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Come riferito a suo tempo, nella riunione dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità svoltasi il 3 dicembre scorso, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, è stato approvato all’unanimità, tra le altre cose, il documento finale del Gruppo di Lavoro sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità. La costituzione di quest’ultimo era stata annunciata dalla ministra per le Disabilità Locatelli il 25 novembre 2023, nel corso di una riunione straordinaria dell’Osservatorio legata alle celebrazioni della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, riunione cui aveva preso parte anche la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Roccella.
Scopo del Gruppo, i cui lavori sono iniziati il 26 marzo dello scorso anno, concludendosi il 9 luglio successivo, era, appunto, produrre un documento con delle indicazioni da proporre al Comitato Tecnico dell’Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne. Ora il documento in questione è stato reso pubblico. La denominazione di esso è Documento finale del Gruppo di lavoro sulla questione della violenza contro le donne con disabilità dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità ed è disponibile (in formato pdf) a questo link.
Prima di entrare nel merito dei contenuti, va specificato che questo documento non contiene misure esigibili, ma si limita a proporre suggerimenti che – forse – potrebbero confluire nel prossimo Piano di azione sul contrasto alla violenza a cui sta lavorando l’Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne. Dunque, al momento non è possibile dire se e in che modo tali suggerimenti saranno recepiti. Veniamo ora ai contenuti più rilevanti.
Preliminarmente va segnalato che il documento in esame è suddiviso in tre parti che affrontano i seguenti aspetti: Accessibilità della comunicazione e dell’informazione, Standard minimi dei Centri antiviolenza (CAV) e delle Case rifugio e Linee guida sulla violenza contro le donne con disabilità e formazione delle operatrici.
Una nota introduttiva informa che il testo «è stato realizzato sulla base dei contributi presentati, discussi e condivisi nell’àmbito del Gruppo di lavoro sulla questione della violenza contro le donne con disabilità costituito nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità», e che vi hanno preso parte i/le rappresentanti delle Amministrazioni, Enti e Associazioni che già partecipano ai lavori dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità (l’elenco di tali soggetti è pubblicato a pagina 2).
Nella Premessa, tra le altre cose, viene specificato che la violenza nei confronti delle donne con disabilità presenta caratteristiche peculiari, che può essere agita da estranei, ma anche da parte di caregiver familiari e conviventi, in àmbito domestico e negli spazi di cura, ricovero ed accoglienza.
Viene inoltre rilevato come, ad oggi, «l’assistenza ed il supporto alle vittime nei percorsi di uscita dalla violenza sono spesso pensati in riferimento a donne, per lo più, che non presentano alcun tipo di disabilità», e che il proposito di modificare questa situazione «alimenta veri e propri obblighi giuridici, etici, morali e sociali» (pagina 4, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni testuali).
Nell’Introduzione viene opportunamente richiamato l’articolo 6 (Donne con disabilità) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09), che riconosce come le donne con disabilità siano esposte a discriminazione multipla (un tipo di discriminazione che si basa su più fattori, nel caso specifico: il genere e la disabilità).
Sono poi riportati gli ultimi dati ISTAT disponibili (desunti dal rapporto La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2014), da cui risulta che le donne con disabilità sono più esposte a tutte le forme di violenza di genere rispetto alle altre donne.
Viene quindi segnalata la frammentarietà e la parzialità nella rilevazione dei dati sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne con disabilità, e si considera come «fondamentale» che il sistema integrato di rilevazione dei dati «generi flussi strutturati d’informazioni fruibili a livello nazionale e locale, con dati disaggregati per le diverse condizioni, in particolare per l’eventuale condizione di disabilità della vittima di violenza e la sua relazione con l’autore o gli autori della violenza. L’importanza dei dati statistici e la loro capacità di fornire una comprensione dettagliata e accurata della portata e della natura di questo fenomeno forniscono una solida base per l’elaborazione di politiche e interventi mirati anche normativi» (pagina 8).
In un ulteriore passaggio viene segnalato che l’Italia ha ratificato altri due trattati specificamente centrati sulle questioni di genere: la CEDAW (ovvero la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, la cui ratifica è stata prevista dalla Legge 132/85), e la Convenzione di Istanbul (ossia la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, ratificata dal nostro Paese con la Legge 77/13).
Vengono poi elencati i principali provvedimenti programmatici (i diversi Piani d’azione) e normativi adottati dal nostro Paese in ottemperanza degli impegni scaturiti dalla ratifica delle ultime due Convenzioni menzionate, e altre disposizioni inerenti all’area della disabilità.
Il documento da un lato riconosce che «il contrasto alla violenza sulle donne con disabilità richiede un approccio sistemico basato sulla sensibilizzazione, l’educazione, la legislazione e l’azione concreta», ma poco più avanti precisa che «sul piano finanziario le azioni, le finalità e gli obiettivi indicati nel presente Documento dovranno essere conseguiti con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente» (pagine 9). E tuttavia è abbastanza irrealistico credere che si possa realizzare «un approccio sistemico» senza che a tale scopo vengano destinate risorse specifiche.
Per quel che riguarda gli aspetti descrittivi del documento rinviamo a una lettura dello stesso, mentre proponiamo a questo link quelli che si configurano quali suggerimenti, giacché, come accennato, essi sono presentati come mere possibilità. Qualche esempio può aiutare a comprendere meglio in cosa si concretizza questa modalità.
Pertanto, laddove l’articolo 9 (Accessibilità) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità prescrive che «gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione», nel documento si scrive, invece, che «si potrebbero creare campagne di sensibilizzazione, accessibili, che mettano in evidenza la violenza contro le donne con disabilità» (pagina 16). Dunque da un lato la Convenzione ONU dispone delle prescrizioni molto precise in materia di accessibilità all’informazione, dall’altro vi è un documento che considera la creazione di campagne di sensibilizzazione accessibili in tema di violenza come mera possibilità.
Altro esempio: davanti alla constatazione che la quasi totalità della Case rifugio si sono dotate di criteri di esclusione dall’accoglienza delle donne con particolari vulnerabilità (tra cui figurano le donne con disabilità) e dei loro figli e figlie – una pratica in palese contrasto con il principio di non discriminazione esplicitato con forza nell’articolo 4 della Convenzione di Istanbul –, il documento si limita a suggerire che «è auspicabile garantire che i servizi antiviolenza non adottino criteri di esclusione nell’accoglienza delle donne, ma costituiscano, invece, reti territoriali finalizzate alla presa in carico delle donne, vittime di violenza, esposte a discriminazioni multiple» (pagina 26).
Qui possiamo osservare come l’impiego dell’aggettivo auspicabile – che, stando al Vocabolario Treccani, viene utilizzato «per lo più in funzione di predicato con valore neutro: è a. che tutto proceda bene» – si presti ad essere inteso come una blanda esortazione al superamento di questa pratica che fa sì che proprio le donne vittime di violenza che hanno particolari vulnerabilità, e che dunque avrebbero maggiore bisogno di sostegni, vengano respinte dai servizi antiviolenza e abbandonate a loro stesse.
Questo approccio possibilista che permea il documento ha un effetto decisamente dissonante, specie se il testo in esame viene messo a confronto con i molteplici richiami rivolti al nostro Paese, anche sugli specifici aspetti relativi alla violenza nei confronti delle donne con disabilità, nel primo, e per ora unico, Rapporto di valutazione sull’attuazione alla Convenzione di Istanbul in Italia, pubblicato dal GREVIO (il Gruppo indipendente preposto al monitoraggio sull’applicazione della medesima Convenzione) nel gennaio 2020. In questo Rapporto il GREVIO, tra le altre cose, osservava come, sebbene i gruppi di donne svantaggiate (tra i quali rientrano anche le donne con disabilità) siano considerati nelle politiche di contrasto alla violenza sulle donne predisposte dal nostro Paese, tuttavia tali politiche non prevedono – per questi gruppi – obiettivi operativi concreti e impegni in tutti i settori della prevenzione, della protezione delle vittime, della punizione dei colpevoli e delle politiche coordinate (punto 24: in merito a come il tema della disabilità è stato trattato nel Rapporto in questione segnaliamo l’analisi presente a questo link). Ecco, sono passati ben cinque anni dalla pubblicazione del Rapporto del GREVIO e dunque sarebbe ora che, riguardo al fenomeno della violenza sulle donne con disabilità, il nostro Paese qualche impegno concreto iniziasse a prenderselo. Cosa stiamo aspettando?
Fonte: superando
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