Tra ministri infuriati e Salvini scatenato, il non-governo Meloni

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Piantedosi e Nordio arrabbiati per la figuraccia fatta sul caso Almasri. I vice a ruota libera, il caso Santanchè: la premier ha perso il controllo

Ci voleva una confortevole standing ovation per il ritorno live – cioè non sui social – di Giorgia Meloni, dopo giorni di performance disastrose dei suoi ministri. Giorni durante i quali chi ci ha parlato la descrive trincerata in un lavoro matto e disperato, ma anche un ringhioso silenzio contro il suo governo, travolto dal principio di entropia: ciascuno va per sé. Martedì 11 l’assemblea dei delegati Cisl, nell’ultimo giorno della segreteria di Luigi Sbarra, le ha regalato un applauso caldissimo, ovvero il frame mediatico di una (specie di) Evita fra i lavoratori; finalmente una comfort zone ritrovata sul palco di quello che fu il sindacato di Pierre Carniti.

Non che a Meloni stia venendo meno la popolarità. Nel paese per ora è saltato il nesso fra risultati del governo e il consenso. A mancarle è tutto il resto. Cioè, appunto, il governo. In questi giorni è difficile nascondere l’evidenza: la premier non ha più il polso della squadra. Si autoavvera la più nefasta delle profezie della casa-madre: governare i suoi ministri non è solo difficile, è inutile. Nell’esecutivo aleggia un andazzo da fine legislatura, e se le opposizioni si consolano con la speranza di voto anticipato, il vero guaio, per Meloni, è che quest’andazzo rischia di trascinarsi fino a fine legislatura.

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Il governo è un castello di tensioni incrociate. I ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sono furibondi per essere stati mandati in aula allo sbando ad assumersi una responsabilità più grande di loro sul caso Almasri. Il guardasigilli è stato lanciato alla guerra contro la Corte penale internazionale, ma poi la premier ci ha ripensato e lui è rimasto con la lancia in mano: ora sarà messo sulla graticola dalle opposizioni con una mozione di sfiducia che ha il solo scopo sadico di fargli perdere le staffe.

Due vice paroliberisti

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sostanzialmente commissariato dalla premier, ormai pratica una sorta di paroliberismo situazionista. L’altro vice, Matteo Salvini, ormai è del tutto fuori controllo: da quando Meloni lo ha rimosso dal cuore di Donald Trump, lui ha moltiplicato l’attivismo competitivo. Scoprire di essere sbeffeggiato nei conversari privati di tutta la palazzina dei Fratelli d’Italia, gli ha fatto crescere una rabbia sorda (ma non muta, anzi piuttosto ciarliera). Così si è rifatto volando al fianco del Netanyahu più imbarazzante di sempre, primo membro del governo a omaggiare il premier israeliano dopo il mandato di arresto della Cpi, e dopo il progetto americano di fare di Gaza un resort, con trasferimenti di massa (chiamiamoli così, così i traduttori dall’inglese non si scandalizzano) dei palestinesi. Nella sua libido dichiaratoria, Salvini ha anche svelato un segreto di Pulcinella: i nostri servizi segreti si spiano fra loro e spiano attivisti e giornalisti. Per giunta si fanno anche beccare. Un altro evidente caso di sgoverno, stavolta da parte dell’autorità delegata Alfredo Mantovano, anche lui domiciliato a palazzo Chigi.

Per non parlare dell’amaro caso Santanché, altra ministra che Meloni non ha mai governato, l’ha delegata a Ignazio La Russa. Risultato: l’arditissima “Santa” ha sfidato apertamente la premier a chiederle le dimissioni. E ora arrota la sua autodifesa per il giorno della sfiducia; un discorso che preoccupa molto più Palazzo Chigi che le opposizioni.

Intanto il programma del governo all’incontrario va. Le strombazzate riforme sono evaporate: il premierato è archiviato, azzoppato da bachi tecnici e dall’imbarazzo generale (ma il suo “padre” Francesco Saverio Marini per premio sarà mandato alla Corte Costituzionale); l’autonomia differenziata di marca leghista è stata abbattuta dalla Consulta; resta in piedi solo la separazione delle carriere dei magistrati, condotta come una campagna bellica contro la magistratura.

Il governo c’è, ma la premier non riesce a farlo marciare, anzi, sembra procedere solo per tenderle trappole. Per schivarle, lei appare e scompare a comando dei social manager.

L’autosabotaggio

Con la maggioranza non va meglio: da mesi la destra non riesce a mettersi d’accordo sui nomi per la Consulta; e così sulla presidente della Rai, tanto che la Vigilanza è bloccata da mesi con un inedito autosabotaggio.

Il mix di arroganza politica e incompetenza tecnica che ha già affossato le riforme, sta portando a sbattere la premier anche sui centri in Albania. «Funzioneranno», ha strillato lei ad Atreju. Invece non hanno funzionato. Ora Palazzo Chigi ha ideato un cambio di destinazione d’uso (dovrebbero diventare Centri per il rimpatrio) che, oltreché non stare giuridicamente in piedi, irritano il proprietario del suolo, Edi Rama.

Infine, la collocazione internazionale dell’Italia è flottante: l’ambizione di Meloni di fare da ponte fra Usa e Ue si sta rivelando velleitarismo spinto. L’assenza della premier dai summit europei di questi giorni lo dimostra: non sa che andare a dire, ai colleghi capi di stato non può inviare un video. L’appello preoccupato del presidente Sergio Mattarella a salvare gli organismi internazionali, perché l’Unione non finisca stritolata fra gli Usa di Trump e Vladimir Putin, cozza disastrosamente contro lo smontaggio sistematico degli stessi organismi che l’amico Trump opera giorno dopo giorno.

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Come se non bastasse, l’amico geniale Elon Musk è diventato l’impresario politico di Salvini. I numeri dell’economia, la produttività in calo in tutti i settori nonostante gli investimenti del Pnrr, non supportano più la narrazione di un’Italia in crescita. L’ex ministro Raffaele Fitto si è rifugiato nella Commissione, e non si hanno più sue notizie.

Insomma, la nocchiera di ferro non governa più la diligenza. E in assenza di un’alternativa – le opposizioni neanche ci provano, sono la migliore polizza per l’esecutivo – la diligenza rischia di procedere per altri due anni e mezzo così, a briglia sciolta, di sbandata in sbandata, condannata all’unità, e lei a governare gli ingovernabili.

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