Von der Leyen pronta ad attivare lo Statuto di blocco contro i dazi del tycoon. Meloni sarà costretta a schierarsi. E intanto cerca di addolcire la Cpi
La Commissione europea sta valutando l’ipotesi di adoperare lo Statuto di blocco per contrastare le sanzioni di Trump contro la Corte penale internazionale. Avrebbe dovuto fare un primo punto ieri ma la discussione è slittata a venerdì prossimo, quando gli ambasciatori di tutti i 27 Paesi dell’Unione affronteranno complessivamente il tema diventato rovente dei rapporti tra Usa e Ue: il caso delle sanzioni contro la Corte ma anche quello dei dazi. A quel punto per la premier diventerà difficile, forse impossibile, restare asserragliata nel bunker in cui si è chiusa, circondata da una coltre di silenzio, da quando è iniziata la doppia battaglia intorno alla Cpi: quella di Trump e quella dell’Italia intorno al caso Almasri.
Lo Statuto di blocco, introdotto nel 1996 e revisionato due anni dopo per reagire alle sanzioni Usa contro l’Iran, è nato per garantire gli operatori economici dell’Unione, con pieni rimborsi, contro gli effetti delle sanzioni americane. Ma può essere esteso anche alle singole persone fisiche: di qui l’ipotesi di metterlo in campo come scudo contro le sanzioni di Washington contro la Corte. Al momento lo Statuto “non è preso in considerazione”, fa filtrare palazzo Berlaymont ammettendo però che è “una possibilità”. Per introdurre lo Statuto servirebbe una maggioranza del 55% degli Stati membri in rappresentanza del 65% della popolazione. I Paesi europei che non hanno firmato la dichiarazione congiunta dei 79 Stati Onu contro le sanzioni sono 3, Italia, Ungheria e Repubblica Ceca non bastererebbero.
In ogni caso l’eventuale voto sullo Statuto di blocco o su qualunque “ulteriore misura” la Commissione deciderà di adoperare costringerà l’Italia a uscire allo scoperto. La decisione di non firmare la dichiarazione congiunta, unico tra i principali Paesi europei, è stata un drastico sbilanciamento del governo Meloni dal lato della Casa Bianca. Non a caso il trumpista italiano per eccellenza, Salvini, festeggia e cerca di rendere il passo irreversibile. Lunedì dopo l’incontro con Netanyahu, colpito da mandato di arresto internazionale spiccato appunto dalla Cpi, ha usato toni ipercritici nei confronti della Corte. Ieri ha ribadito: “Sono contento perché il governo italiano non si è accodato alla critica preconcetta contro Trump”.
La premier è probabilmente molto meno contenta. La sua strategia prevede di collocarsi a metà fra Usa e Ue non di schierarsi come vorrebbe Salvini e come hanno già fatto tutti i Patrioti di Orbàn e Le Pen. Ma l’attacco di Trump contro la Corte è arrivato proprio mentre i rapporti tra Italia e Corte dell’Aja toccavano il minimo storico per il caso Almasri, sul quale la Cpi ha aperto un fascicolo dopo la denuncia di un sudanese contro la premier, i ministri degli Interni e della Giustizia e il sottosegretario Mantovano. Ieri il governo ha fatto la sua mossa per provare a recuperare la situazione e tirarsi fuori dal vicolo cieco: la ha fatta il ministro Nordio ma su mandato preciso della premier. Si tratta di un appello informale alla Corte per intavolare consultazioni in vista di una “comune riflessione sulle criticità” messe in evidenza proprio dal caso Almasri, in modo che l’incresciosa situazione non si ripeta più. È un’offerta di tregua diplomaticamente abile per non dire ambigua.
L’informalità dell’invito permette a Nordio di non perdere la faccia dopo l’intemerata contro la Corte in Parlamento. Ma soprattutto la formula è calibrata in modo da indicare nelle modalità con cui fu spiccato il mandato d’arresto contro il torturatore libico l’origine del guaio invece che nella decisione italiana di liberarlo nonostante il mandato della Cpi. Non viene così rimesso in discussione il vero elemento centrale della contesa: l’interpretazione dell’Italia secondo cui ottemperare o meno ai mandati della Corte internazionale è facoltativo e non obbligatorio. In questo momento però, con lo scontro con gli Usa che monta di giorno in giorno, la Ue ha bisogno di serrare i ranghi e il ruolo dell’Italia, terzo Paese della Ue e unico tra quelli principali con un governo solido, è essenziale. Non è affatto escluso dunque che, per accortezza diplomatica, la Corte finga di non vedere le ambiguità contenute nell’offerta di pace italiana. Tutto anzi dice che proprio in quella direzione la Corte si sta orientando.
Lunedì ha aperto ufficialmente un’inchiesta sul comportamento dell’Italia, cioè sulla liberazione di Almasri ma non sulla base della denuncia contro la premier e i ministri. È una inchiesta preliminare conoscitiva nella quale non sono indicate precise responsabilità individuali: in questo caso effettivamente “atto dovuto” e nulla di più. Lo scontro politico rimane invece incandescente in Italia. Le opposizioni annunciano la mozione di sfiducia contro il ministro Nordio e allo stesso tempo insistono perché a riferire in aula sia la premier sin qui latitante. A decidere la mozione è stato il Pd e uno scettico M5S si è accodato. Il solo scopo, del resto, è tentare di tenere i riflettori aperti sulla vicenda: missione che non sarà possibile se gli sforzi di Giorgia per arrivare alla tregua con l’Aja avranno successo.
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