M – Il figlio del secolo: quel silenzio fu il suicidio di una nazione

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M – Il figlio del secolo – il primo fra i quattro romanzi di Antonio Scurati sulla vita di Mussolini, e vincitore del Premio Strega 2018 – ha innervosito, a mio avviso a torto, molti specialisti del Ventennio, che lo hanno considerato poco attinente ai reali eventi storici.

La narrazione inizia nel 1919 e si chiude nel 1925, anno dell’assassinio del leader socialista Giacomo Matteotti. I j’accuse più eleganti sono apparsi nell’edizione on line del Sole 24 Ore, dove Gianluigi Simonetti critica il romanzo perché pieno di clichés e troppo impegnato a funzionare sul piano narrativo. Sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia deplora alcune rivisitazioni storiche. È immaginabile che un simile disagio, se non maggiore, abbia suscitato la serie televisiva italo/francese diretta, in otto puntate, da Joe Wright, con copione di Stefano Bises e Davide Serino. 

Ciò che mi turbava maggiormente era la ricerca del tono” – ha confidato Scurati durante l’incontro stampa a Roma. “Era necessario evitare di descrivere Mussolini come un personaggio comico e porlo al massimo del suo potere seduttivo. Quando poi ho visto il risultato, sono rimasto sbalordito. L’arte è politica quando è grande arte e non viceversa. E bisogna avere fiducia nel pubblico, che spero saprà cogliere il messaggio forte e potente che la serie sa trasmettere.” 

Il cast è stato eccellente. Di prim’ordine Luca Marinelli nella sua interpretazione venata di follia roboante, che mi ha fatto ripensare al Caligola di Carmelo Bene, nella pièce di Albert Camus. Tutti gli altri attori sono di alta scuola d’arte drammatica. Giustamente caricaturale il Vittorio Emanuele III di Vincenzo Nemolato.

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Di notevole impostazione psicologica è la figura di Rachele Mussolini, impersonata da Benedetta Cimatti; di umili origini, non è ancora Donna Rachele, futura fascista dura e pura nei panni di first lady di Predappio. Di alto livello Barbara Chicchiarelli nel ruolo di Margherita Sarfatti. Qui gli autori si sono concessi qualche licenza, trasfigurandola in icona del Futurismo. In realtà era un’intellettuale ebrea, convertita al cattolicesimo, da sempre riverita dagli storici dell’arte antifascisti per il suo Novecento, movimento messaggero del Classicismo e del Ritorno all’Ordine. Quindi in forte contrapposizione al Futurismo (1909) di F. T. Marinetti, e dal Futurismo ovviamente schernita e odiata. Amante di Mussolini e iniziale stratega della sua presa del potere, nella serie televisiva è lei a lasciarlo. Nella realtà sarà il Duce, ormai insediato a Palazzo Venezia, a vietarle di superarne la soglia.

Per altro Marinetti, giustamente raffigurato e smitizzato nella serie televisiva, fu fascista di fede assoluta. A proposito della sua ferale sintonia con Mussolini, vorrei ricordare che il 5 gennaio del 1924 Piero Gobetti scriveva sul Lavoro, quotidiano socialista di Genova, sotto il titolo Marinetti precursore: “Tutti hanno in mente le incarnazioni più solenni più e temibili di queste classiche figure del fascismo italiano. Ma a Marinetti bisognerà sempre tornare per trovarne la genesi. C’è solo un altro uomo in Italia che abbia come lui la compromettente abitudine di pensare in pubblico e il pensare in pubblico esclude in questi casi il pensare in privato.”  Due anni dopo fu bastonato a morte. Non aveva ancora 25 anni. 

Fra i fondatori del Fascismo emerge la figura di Cesare Rossi (magistralmente impersonato da Francesco Russo), responsabile burattinaio del delitto Matteotti, e infine Giuda che denuncia Mussolini alla polizia del Regno ancora Costituzionale, come mandante dell’assassinio di Matteotti. Incisivo e del tutto veritiero l’episodio dove grandi borse piene di banconote – denaro a milioni offerto da industriali e proprietari terrieri – sono svuotate teatralmente da Rossi di fronte all’avido Mussolini.

Storicamente corretta è infine la narrazione della violenza degli squadristi neri, che scendono dalle camionette, manganellano operai in sciopero e contadini, versandogli in bocca a forza mostruose quantità di olio di ricino. Di forte impatto visivo la sceneggiatura cadenzata dalla finzione storica in bianco e nero, e dai monologhi dada/futuristi rivolti direttamente dall’ottimo Marinelli a chi guarda lo schermo. 

Il 3 gennaio 1925, il discorso di Mussolini in Parlamento sigilla la prossima e inevitabile tirannia e ne rivela la spietatezza, addossandosi ogni responsabilità del delitto Matteotti. Si rivolge al telespettatore, con sguardo complice ed emette solo una parola, SILENZIO… Arguzia rivelatrice della già iniziata accettazione nazionale del Regime Fascista. 

Quel SILENZIO fu il suicidio di una Nazione. Così chiude il serial televisivo, comunicando una verità della quale molti storici non hanno accolto la lezione. Quanto a Scurati, va detto che ha avuto come modello la sua coscienza civile, depurata dai miti datati, che non hanno più anima.

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