Domanda di indennità di agenzia

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO

DI ROMA SEZIONE

QUARTA CIVILE composta dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME presidente dott.ssa NOME

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COGNOME consigliere rel. dott.ssa NOME COGNOME consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N._690_2025_- N._R.G._00000283_2020 DEL_31_01_2025 PUBBLICATA_IL_31_01_2025

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 283/2020 R.G.A.C.C., trattenuta in decisione all’udienza del 10.10.2024 e vertente TRA c.f. rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce all’atto di appello APPELLANTE APPELLATA INCIDENTALE p.i. rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e con appello incidentale APPELLATA APPELLANTE INCIDENTALE

MOTIVI DELLA DECISIONE

conveniva in giudizio al fine di sentirla condannare al pagamento della somma di € 1.202.612,83 a titolo di indennità per cessazione di rapporto, esponendo che:

– con contratto stipulato fra RAGIONE_SOCIALE (oggi in nome e per conto di da una parte, e dall’altra, era sorto fra le parti un rapporto di agenzia a tempo determinato con decorrenza dal 27.11.2012 e fino alla scadenza contrattuale fissata al 31.12.2015;

– durante il periodo di collaborazione aveva procacciato clienti per la mandante , maturando provvigioni complessive pari a € 3.840.217,00, tutte già corrisposte, come da fatture allegate, e tutte relative a clienti nuovi;

– successivamente alla scadenza naturale del contratto di agenzia, con PEC dell’11.4.2016, aveva dichiarato di volersi avvalere del diritto alla liquidazione dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c., ma la preponente non aveva provveduto al versamento di quanto dovuto;

– nel corso delle trattative intavolate, aveva formulato due proposte transattive, la prima di € 200.000,00, la seconda di € 286.000,00, somme stabilite dalla predetta e non frutto di una reale ed effettiva trattativa fra le parti;

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– alle richieste di chiarimenti da parte dell’agente aveva fatto seguito, comunque, l’accettazione delle suddette somme quale acconto sul maggior avere, ma non aveva proceduto al pagamento;

– l’agente aveva pertanto diritto all’indennità di cessazione di cui all’art. 1751 c.c. nella misura massima, equivalente alla “media annuale rispetto all’intera durata del rapporto (365 giorni/1129 giorni) per il totale delle provvigioni maturate (Euro 3.840.217,00) e quindi Euro 1.241.522,76, da cui detrarre la componente FIRR versata da poichè già riscossa da ( Euro 38.909,93), e quindi Euro 1.202.612,83”.

*** Si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che non aveva fornito alcuna prova dell’esistenza dei presupposti di cui all’art. 1751 c.c. e, tantomeno, aveva provato l’ammontare dell’indennità;

contestava i criteri di calcolo adottati dall’attrice;

evidenziava che quest’ultima era stata oggetto di ben 141 sanzioni pecuniarie (penali) per complessivi € 13.532,50 a causa di comportamenti scorretti e inadempienti;

precisava che la proposta transattiva, da considerarsi ormai revocata, era stata formulata, come chiaramente specificato, senza “acquiescenza né riconoscimento di alcunché ma al solo fine di definire ogni conseguenza direttamente o indirettamente derivante dalla cessazione del rapporto di agenzia”.

*** Con sentenza n. 21395/2019, R.G. n. 24/2018, pubblicata in data 7.11.2019, il tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda, condannava a pagare all’attrice la somma di € 581.851,90, oltre interessi legali e spese di lite, così motivando:

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‹‹… 5.L’indennità di cui all’art. 1751 c.c. spetta quando l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti ed il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivati dagli affari con tali clienti.

La verifica della sussistenza di sostanziali vantaggi deve essere effettuata al momento della cessazione del rapporto ed in termini prognostici.

6.In tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, il comma 3 dell’art. 1751 c.c. delinea soltanto il limite massimo consentito dalla legge per la sua determinazione in via equitativa, da commisurarsi con riferimento alla media annuale delle retribuzioni percepite dall’agente nell’ultimo quinquennio, ovvero, se il contratto di agenzia è stato di durata inferiore, alla media del corrispondente minor arco temporale;

detto limite insuperabile non è connotato dall’inderogabilità, prevista esclusivamente per il limite minimo regolato dal successivo comma 6;

quest’ultimo, infatti, al fine di assicurare all’agente il risultato migliore, prevede che l’importo determinato dal giudice deve prevalere su quello, eventualmente inferiore, spettante in applicazione di altri criteri diversamente pattuiti.

7. Spetta l’indennità di cui all’art. 1751 c.c. allorché risulti provato che l’agente, durante il periodo di vigenza del rapporto, abbia procurato alla preponente un considerevole aumento di fatturato e nuova clientela.

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8.Vi è contrasto tra le parti in ordine a quali norme debbano applicarsi alla fattispecie in esame.

La società attrice ritiene applicabile l’articolo 1751 c.c. mentre la società convenuta ritiene invece più adeguato l’utilizzo dell’Accordo Economico Collettivo 30 luglio 2014 settore industria.

Ritiene il Tribunale che debba applicarsi l’articolo 1751 c.c. Infatti l’articolo 12.6.

del contratto così stabilisce :

“In caso di cessazione del presente contratto, salvo quanto previsto al successivo punto 12.7 e qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 1751 comma 1, all’Agente verrà riconosciuta l’indennità così come previsto all’art.1751 cod. civ. ……”.

Il richiamo all’ Accordo collettivo (punto 5.2 e art. 25.2) riguarda solo quanto non espressamente previsto dal contratto che invece regola specificamente il calcolo della provvigione richiamando l’articolo 1751 c.c. 9.La società attrice riceveva, nel corso del rapporto d’agenzia, per il periodo 2012 – 2016, provvigioni per complessivi € 3.840.217.

Ciò dimostra che la stessa svolgeva un’importante attività in favore dell Essa inoltre produceva, con le memorie ex articolo 183 c.p.c., un elenco dei nominativi dei nuovi clienti procacciati ad n. 51.229 persone).

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A fronte di tale produzione l on era in grado di produrre documentazione volta a contrastare tali evidenze.

In particolare non riusciva ad evidenziare se detti soggetti fossero stati effettivamente propri clienti e per quanto tempo, né chi si fosse occupato dei loro contratti.

Tale elencazione – peraltro completa di codice fiscale, nome prodotto, dettaglio offerta, data creazione, Provincia – appare pertanto attendibile perché coerente con il valore delle provvigioni corrisposte durante il rapporto.

In altri termini a provvigioni elevate corrisponderà un numero di clienti elevato.

La prova che detti soggetti fossero già clienti ovvero avessero cessate le utenze spettava all unico soggetto in possesso dei relativi dati.

Tale prova non è stata fornita.

Deve pertanto ritenersi che gran parte di tali soggetti siano clienti nuovi e che gli stessi non abbiano cessate le utenze.

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Dunque è provato che, alla data di cessazione del contratto di agenzia (31.12.2015), la società convenuta aveva mantenuto gran parte dei contratti stipulati grazie all’opera della società attrice conseguendo così un sostanziale vantaggio.

10.

Il CTU determinava l’indennità massima di risoluzione del rapporto in complessivi € 1.241.522,77.

In relazione ai criteri di quantificazione dell’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti – come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia Cee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04 – non impone un calcolo in maniera analitica, bensì consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima. Ne consegue che l’art. 1751 cod. civ. deve interpretarsi nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non oltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo (Cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 16347 del 24/07/2007).

11.Dunque, accertata la permanenza di sostanziali vantaggi per la società preponente e individuato il limite massimo dell’indennità stessa (€ 1.241.522,77), per la determinazione dell’indennità per la cessazione di un rapporto di agenzia deve altresì tenersi conto della posizione preminente della società convenuta sul mercato, della forza del marchio, nonché di una inevitabile perdita di parte della clientela del portafoglio clienti dell’agente, così da ridurre equitativamente l’importo dovuto all’agente stesso in forza dell’art. 1751 cod. civ. nella misura che si ritiene equa fissare nel 50% (Cfr. Corte d’Appello di Roma sentenza n. 408 del 2008). 12.La società deve pertanto essere condannata a pagare alla società la somma di € 620.761,13 (€ 1.241.522,77 : 2) cui deve essere sottratto l’importo di € 38.909,23 a titolo di FIRR corrisposta per un importo finale di € 581.851,90.

13.Spetteranno inoltre alla creditrice gli interessi, nella misura legale, dal giorno della domanda sino all’effettivo soddisfo.

…››. *** Ha proposto appello chiedendo, previa sospensione della provvisoria esecuzione della gravata sentenza, di respingere le domande proposte da e di condannare quest’ultima a restituire le somme eventualmente pagate in suo favore in corso di giudizio.

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*** Con ordinanza del 27.2.2020, la Corte ha accolto l’istanza di sospensione proposta dall’appellante con ricorso ex art. 351 c.p.c. *** Si è costituita nel giudizio di merito, in data 8.4.2020, proponendo appello incidentale e chiedendo di rigettare l’appello e, in subordine, condannare comunque al pagamento della minor somma dovuta a titolo di indennità ex art. 1751 c.c.;

in accoglimento dell’appello incidentale e in parziale riforma della sentenza impugnata, condannare al pagamento della somma di € 1.202.612,83, o di quella ritenuta di giustizia, nonché al rimborso delle spese vive sostenute da nel giudizio di primo grado, liquidando la corretta somma nella misura di € 1.713,00 in luogo di quella erroneamente liquidata nella misura di € 1.118,00.

In via istruttoria ha chiesto ammettersi i mezzi di prova non accolti dal primo giudice.

*** All’udienza del 29.10.2020 la Corte ha riservato al merito la decisione delle istanze istruttorie e ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni.

*** All’udienza del 10.10.2024, sulle conclusioni precisate dalle parti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione del termine di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori 20 giorni per il deposito delle memorie di replica.

*** In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in quanto infondata.

Come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27199/2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo di cui al D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 7 agosto 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, dovendosi escludere, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che il relativo atto debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. anche Cass. n. 13535 del 30/5/2018; Cass. n. 40560 del 17/12/2021).

Alla luce di siffatti principi, deve ritenersi che l’appello non incorra nella sanzione di inammissibilità, in quanto l’appellante ha adeguatamente illustrato le censure mosse al ragionamento e alle conclusioni del primo giudice e ha indicato quale sia l’obiettivo delle censure stesse, risultando dunque soddisfatti i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. *** Venendo al merito, l’appellante principale formula, per poi trattarle congiuntamente, le seguenti censure:

“a) Violazione dell’art. 1751 c.c., per avere il Tribunale equivocato sull’oggetto della prova necessaria per il riconoscimento del diritto dell’agente alla percezione della provvigione di fine rapporto.

b) Violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. per avere il Tribunale posto alla base della decisione affermazioni unilaterali dell’attrice, ignorando le specifiche contestazioni formulate da c) Violazione dell’art. 2697 c.c. dell’art. 1751 c.c., sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, per avere ritenuto il Tribunale che spettasse alla Preponente provare l’insussistenza dei presupposti per la maturazione del diritto dell’Agente alla percezione della cd. indennità meritocratica;

d) Violazione dell’art. 1751 c.c. sotto il profilo dell’erronea valutazione dell’indennità dovuta all’Agente;

e) Violazione dei principi riguardanti i presupposti per disporre la CTU nel settore dell’applicazione dell’art. 1751 c.c. f) Violazione dei principi, generali e specifici, riguardanti i presupposti per l’emissione e la gestione dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.”.

Lamenta, in sintesi (richiamandosi, per il resto, l’atto di impugnazione), che:

nonostante l’onere della prova gravasse sull’agente, e nonostante l’agente non avesse dimostrato di aver procurato a nuovi clienti (avendo depositato una lista di clienti unilateralmente predisposta e non avendo fornito copia dei contratti asseritamente procacciati, che pure avrebbero dovuto essere nella sua disponibilità in quanto l’agente è destinatario della terza copia a ricalco), il tribunale, anziché prendere atto dell’evidente deficit probatorio in cui era incorsa l’attrice, aveva inopinatamente ordinato ex art. 210 c.p.c. a di depositare la relativa documentazione e aveva disposto c.t.u.; se era vero che la decisione di disporre la c.t.u. o l’esibizione rientra nel potere discrezionale del giudice, era altrettanto vero che tale discrezionalità incontra un limite legale nell’impossibilità di supplire attraverso tale strumento al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante su chi agisce;

il tribunale aveva deciso in favore di senza che questa avesse prodotto alcuna prova e, anzi, aveva ribaltato su l’onere probatorio, ignorando, al pari del C.T.U., le contestazioni della convenuta sull’anonimo tabulato prodotto dall’attrice e sul fatto che “la sola riscossione di provvigioni per oltre 3 milioni di euro nel corso del rapporto non prova alcunché”, e ignorando altresì le circostanze impeditive alla produzione dei documenti oggetto dell’ordine di esibizione, che erano state allegate da ferma la mancanza di prova del diritto vantato, il giudice di primo grado aveva comunque errato nel riconoscere l’indennità nella misura pari al 50% dell’importo massimo previsto dall’art. 1751 c.c., posto che, non avendo alcun criterio di misurazione/valutazione, avrebbe potuto considerare, come parametro di valutazione, quello di cui agli Accordi Economici Collettivi e così liquidare una somma non superiore a € 114.559,80. *** Le censure sono fondate.

***

L’art. 1751 c.c. prevede che, all’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:

l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

Consolidato è l’orientamento della Suprema Corte secondo cui fatto costitutivo del diritto all’indennità in esame è la cessazione del rapporto prevista dal primo comma dell’art. 1751 c.c., unitamente alle condizioni previste dalle successive due articolazioni dello stesso comma, che devono ricorrere in via cumulativa, a seguito della modifica attuata dall’art. 5 d.lgs. 15 settembre 1999 n. 65 (cfr. Cass. n. 4708/2011).

Ai fini del riconoscimento dell’indennità, non è sufficiente la provvista di nuovi clienti ovvero il sensibile incremento degli affari con quelli vecchi, ma occorre anche la seconda condizione, ossia che alla cessazione del rapporto il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dai clienti nuovi procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i preesistenti, non essendo sufficiente che il recesso non sia imputabile all’agente (Cass. n. 20047/2016; Cass. n. 8621/2023).

Consequenziale a tale configurazione è che l’onere di allegazione e prova in ordine al persistere di tali “sostanziali vantaggi” derivati dall’attività dell’agente alla società preponente non può che gravare sul primo, che dovrà provare l’aumento duraturo della clientela o del fatturato al momento del verificarsi della cessazione del rapporto di agenzia (cfr. Cass. n. 22982/2020; Cass. n. 273/2019).

Non vi è dubbio, pertanto, che l’onere di provare i requisiti di cui all’art. 1751 c.c. gravasse su , la quale era tenuta a dimostrare puntualmente e con allegazioni specifiche i fatti costitutivi della domanda, ivi compresi i vantaggi stabilmente apportati alla preponente Su tale ultimo punto, sempre la Suprema Corte ha statuito che “la condizione di vantaggio per il preponente prevista dalla disposizione non coincide infatti semplicemente con il dato quantitativo coincidente con l’acquisizione di clientela, ma si estende alla verifica del permanere dopo la cessazione del rapporto di agenzia, della clientela procurata dall’agente, stabilmente acquisita dalla stessa per essere stata dunque adeguatamente fidelizzata dal medesimo nel corso del rapporto” (Cass. n. 30145/2021). *** Orbene, nel caso di specie, , in citazione, ha dedotto, in via del tutto generica, che le provvigioni percepite erano tutte relative al procacciamento di clienti nuovi e che “una volta cessato il rapporto di agenzia, i clienti procacciati da questa stessa, salvo vicissitudini esulanti dalla volontà e/o responsabilità di sono tutti rimasti clienti di , e quindi, quest’ultima, nonostante la cessazione del rapporto, ha continuato, e continua, a ricevere sostanziali vantaggi dal operato svolto in costanza di rapporto da Con l’atto introduttivo ha prodotto, oltre alla corrispondenza, soltanto il contratto e le fatture emesse nel triennio 2013-2015 per le provvigioni. Con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., a fronte delle contestazioni mosse dalla convenuta, ha dedotto che le prove del procacciamento di clienti nuovi erano fornite dal contratto e dalle fatture, poiché le provvigioni non potevano che essere state percepite a fronte del corretto adempimento del mandato ricevuto e quindi a fronte del procacciamento di soli clienti nuovi.

Ha asserito che anche la prova dei vantaggi sostanziali risiedeva nella “natura stessa del rapporto”, in quanto dalla lettura del contratto si evinceva come l’attività fosse di procacciamento di clienti direttamente in favore di , sicché tali clienti, di fatto, non diventavano mai clienti di , ma stipulavano direttamente un contratto con la mandante;

era quindi dimostrato, fino a prova contraria, che erano rimasti clienti esclusivi di In altri termini, secondo l’agente, il contratto “escludeva che, alla cessazione del rapporto, potesse gestire i clienti procacciati ed escludeva, pertanto che quest’ultima potesse, alla cessazione del rapporto, dirottarli verso altro fornitore diverso da ”;

inoltre, l’eventuale cessazione del rapporto tra i clienti ed per esclusiva volontà dei primi esulava “dalla volontà o dalla condotta dell’odierna attrice, e non è certo quest’ultima né onerata nè tantomeno in grado di dare prova negativa;

sarebbe stata, caso mai, la convenuta, qualora avesse ritenuto di eccepire tale circostanza, ad averne dovuto dare prova”.

Sulla base di siffatta prospettazione, dopo aver allegato alla memoria un elenco asseritamente contenente i nomi dei nuovi clienti procacciati (contestato dalla convenuta), ha formulato, in subordine, l’istanza di esibizione, poi precisata con la memoria successiva (con cui ha articolato anche prova testimoniale), allegando di non essere più in possesso di credenziali d’accesso attive al portale online e riservandosi di chiedere anche l’esibizione dei “report degli indici di rating trimestrali”, da cui risultava che l’attrice si era sempre posizionata nella fascia più alta di valutazione. Con la seconda memoria, ha chiesto di ordinare alla convenuta quanto segue:

l’esibizione, in estratto, di tutti i report dell’indice di valutazione (rating) trimestrali;

l’esibizione “dei documenti consistenti in tutte le fatture/bollette emesse, per fornitura energia elettrica e gas, e/o estratto delle stesse, dal 1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, relative ai soli clienti procacciati da l’esibizione “dei documenti consistenti in tutte le fatture/bollette emesse, per fornitura energia elettrica e gas, e/o estratto delle stesse, dal 1 gennaio 2016 fino alla data dell’ordine di esibizione, relative ai soli clienti procacciati da Con la terza memoria ha dedotto che, anche se le provvigioni avessero riguardato attivazione di utenze in favore di soggetti che già erano clienti ciò avrebbe concretato “un’attività di “sviluppo degli affari con quelli (i clienti n.d.r.) preesistenti” e ha ribadito che “tutti i clienti procacciati da sono rimasti clienti solo ed esclusivamente di senza alcuna facoltà per l’odierna attrice di poter più trarre benefici da tali clienti non potendo gestire tale portafoglio clienti, magari dirottandoli verso altro operatore del mercato gas ed energia al fine di maturare nuovi “gettoni di attivazione” (provvigioni)”; inoltre, avendo l’attrice depositato l’elenco dei clienti, sarebbe stato “interesse di controparte quello di produrre un ipotetico elenco diverso al fine di contestare quello prodotto”.

Ha inoltre chiesto “a prova contraria delle contestazioni ed eccezioni solevate da controparte sulla validità e correttezza dell’elenco clienti procacciati prodotto da questa difesa”, di ordinare alla convenuta l’esibizione dell’archivio dati di cui all’art. 9.10 e 9.11 del contratto o, in subordine, della copia di tutti i contratti procacciati da *** Tutto ciò premesso, ritiene la Corte che il primo giudice abbia errato sia nell’attribuire valore di prova all’elenco dei “nominativi dei nuovi clienti” sia nell’applicare il principio dell’onere della prova, nella parte in cui ha affermato che era a dover dimostrare che quei soggetti fossero già clienti che avessero cessato le utenze. Infatti, poiché il diritto dell’agente scaturisce dalla conclusione degli affari tra il preponente e i clienti per il tramite dell’agente, è necessario che siano indicati, con elementi sufficienti a consentire l’identificazione, i contratti che l’agente assume siano stati conclusi per suo tramite (Cass. n. 18140/2023).

La prospettazione di parte attrice, recepita dal tribunale, che ha ordinato alla preponente l’esibizione di tutte le “fatture/bollette” di cui sopra e di tutti i contratti procacciati da , si risolve invece nell’addossare alla convenuta l’onere di provare tutti i fatti costitutivi della domanda, che dovevano in realtà essere dimostrati dalla parte che agisce in giudizio.

Quest’ultima, a ben vedere, si è limitata ad allegare i fatti in maniera del tutto generica, non ha depositato i contratti (o meglio le proposte di contratto) con i clienti procacciati, ha redatto, unilateralmente, un mero elenco di nominativi di asseriti clienti, sostenendo che sarebbe stato onere della controparte, in caso di contestazione, produrne uno diverso, e su questa base ha chiesto (ottenendolo) che fossero ammesse le istanze di esibizione ex art. 210 c.p.c. È evidente che il perno da cui muove la prospettazione di parte attrice è un elenco frutto dell’elaborazione unilaterale dell’agente, privo di qualsivoglia valore probatorio, non supportato dalla copia dei moduli sottoscritti dai clienti che, a detta della stessa , questa doveva trasmettere sia in via telematica sia in copia cartacea a , sicché non si comprende neppure su quali basi sia stato redatto, non avendo l’agente né indicato né prodotto le proposte di contratto.

In sostanza, a fronte di un rapporto della durata di ben tre anni non è stato versato in atti alcun documento, fatta eccezione per il contratto di agenzia e per le fatture, che non dimostrano certo che si trattasse di nuovi clienti procacciati dall’agente.

Inoltre, a fronte dell’eccezione della convenuta, secondo cui l’attrice solo in comparsa conclusionale aveva tentato di ampliare la causa petendi, allegando per la prima volta il sensibile sviluppo degli affari con i clienti già esistenti (requisito attinente al primo presupposto dell’art. 1751 c.c.), la stessa appellata riconosce (cfr. pag. 28 della comparsa di costituzione in appello) di aver dedotto tale circostanza nella memoria ex art. 183 c.p.c. n. 3, pertanto tardivamente, in quanto il thema decidendum si precisa e si cristallizza con la prima memoria. A tanto si aggiunga, con riguardo al secondo presupposto, che nessuna specifica allegazione è stata fornita in ordine ai vantaggi sostanziali in capo alla preponente, che, in ossequio ai descritti principi di diritto, dovevano essere oggetto di puntuale allegazione, prima, e di rigorosa prova, poi, da parte dell’agente, che, invece, si è limitato a formulare mere asserzioni, prive di riscontro.

Non può, infatti, trarsi dal contratto la prova che i clienti siano rimasti nella esclusiva disponibilità di anche dopo la cessazione del rapporto e, in particolare, dal fatto che l’incarico fosse stato conferito all’agente senza rappresentanza, per cui non sarebbe spettato a quest’ultimo alcun potere o facoltà di concludere contratti in nome della preponente.

Invero, e a tacer d’altro, ciò non esclude che l’agente, a conclusione del contratto, abbia trattenuto per sé la clientela (o parte di essa) dirottandola su altri fornitori di energia elettrica o di gas, tanto più ove si consideri la tipologia dei contratti in questione, caratterizzati da estrema instabilità, visti i numerosi mutamenti di fornitore che gli utenti notoriamente effettuano.

Del pari irrilevante è che alla cessazione del rapporto avesse l’obbligo contrattuale di restituire l’archivio clienti, poiché tale previsione non dimostra che l’agente abbia perso ogni contatto con i clienti procacciati.

Il requisito della persistenza dei vantaggi non può dunque certo ritenersi in re ipsa, sulla base delle previsioni contrattuali.

A nulla valgono, a fini di prova, le proposte transattive di , formulate in forma di bozza e “senza che ciò costituisca acquiescenza né riconoscimento di alcunché ma al solo fine di definire ogni conseguenza direttamente o indirettamente derivante dalla cessazione del rapporto di agenzia” (docc. 10 e 11 di parte attrice), espressamente revocate dall’appellante principale.

Quanto al documento esplicativo (doc. 12 di parte attrice, doc. 4 in grado di appello), questo non può rivestire valore confessorio né, tanto meno, è da solo sufficiente a dimostrare la fondatezza del diritto all’indennità (come invece sostenuto alla pag. 9 della conclusionale , fermo restando che la stessa attrice in primo grado, pur avendo articolato prova testimoniale sul punto, affermava quanto segue:

“si deduce come il suo contenuto non è oggetto di indagine del Giudice nel giudizio de quo, e nè tantomeno questa difesa intende far rientrare lo stesso nell’oggetto di indagine del giudizio de quo” (cfr. pagg. 5 e 6 della memoria istruttoria).

Si tratta, infatti, di documento inviato all’agente a seguito delle “ripetute richieste di chiarimenti relativamente ai criteri adottati per il calcolo dell’indennità, così come da quantificata e prospettata nelle predette bozze di accordo” (cfr. pag. 3 atto di citazione in primo grado), sempre in vista di un eventuale esito positivo delle trattative all’epoca in corso e all’evidente scopo di scongiurare il contenzioso.

Del pari priva di valore confessorio è la comparsa di costituzione in primo grado, alle pagg. 12 e 13, poiché la preponente si limitava ad affermare che aveva registrato tassi di abbandono dei clienti acquisiti “nel periodo di vigenza del contratto inter partes in oltre il 50% dei casi”, affermazione che non prova certo quanti clienti, tra quelli acquisiti da , siano poi rimasti dopo la cessazione del rapporto.

Per concludere, alla luce della delineata carenza di allegazione e di prova da parte dell’attrice (che, in definitiva, ritiene di aver fornito la prova mediante la produzione del contratto, delle fatture e dell’elenco dalla stessa redatto), la convenuta si sarebbe dovuta far carico di individuare e produrre tutti i contratti di fornitura conclusi per il tramite dell’agente, nonché tutte le fatture emesse nei confronti degli utenti dall’inizio del rapporto fino alla data dell’esibizione.

Così facendo, si è demandato alla convenuta di sopperire alle mancanze dell’attrice, la quale, oltre a non aver prodotto alcun documento rilevante ai fini in esame, non ha nemmeno chiesto alla preponente, nella fase stragiudiziale, le informazioni previste dall’art. 1749 c.c., che avrebbero consentito di circostanziare la domanda e che, in caso di rifiuto, avrebbero giustificato il ricorso all’istanza ex art. 210 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18140/2023 citata), strumento istruttorio di natura residuale, che non deve avere finalità esplorativa e non deve essere diretto a supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’onerato (Cass. n. 31251/2021; cfr. anche Cass. n. 20104/2009, secondo cui non può supplirsi all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti, integrando, tra l’altro, l’inosservanza all’ordine di esibizione, quando concesso, un comportamento liberamente valutabile dal giudice di merito, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c.).

Né possono essere ammesse le prove testimoniali articolate in primo grado, essendo queste, oltre che valutative (come affermato dal primo giudice), evidentemente generiche e relative a circostanze da provarsi documentalmente.

Ha errato, pertanto, il primo giudice ad accogliere le istanze ex art. 210 c.p.c. e a disporre c.t.u., nel corso della quale, a fronte del mancato deposito dei documenti da parte di (per la dichiarata impossibilità di estrarre dai sistemi informatici i dati relativi ai soli clienti procurati da ), l’ausiliare ha fondato l’accertamento sulla scorta dell’elenco clienti elaborato dall’attrice, di cui si è detto, dando atto della oggettiva impossibilità di verificare il tasso di abbandono e rimettendo ogni ulteriore determinazione al riguardo al G.I. In definitiva, ritiene la Corte che non abbia provato i fatti costitutivi della propria domanda, non avendo dimostrato, come era suo onere, l’esistenza dei presupposti richiesti dall’art. 1751 c.c. ai fini del riconoscimento dell’indennità di cessazione rapporto. L’appello principale deve dunque essere accolto e, in riforma della sentenza di primo grado, la domanda dell’agente deve essere rigettata.

Rimangono assorbite le doglianze dell’appellante principale concernenti il quantum debeatur.

*** Il primo motivo dell’appello incidentale, che denuncia un’errata applicazione dello strumento dell’analogia iuris e una errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in sede di quantificazione dell’indennità spettante all’agente, rimane assorbito nell’accoglimento dell’appello principale.

*** Anche il secondo motivo, che denuncia l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice nel liquidare la parte relativa alle spese vive di giudizio, è assorbito, dal momento che alla riforma della sentenza consegue un nuovo regolamento delle spese del primo grado di giudizio, nei termini di cui appresso.

*** La riforma della sentenza di primo grado determina la caducazione “ex lege” della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio a un nuovo regolamento delle stesse.

Tale pronuncia, in ossequio al principio della globalità del giudizio sulle spese, deve avvenire con riferimento all’intero processo e all’esito finale della lite.

In caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass. n. 19989 del 13/07/2021).

*** L’appellata deve essere condannata, secondo il principio della soccombenza, a rifondere all’appellante principale le spese del doppio grado di giudizio (comprese quelle del subprocedimento incidentale instaurato in appello per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza gravata, – v. Cass. ord. 5.2.2013 n. 2671; C.Cost. 4.7.2002 n. 312 in motiv. , circa il carattere autonomo rispetto al giudizio di merito e la sua natura cautelare).

Le spese si liquidano secondo i valori medi dello scaglione da € 1.000.001,00 a € 2.000.000,00 di cui al D.M. n. 55/2014 (aggiornati, da ultimo, con D.M. n. 147/2022) e, solo per il giudizio di appello, nei valori minimi per la fase istruttoria/trattazione, stante la ridotta attività processuale svolta, come segue:

– per il giudizio di primo grado, in complessivi € 37.951,00 per compensi, oltre alle spese di c.t.u. come liquidate dal tribunale con decreto del 4.6.2019, che vengono poste definitivamente a carico di – per il sub-procedimento in appello, in complessivi in € 98,00 per esborsi ed € 13.178,00 per compensi, secondo i parametri previsti dalla tabella n. 10 (Procedimenti cautelari) allegata al D.M. n. 55/2014, stante la natura latamente cautelare dello stesso, esclusa la fase istruttoria;

– per il giudizio principale di appello, in complessivi in € 2.556,00 per esborsi ed € 29.033,00 per compensi.

la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale proposti avverso la sentenza n. 21395/2019 del tribunale di Roma, R.G. n. 24/2018, pubblicata in data 7.11.2019, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

1) accoglie l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta la domanda proposta da nei confronti di 2) dichiara assorbito l’appello incidentale proposto da 3) condanna I al pagamento, in favore di delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 37.951,00 per compensi, per il primo grado, in € 98,00 per esborsi ed € 13.178,00 per compensi, per il subprocedimento incidentale, e in € 2.556,00 per esborsi ed € 29.033,00 per compensi, per il giudizio di appello principale, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge; 4) pone definitivamente a carico di le spese di c.t.u. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.1.2025 Il Consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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