Il carrello della spesa è da sempre un termometro del benessere economico delle famiglie, ma negli ultimi anni è diventato anche uno specchio fedele di come l’inflazione possa ridefinire abitudini, priorità e strategie di consumo. Uno studio recente firmato da Alberto Cavallo (Harvard Business School) e Oleksiy Kryvtsov (Bank of Canada) e pubblicato sul Journal of Monetary Economics fa luce su due fenomeni cruciali: il ruolo degli sconti nel contenere i costi per i consumatori e l’ascesa della “cheapflation”, che sta cambiando radicalmente il panorama della spesa quotidiana.
Gli sconti: un’ancora che si indebolisce
Quando i prezzi salgono, gli sconti rappresentano una boccata d’ossigeno per i consumatori, ma lo studio dimostra che la loro capacità di compensare l’inflazione è limitata. Analizzando dati provenienti da 91 grandi retailer in 10 Paesi tra il 2015 e il 2024, emerge che i prezzi scontati sono aumentati a un ritmo più lento rispetto a quelli regolari: un dato che potrebbe sembrare rassicurante. Tuttavia, in un contesto di inflazione media annuale del 7-8%, i prezzi scontati hanno comunque registrato un incremento medio del 5-6%, con picchi nei segmenti alimentari e dei beni essenziali. Il divario tra prezzi regolari e scontati si è progressivamente ridotto, passando dal 22% nel 2019 al 16% nel 2023. Questo significa che il valore percepito degli sconti è diminuito, limitando la loro efficacia come strumento di risparmio per i consumatori.
Cheapflation: quando risparmiare costa di più
Ma è la “cheapflation” il fenomeno più dirompente: un termine che indica l’aumento dei prezzi dei prodotti più economici a un ritmo superiore rispetto a quelli premium. L’analisi di Cavallo e Kryvtsov rivela che, tra il 2020 e il 2024, i prezzi dei prodotti economici sono cresciuti mediamente del 12-15% in più rispetto a quelli premium, con differenze particolarmente marcate nei beni alimentari confezionati (+18%) e nei prodotti per la casa (+14%).
Come si spiega questo squilibrio? La dinamica è il risultato di fattori sia dal lato della domanda che dell’offerta. Da un lato, i prodotti economici sono spesso più vulnerabili alle oscillazioni dei costi delle materie prime e della logistica globale. Dall’altro, l’aumento della domanda di prodotti a basso costo – guidato da una progressiva perdita di potere d’acquisto delle famiglie – ha creato pressioni inflazionistiche anche su questo segmento.
Un esempio emblematico riguarda i beni di largo consumo come pasta e riso: i marchi economici hanno visto crescere i prezzi del 28% tra il 2021 e il 2023, contro il 15% dei marchi premium. Allo stesso tempo, i discount hanno registrato un aumento medio del 22% dei prezzi su articoli di fascia bassa, attirando comunque una quota crescente di consumatori
Chi paga il prezzo della cheapflation?
Il fenomeno della cheapflation non è solo un problema economico, ma anche sociale. Le famiglie a basso reddito, tradizionalmente orientate verso prodotti e marchi economici, sono quelle che subiscono il maggiore impatto. Secondo lo studio, in Europa e Nord America, queste famiglie hanno visto ridursi del 10% il potere d’acquisto nei segmenti di prodotto più accessibili. La conseguenza diretta è un peggioramento delle disuguaglianze. Mentre le famiglie con redditi medi e alti riescono a mantenere le proprie abitudini di consumo, quelle a basso reddito sono costrette a ridurre ulteriormente la qualità o la quantità dei beni acquistati.
Quale futuro per i consumatori e i retailer?
Lo studio offre spunti importanti per il futuro delle politiche di pricing e delle strategie commerciali dei retailer, che dovranno affrontare una doppia sfida: da un lato, mantenere prezzi competitivi per i segmenti più vulnerabili; dall’altro, preservare i margini di profitto in un contesto di costi operativi in aumento. Soluzioni come la maggiore trasparenza nei prezzi, l’ottimizzazione delle supply chain e lo sviluppo di strategie di fidelizzazione basate sul valore -e non solo sul prezzo- potrebbero rappresentare una via d’uscita.
Dal lato dei consumatori, la capacità di adattarsi a questo nuovo scenario sarà fondamentale. Il ricorso crescente a marchi del distributore, il consolidamento della spesa attraverso acquisti meno frequenti ma più mirati e l’utilizzo di strumenti digitali per comparare i prezzi sono alcune delle strategie già in atto per affrontare l’incertezza economica.
Un carrello che racconta il mondo
La “cheapflation” e il calo del potere d’acquisto dei consumatori ci ricordano che il carrello della spesa non è solo una lista di prodotti, ma un microcosmo in cui si riflettono le grandi dinamiche globali: inflazione, disuguaglianze, crisi delle supply chain.
Se c’è una lezione da trarre da questa analisi, è che il futuro del retail non potrà prescindere da una maggiore attenzione ai bisogni reali delle famiglie e da un impegno concreto per rendere il mercato più equo e sostenibile. I numeri, in fondo, ci dicono sempre la verità: sta a noi interpretarla e agire di conseguenza.
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