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Giù dalle montagne! Se non arrivi a 600 metri, il governo ti lascia senza aiuti #finsubito prestito immediato


Ieri, eri un Comune definito “montano” e quindi con la possibilità di accedere ai fondi stanziati dall’Europa, dal Governo e dalle Regioni. Oggi, per magia, quella “montanità” non esiste più.

Non è un gioco di prestigio, è solo un decreto. Con 29 articoli intessuti come un arazzo, il Senato ha approvato in prima lettura un disegno di legge per lo “sviluppo delle zone montane”.

Obiettivo? Promuovere la crescita economica e sociale delle aree in quota, addirittura come «interesse nazionale», dice l’entusiasta ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli.

È un primo risultato concreto e importante per questi territori, per i cittadini che vi risiedono e per chi vuole investire nelle potenzialità della montagna”, proclama. Non proprio per tutti i cittadini della montagna, però. Solo quelli che possono guardare la pianura dall’alto in basso.

Già, perché tra i requisiti per essere definiti “montani” non basta abitare in un territorio disagiato, con strade accidentate e servizi scarsi. No, servono i 600 metri d’altitudine, altrimenti sei fuori.

Che sia un comune di collina, mezza montagna o paesi che hanno sfiorato la vetta (della dignità) poco importa. Da oggi, se stai sotto i 600 metri, sarai “pianura” o al massimo “collina”.

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Certo, non è un insulto, ma perdi tutte quelle agevolazioni contro lo spopolamento: addio incentivi per medici e operatori sanitari, per insegnanti e imprenditori under 41. Niente fondo per lo sviluppo della montagna italiana (FOSMIT) per te, anche se il fondo stesso si regge su ben oltre 200 milioni di euro, una somma che il ministro definisce “un buon punto di partenza”. Di arrivo non si parla.

Le opposizioni, tuttavia, non la vedono così idilliaca. Definiscono il Ddl un «sacco vuoto spacciato per svolta storica». E non sono pochi a condividere il malcontento: anche molti sindaci, già stretti nella morsa dei bilanci ridotti, non si spiegano come mai, d’un tratto, un parametro altimetrico possa definire l’identità, e quindi il diritto, delle loro comunità di rientrare nella lista dei “Comuni montani”.

Nel disegno di legge, il Senato ha previsto una serie di agevolazioni teoriche per garantire l’accesso ai servizi pubblici, come la digitalizzazione, la tutela dell’ambiente, e una gamma di garanzie che spaziano dall’istruzione alla sanità, agli uffici postali e alle banche.

Ma il primo obiettivo della legge è un altro, assai pratico e senza fronzoli: tracciare un confine netto, una linea burocratica basata su altitudine e pendenza. Entro 90 giorni dall’entrata in vigore del testo, un decreto del presidente del Consiglio dei ministri dovrà stilare la lista ufficiale dei Comuni montani, da aggiornare rigorosamente entro il 30 settembre di ogni anno. Come dire: oggi sei montano, domani vediamo. Ogni tre anni, poi, una rinfrescata: un nuovo Dpcm per decidere chi merita di restare in cima alla lista dei finanziamenti e chi deve essere lasciato al proprio destino.

Tra chi non ha esitato a esprimere la propria indignazione c’è Fausto Francisca, sindaco di Borgofranco d’Ivrea, che ha definito la norma “inutile e dannosa”. “I 600 metri lasciano fuori pezzi di vera montagna in Piemonte come in tante altre regioni. Che si sappia. Poi vada Calderoli a dirlo ai sindaci” – ha dichiarato senza mezzi termini. Il sindaco sottolinea anche che “togliere la montanità a 2.000 comuni è una decisione priva di senso, specialmente per l’Appennino.”

Nella lista lista dei nuovi “declassati” che, in provincia di Torino, rischiano di scendere dal podio della montagna troviamo Carema, Quincinetto, Settimo Vittone, Quassolo, Tavagnasco, Nomaglio, Issiglio, Vidracco, Vistrorio in Valchiusella, Borgiallo, Levone, Pont Canavese. Per non parlare di Pessinetto, Prascorsano, Forno, Sparone, Lanzo, Rocca.

La legge prevede che entro un anno il Governo riordini la normativa vigente in materia di agevolazioni fiscali per i Comuni montani e deleghi al ministro per gli Affari regionali la responsabilità di varare, ogni tre anni, una “Strategia per la montagna italiana” che tenga conto delle priorità e direttive di ciascuna Regione. Già si immaginano i volumi delle carte e dei dossier, uniti dalla grande regia della montagna che incombe.

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Per far fronte a questo piano decennale, il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, istituito con la legge di bilancio del 2022, prevede una dotazione di 200 milioni di euro dal 2023, che dal 2025 finanzierà interventi di competenza regionale e statale. Il riparto? Sarà sempre regolato da un decreto ministeriale, rigorosamente. I fondi, secondo il disegno di legge, sono aggiuntivi a ogni altro trasferimento o beneficio fiscale, a ogni altra elargizione di Stato e Unione Europea, “per non disturbare la pacchia,” potremmo dire, con un impeto di orgoglio nazionale.

Insomma, è una nuova storia che sembra piuttosto la riscrittura della Legge 97 del 1994, ormai dimenticata nel cassetto dei buoni propositi.

Oggi i Comuni montani sono 4.176, dei quali 3.524 sono classificati come “totalmente montani” e 652 come “parzialmente montani”, coprendo circa il 49% del territorio nazionale. Con questa nuova normativa, i numeri potrebbero crollare drasticamente, come suggerisce la matematica a chi può guardare le montagne dal basso in alto.

La nuova legge sulla montagna? Per UNCEM è un’illusione: “Un parametro altimetrico non basta a definire chi merita aiuti”

La nuova legge nazionale per la montagna, approvata in Senato con la promessa di garantire sviluppo e sostegno ai territori montani, si sta già rivelando oggetto di controversie e profonde perplessità, soprattutto da parte dell’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Montane) che qualche tempo se l’era studiata e aveva inviato un documento con una lunga serie di controproposte.

Non è difficile capire il perché: al di là delle intenzioni dichiarate, la legge sembra rispondere solo in parte alle reali necessità di chi vive e opera in queste zone. L’altitudine, ad esempio, diventa il criterio guida per definire cosa sia o non sia “montano,” escludendo così centinaia di comuni che fino a oggi avevano accesso ai fondi necessari per il loro sviluppo e la loro sopravvivenza.

Secondo la nuova classificazione, solo i comuni che si trovano a un’altitudine superiore ai 600 metri potranno usufruire delle agevolazioni previste dalla legge. Questo criterio suscita l’immediata critica di UNCEM, che da tempo invita il legislatore a considerare anche parametri di tipo economico e sociale.

“Non basta la quota altimetrica per definire cosa sia un comune montano,” dichiara UNCEM, che sottolinea come la montagna non sia fatta solo di metri sul livello del mare, ma di condizioni di vita specifiche, di difficoltà logistiche e di isolamento. “È ridicolo – prosegue l’ente – pensare che un comune a 550 metri, con strade dissestate, un’economia fragile e una popolazione in calo, non sia degno di aiuti perché non arriva a 600 metri. Si tratta di un parametro iniquo che ignora l’enorme diversità orografica e sociale tra Alpi e Appennini, e più in generale tra le montagne italiane.”

UNCEM punta il dito anche sulla mancanza di una vera riorganizzazione istituzionale, che lasci le comunità locali ad arrangiarsi da sole. Le Comunità Montane, che per decenni hanno rappresentato un riferimento per i servizi associati, la protezione del territorio e lo sviluppo locale, sono state smantellate o svuotate di poteri e risorse.

Oggi solo tre regioni italiane le mantengono attive, mentre le altre, specie nelle aree appenniniche, si trovano prive di un organismo che possa coordinare interventi e risorse. La nuova legge, però, non propone soluzioni.

“Non serve ripetere che i comuni montani sono deboli e frammentati – commenta UNCEM – senza dare loro strumenti per collaborare, per lavorare insieme. Questa legge manca di una visione d’insieme: senza una rete istituzionale di supporto, i singoli comuni restano soli e poco attrezzati per affrontare le sfide sociali, economiche e climatiche a cui sono esposti.”

Un’altra nota dolente è rappresentata dal Fondo per lo Sviluppo delle Montagne Italiane (FOSMIT), con una dotazione di 200 milioni di euro all’anno, di cui metà destinata a interventi di competenza statale. Questa suddivisione non è ben vista da UNCEM, che chiede di destinare l’intero fondo alle regioni e agli enti locali, così che siano direttamente i territori a disporre delle risorse in base alle loro priorità. “È incomprensibile trattenere 100 milioni a livello statale, quando queste risorse dovrebbero essere assegnate direttamente ai comuni e alle regioni che conoscono le proprie esigenze meglio di chiunque altro,” sostiene l’associazione. L’UNCEM non chiede la luna: suggerisce semplicemente di “includere un fondo statale separato, almeno da 100 milioni annui, dedicato agli interventi nazionali,” lasciando il FOSMIT interamente alle comunità locali. Solo così, dice l’ente, si può sperare in una gestione che tenga conto delle specificità di ciascun territorio e che possa rispondere in modo tempestivo alle emergenze.

A questo si aggiunge il tema spinoso della fiscalità differenziata, sulla quale la legge accenna soltanto.  Secondo Uncem, le attuali agevolazioni fiscali sono inadeguate, incapaci di frenare l’emorragia di popolazione dalle aree montane.

“Abbiamo bisogno di soluzioni più coraggiose: No Tax Area, Zone franche montane, incentivi veri, non di mere promesse,” insiste l’associazione, che ricorda come il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, abbia più volte sottolineato la necessità di una fiscalità agevolata nelle aree montane. Eppure, le parole del Capo dello Stato, come quelle di molti esperti, sembrano cadute nel vuoto.

Infine, UNCEM esprime grande scetticismo sulla “Strategia per la Montagna Italiana” delineata dal disegno di legge. La strategia dovrebbe coordinare gli interventi nazionali con quelli regionali e integrare altre iniziative come la Strategia nazionale per le Aree interne e la Strategia delle Green Communities, ma, per l’UNCEM, rischia di rimanere una dichiarazione di intenti. “Ci vuole un’azione concreta, un coordinamento reale – afferma UNCEM – per evitare che queste strategie diventino tante linee guida che restano solo sulla carta.”

La legge sembra quindi lontana dal garantire quei livelli essenziali di prestazioni che il Titolo V della Costituzione impone di garantire anche nelle aree più svantaggiate del Paese. UNCEM chiede che il legislatore consideri che le difficoltà della montagna non sono solo climatiche o logistiche, ma riguardano anche la tenuta sociale e demografica di intere comunità che rischiano di scomparire. Conclude l’associazione: “Servono interventi urgenti, non promesse di fondi che poi restano vincolati in attese burocratiche interminabili. Se non si agisce subito, molte delle nostre montagne diventeranno deserti sociali.”

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In definitiva, le perplessità di UNCEM mettono in luce una realtà molto distante dalle visioni trionfalistiche che accompagnano spesso le nuove leggi. Dietro le promesse e le parole, infatti, si nascondono insidie che potrebbero mettere in ginocchio quei territori che la legge intende proteggere.

L’UNCEM esprime diverse perplessità riguardo alla nuova legge nazionale per la montagna. In particolare, sottolinea quanto segue:

  1. Classificazione dei Comuni Montani: L’UNCEM critica l’uso del solo criterio altimetrico (600 metri) per la classificazione, poiché non tiene conto di fattori sociali ed economici, come il calo demografico o la difficoltà di accesso ai servizi essenziali. Inoltre, considera inadatta una nuova classificazione che potrebbe escludere molti comuni che storicamente rientrano tra quelli montani​.

  2. Riorganizzazione Istituzionale Assente: La legge non prevede una riorganizzazione delle istituzioni montane. La scomparsa delle Comunità Montane in molte regioni ha lasciato un vuoto organizzativo, e UNCEM ritiene necessario promuovere una maggiore cooperazione tra i comuni, attraverso un sistema istituzionale che favorisca il lavoro associato per garantire servizi e sviluppo socioeconomico​.

  3. Ruolo delle Regioni: UNCEM rileva che solo poche regioni dispongono di una legislazione specifica per le aree montane. Chiede una norma di coordinamento che impegni tutte le regioni ad adeguare la propria legislazione e a destinare fondi regionali pari a quelli statali per sostenere questi territori.

  4. Fondo per la Montagna (FOSMIT): Il 50% dei fondi viene riservato allo Stato per interventi nazionali, il che, secondo UNCEM, riduce le risorse a disposizione dei comuni. L’organizzazione suggerisce di raddoppiare i fondi per le regioni e gli enti locali e di aggiungere un fondo statale separato per gli interventi di competenza nazionale​

  5. Fiscalità Differenziata: UNCEM propone di ampliare l’uso di incentivi fiscali nelle zone montane, come No Tax Area e Zone Franche Montane, per contrastare lo spopolamento. Il sistema attuale di differenziazione fiscale è considerato insufficiente e necessita di ulteriori agevolazioni​





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