Omicidio Matteuzzi, Corte d’Assise su ergastolo: ‘Padovani non si è mai realmente pentito’

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Le motivazioni della sentenza che lo scorso novembre ha confermato l’ergastolo per l’ex calciatore e modello 28enne che il 23 agosto del 2022 uccise a calci, pugni e martellate l’ex fidanzata sotto casa sua, a Bologna

“Si reputa che non vi sia stato un reale pentimento in capo all’imputato, ovviamente non nel corso della sua ideazione del crimine, in cui il progredire di un odio crescente contro la vittima non ha avuto flessioni, ma neppure dopo il gesto efferato commesso contro di lei”. Così la Corte d’assise d’appello, in uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza che ha confermato l’ergastolo per l’ex calciatore e modello 28enne, accusato dell’omicidio pluriaggravato dell’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, 56 anni sotto casa sua, a Bologna. I giudici, infatti, ricordano che dopo aver colpito a morte la donna con martellate e “panchinate”, Padovani si è avvicinato alla vittima “fingendo un briciolo di cura nei confronti del corpo martoriato, per accanirsi con un ultimo violento calcio al volto della vittima e parole di disprezzo. Nessun pentimento Padovani ha mai manifestato nel corso della permanenza in carcere e durante l’evolversi del processo”, conclude la Corte. 

I giudici: “L’imputato viveva in un contesto sociale privilegiato”     

Giovanni Padovani, “il quale come già ampiamente dimostrato non aveva alcuna peculiarità psichica in grado di offuscare la sua capacità di intendere e volere determinati fatti piuttosto che altri, aveva piena coscienza del contesto in cui si muoveva”, scrive ancora la Corte d’Assise d’appello, in uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza. Per i giudici, quindi, il killer era consapevole di essersi recato ad aspettare Alessandra Matteuzzi “sotto casa armato di un martello che nascondeva in una siepe, e non poteva ignorare che ammazzare la persona a cui era legato da ossessione amorosa patologica da tempo, perché lei voleva lasciarlo, era condotta del tutto abietta, ingiustificabile, proprio perché era sano di mente”. E perché, secondo la Corte, Padovani “viveva in un contesto sociale del tutto lineare e privilegiato, in cui era pienamente integrato e in cui svolgeva un ruolo invidiabile e gratificante, essendo un calciatore, con una carriera e una vita piena di future soddisfazioni, a cui non era mancato nulla, avendo anzi avuto molti doni dalla vita, a prescindere da normalissimi possibili incomprensioni – comuni alla generalità delle persone – con il padre”.  

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“Aveva condotte tipicamente ossessive e persecutorie”       

La difesa di Padovani ha negato l’aggravante dello stalking basandosi sul fatto che in alcune occasioni l’imputato “aveva dimostrato di essere smarrito, disperato, incredulo di fronte ai comportamenti alterni della Matteuzzi”. Per la Corte “tali deboli elementi, collocati nel quadro d’insieme e nella sequenza di condotte tipicamente ossessive e persecutorie poste in essere dal Padovani, scolorano diventando semplici momenti di sfogo, del tutto insufficienti per elidere la tipica, quasi da manuale, condotta di atti persecutori progressivamente più invasiva messa in atto, in modo consapevole da parte del Padovani, al quale la sua vittima aveva varie volte comunicato il suo stato di prostrazione”.  

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La perizia psichiatrica ha dimostrato piena capacità di intendere     

I periti psichiatrici nominati dalla Corte in primo grado hanno concluso che Padovani non solo è nel pieno della capacità di intendere e volere, “ma ha anche simulato, con alta probabilità, nel corso dei test a lui sottoposti, le risposte, al fine specifico di indurre a credere nella sua instabilità mentali”. In questo quadro, secondo i giudici di appello “tenuto conto del fatto che la conformazione del cervello non appare avere alcuna influenza sulla capacità psichica di un soggetto”, appare “ultronea e inutile qualunque ulteriore indagine clinica”. La Corte di assise ha motivato in questo modo il diniego alla richiesta della difesa (avvocato Gabriele Bordoni) di far svolgere ulteriori esami specifici, come una risonanza magnetica.  

“L’ha punita per essere stato lasciato”       

“L’imputato ha considerato la vittima come un oggetto di proprietà, non come una persona a cui riconoscere il diritto di esprimere una scelta di libertà o di dissenso, l’azione omicida è espressione di un intento ritorsivo dell’imputato verso l’insubordinazione della vittima, è una punizione per essere stato lasciato, per i presunti tradimenti da lui ossessivamente contestati alla vittima”, scrive ancora la Corte d’Assise. “La reazione spropositata alla situazione in cui si trovava dimostra una altissima capacità a delinquere – sottolineano i giudicie – posto che uno stato di prostrazione è sfociato nel delitto crudo e terribile di cui si tratta”.

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