del Quarnaro.
Fu l’inizio di un esodo doloroso: migliaia di italiani abbandonarono le loro case, portando con sé i ricordi di una vita e l’incertezza di un futuro da ricostruire.
Non lasciavano soltanto una terra, ma una parte della loro identità.
Il confine orientale ha rappresentato, nel secolo scorso, una delle aree più tragicamente segnate dalla storia. A pochi chilometri di distanza si trovano due luoghi simbolo delle atrocità dei regimi totalitari: la Risiera di San Sabba, unico un campo di concentramento nazista in Italia dotato di un forno crematorio, e la Foiba di Basovizza, divenuta emblema della repressione titina contro la comunità italiana.
Questa drammatica vicinanza racconta l’impatto devastante del fanatismo ideologico, che ha lacerato il tessuto sociale di quelle terre, lasciando ferite profonde e memorie difficili da ricomporre.
Per decenni, un muro di silenzio ha avvolto le sofferenze degli italiani, uccisi nelle foibe o costretti all’esodo, alimentato da imbarazzo, rimozione e opportunismi politici.
E’ essenziale riconoscere che quella pagina di storia non può essere ridotta a una vendetta contro il fascismo, il cui dominio in quelle terre fu segnato da politiche oppressive verso le popolazioni slave.
Le violenze delle foibe colpirono indiscriminatamente funzionari, militari, sacerdoti, intellettuali e comuni cittadini, spesso senza legami con il regime fascista. Persino partigiani e antifascisti non furono risparmiati, colpevoli solo di essere italiani e di sognare un futuro di democrazia e di libertà.
Il percorso verso la riconciliazione è stato complesso. La storia impone di conoscere e riconoscere le responsabilità, onorando il dolore senza trasformarlo in strumento di divisione.
Le difficoltà e le incomprensioni non sono mancate, ma Italia e Slovenia hanno saputo superarle, costruendo un partenariato solido e articolato, basato sulla volontà di un futuro comune.
La visita del Presidente Francesco Cossiga a Lubiana, il 17 gennaio 1992, rappresentò una svolta nei rapporti tra Italia e Slovenia. In un contesto ancora segnato dalle tensioni per la dissoluzione della Jugoslavia, la sua presenza sancì il riconoscimento dell’indipendenza slovena da parte dell’Italia.
Con la firma della dichiarazione che avviava le relazioni diplomatiche, si aprì una nuova fase di cooperazione, culminata nel Memorandum di Bruxelles del 2007, un accordo volto a valorizzare l’Alto Adriatico come un’area di crescita e integrazione.
Un altro momento simbolico si ebbe il 13 luglio 2010, quando Trieste, da sempre crocevia di culture e memorie, ospitò il Concerto dell’Amicizia, alla presenza dei Presidenti di Italia, Slovenia e Croazia, Giorgio Napolitano, Danilo Türk e Ivo Josipović.
L’evento divenne il simbolo di un nuovo capitolo nei rapporti tra i tre Paesi. Con la firma di una dichiarazione congiunta, venne ribadita la volontà di far prevalere ciò che unisce su ciò che, nel Novecento, aveva dolorosamente diviso, in un secolo segnato da guerre, esodi e oppressioni.
Dieci anni dopo, il 13 luglio 2020, un’altra immagine potente suggellò il cammino della riconciliazione: i Presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor si recarono insieme alla Foiba di Basovizza e al monumento ai fucilati del TIGR, i quattro giovani sloveni giustiziati nel 1930 per attività antifascista.
Il loro silenzioso omaggio, con le mani strette in segno di unità, fu un gesto di valore simbolico: il riconoscimento condiviso di un passato doloroso e la volontà di superarlo nel segno del rispetto reciproco.
Nell’aprile 2024, l’Aula Magna dell’Università di Trieste ospitò la cerimonia di conferimento della Laurea Magistrale honoris causa ai Presidenti Mattarella e Pahor. Un tributo a due leader che hanno saputo trasformare il confine italo-sloveno da linea di divisione a ponte di dialogo.
Mattarella e Pahor hanno incarnato una visione moderna dell’ amor di patria, non ancorata a contrapposizioni nazionalistiche, ma inserita in una dimensione europea, dove il rispetto reciproco e la condivisione della storia diventano strumenti di convivenza pacifica.
Negli ultimi trent’anni, Slovenia e Italia hanno ridefinito il concetto stesso di confine, promuovendone una visione in linea con l’idea di un’Europa come spazio d’integrazione, in cui le diversità culturali si rivelano una ricchezza comune.
Nella cornice europea un crescente senso di appartenenza ha dissolto le ombre del passato.
L’ingresso della Slovenia nelle istituzioni europee è stato un successo straordinario, un esempio di transizione politica e economica che ha ispirato altri Paesi candidati.
L’Unione Europea ha rappresentato un potente acceleratore di integrazione: Paesi che un tempo si trovavano su fronti opposti durante la Seconda Guerra Mondiale possono oggi condividere un destino comune.
Il confine italo-sloveno è divenuto il simbolo di un’Europa capace di riconciliare il passato e costruire un futuro di unità.
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