Mancato pagamento dei canoni e clausola risolutiva espressa: quando l’inadempimento legittima la risoluzione? (Cass. 23287/24) | Studio Legale Calvello

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La Corte di Cassazione chiarisce che per applicare la clausola risolutiva l’inadempimento deve essere effettivo e rispettare il principio di buona fede

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23287 del 28 agosto 2024, ha ribadito che il ricorso alla clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) è legittimo solo in caso di un inadempimento effettivo. Un comportamento conforme ai criteri di buona fede non costituisce violazione contrattuale, anche se tecnicamente rientra nella clausola. Nel caso analizzato, un conduttore aveva ritardato il pagamento di canoni e oneri condominiali, sanando la morosità solo dopo che il locatore aveva esercitato la clausola. La Corte ha confermato la risoluzione del contratto, sottolineando la condotta in mala fede del conduttore, che aveva approfittato della tolleranza del locatore senza giustificare adeguatamente i ritardi. Il ricorso del conduttore è stato respinto, sancendo l’importanza del principio di buona fede come criterio guida nei rapporti contrattuali.

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 28/08/2024, n. 23287

Conto e carta

difficile da pignorare

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 15460-2021 proposto da:
PROMETEO Srl, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’Avvocato […];
– ricorrente –
contro
A.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Luigi Capuana 140, presso lo studio dell’Avvocato […], rappresentata e difesa dagli Avvocati […];
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1990/2020 della Corte d’Appello di Firenze, pubblicata in data 02/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale in data 18/04/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Svolgimento del processo

1. La società Prometeo S.r.l ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 1990/20, del 2 dicembre 2020, della Corte d’Appello di Firenze, che – nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 1079/19, del 31 ottobre 2019, del Tribunale di Livorno – ha confermato l’accoglimento della domanda, proposta da A.A., di accertamento dell’avvenuta risoluzione per inadempimento, ex art. 1456 cod. civ., del contratto di locazione immobiliare corrente “inter partes”.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essersi resa cessionaria, il 4 luglio 2016, del ramo d’azienda di bar-pasticceria, gestita da tale Mirko Disegni, per tale ragione subentrando – ex art. 36 della legge 27 luglio 1978, n. 392 – nel contratto di locazione immobiliare da costui stipulato con la A.A., avente ad oggetto i locali destinati allo svolgimento della suddetta attività commerciale.
Con ricorso ex art. 447-bis cod. proc. civ., del 17 luglio 2018, la locatrice, avvalendosi di apposita clausola contenuta nel contratto (in forza della quale ” il mancato o ritardato pagamento totale o parziale del canone o delle altre spese” dava “diritto alla locatrice”, trascorsi “trenta giorni dalle dovute scadenze”, di “chiedere la risoluzione del contratto”), domandava accertarsi l’avvenuta risoluzione ” ipso iure” dello stesso, con condanna della conduttrice al rilascio dell’ immobile. Iniziativa assunta – come emerge, in particolare, dalla sentenza impugnata – sul presupposto del mancato pagamento dei canoni relativi ai mesi di maggio e giugno 2018 (per un totale di Euro 4.035,20), nonché degli oneri condominiali a partire dal mese di luglio 2016 (per un totale di Euro 2.107,57), tanto che la A.A., con comunicazione a mezzo PEC del 18 giugno 2018, dichiarava di volersi avvalere del diritto potestativo previsto da tale clausola.
Si costituiva in giudizio la società Prometeo, assumendo di aver provveduto al pagamento dei canoni il 19 giugno 2018, nonché degli oneri condominiali il successivo 19 luglio, e ciò malgrado sulla debenza di questi ultimi – si legge in ricorso – vi fosse contestazione da parte della conduttrice, dovendo essere detratte le spese, da essa sostenute (ma, a suo dire, a carico della locatrice), per “problemi legati al cattivo funzionamento della cisterna di raccolta condominiale dei liquami”.
L’esito del primo grado di giudizio consisteva nell’accoglimento della domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione contrattuale e di condanna al rilascio, con decisione confermata in appello.
3. Avverso la sentenza della Corte fiorentina ha proposto ricorso per cassazione la società Prometeo, sulla base – come detto – di un unico motivo.
3.1. Esso denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 1456 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1375 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata perché, dopo essersi correttamente richiamata al principio enunciato da questa Corte, secondo cui “il contraente che invochi una clausola risolutiva espressa viola i doveri di buona fede e abusa del suo diritto potestativo” tutte le volte in cui, pur in presenza di fatti legittimanti l’operatività della clausola, “non si sia consumata una effettiva e significativa lesione del suo interesse”, avrebbe fatto cattiva applicazione di tale principio nel caso in esame. E ciò, in particolare, affermando che, nella specie, “l’ interesse della locatrice è stato senz’altro leso, perché ella, alla scadenza dei termini previsti, non ha ricevuto per due volte il canone e, quanto a quello di maggio (scaduto il 10 maggio 2018) il ritardo è stato superiore al periodo di comporto stabilito dall’art. 9 del contratto (30 gg.); e perché con ritardo ancor più forte ha ricevuto gli oneri condominiali (risalenti al 2016)”.
Evidenzia, infatti, la ricorrente di aver corrisposto – peraltro, dopo aver sempre pagato, con puntualità, i precedenti ventidue canoni mensili della locazione, da versarsi anticipatamente al giorno 10 di ogni mese – entrambi i canoni, di maggio e giugno 2018, il 19 giugno dello stesso anno, “con ritardo imputabile, nel primo caso, ad un semplice problema amministrativo di disposizione dell’addebito bancario del bonifico”, nonché, quanto al secondo pagamento, provvedendovi “ampiamente nei limiti dell’art. 9 del contratto”. Sicché avrebbe errato il giudice d’appello nel dare rilievo all’ intempestività del pagamento, e ciò alla stregua dei principi affermati da questa Corte, secondo cui il riferimento alla scadenza di un termine non è “di per sé sufficiente a deporre per la relativa essenzialità e la conseguentemente ineluttabile risoluzione del contratto”.
D’altra parte, neppure la comunicazione del 30 maggio 2018, con cui la A.A. aveva segnalato alla Prometeo il mancato pagamento del canone di maggio di quell’anno (oltre che degli oneri accessori risalenti al 2016), avrebbe potuto essere valorizzata – come ha fatto, invece, la Corte fiorentina – per evidenziare una supposta malafede della conduttrice, atteso che il “tenore letterale della missiva” dimostrerebbe, secondo la ricorrente, solo l’esistenza di un ” invito al puntuale pagamento del canone di locazione e alla ricognizione della richiesta degli oneri condominiali di conguaglio, senza alcun richiamo all’operatività della clausola risolutiva espressa”.
Infine, si contesta l’affermazione della Corte fiorentina secondo cui la società Prometeo “non ha neppure allegato quale sarebbe stato il movente che spingeva la A.A. a troncare il rapporto”. Rammenta, al riguardo, la ricorrente di aver prodotto agli atti del presente giudizio la comunicazione di avvio di un procedimento amministrativo di repressione di un abuso edilizio riscontrato nel capannone – una cui porzione soltanto formava oggetto di locazione in favore dell’odierna ricorrente (abuso al quale, pertanto, essa Prometeo era del tutto estranea) – apparentemente non sanabile e tale da non consentire la prosecuzione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande da parte della conduttrice.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la A.A., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. In relazione al presente ricorso è stata formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ex art. 380-bis, comma 1, cod. proc. civ., così motivata:
“considerato che l’unico motivo posto a base del ricorso è manifestamente infondato, quando non inammissibile;
la clausola risolutiva espressa è volta a predeterminare e individuare formalmente, in maniera specifica, le modalità di inadempimento considerate ex se gravi, sottraendole alla valutazione giudiziale ex art. 1455 c.c., garantendo alla parte adempiente, proprio in virtù dell’accordo contenuto n e l l a clausola, di sottrarsi al vincolo contrattuale in maniera spedita e in via stragiudiziale, manifestando la volontà di avvalersi della clausola risolutiva; la pattuizione di una clausola risolutiva espressa rende, infatti, irrilevante l’ indagine circa l’ importanzadi un determinato inadempimento, che è valutata anticipatamente dalle parti (Cass. n. 29301 del 12/11/2019);
certamente sussiste l’obbligo del giudicante di riscontrare il rispetto del principio generale di buona fede o correttezza, in forza del quale i soggetti sono tenuti, nell’ambito dei rapporti della loro vita di relazione, e quindi anche nelle loro relazioni contrattuali, a prescindere dalla mancanza di specifici obblighi positivamente stabiliti, a mantenere un comportamento leale; trattasi di principio generale che vale non soltanto come regola di condotta, ma anche come fonte legale integrativa del contratto, quale regola volta a determinare il comportamento dovuto in relazione alle concrete circostanze in cui il rapporto si attua, regola che si specifica in obblighi di informazione e di avviso, è tesa alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio della parte tenuta ad osservarla) ed alla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass. Sez. U. n. 28056 del 25/11/2008 e success. conf.);
nel caso di specie la decisione impugnata si conforma pienamente alle esposte coordinate giuridiche avendo la Corte evidenziato – con congrua motivazione, non sindacabile nel giudizio di legittimità, e con la quale la ricorrente non si confronta, limitandosi ad opporre inammissibilmente una diversa ricostruzione o valutazione della vicenda – che, da un lato, il mancato pagamento anche di un solo canone, oltre a integrare l’ inadempimento previsto dalla clausola risolutiva espressa, lede effettivamente anche l’ interesse della locatrice e, dall’altro, che il comportamento della locatrice non ha manifestamento alcun carattere strumentale o di mala fede, il contrario potendo anzi affermarsi del comportamento della società conduttrice (v. sentenza, pag. 9)”.
6. La ricorrente ha richiesto la decisione del collegio ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 380- bis cod. proc. civ., sicché la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
7. La controricorrente ha depositato memoria.
8. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

Motivi della decisione

9. Il ricorso va rigettato, come da proposta di definizione accelerata, che questo Collegio condivide pienamente.
9.1. Nello scrutinare il solo motivo di ricorso, occorre muovere dalla constatazione che, effettivamente, questa Corte – ancora di recente – ha ribadito che “l’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza, come nella specie, di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’ inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione”, sicché, “qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme al criterio della buona fede, non sussiste l’ inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente”
(così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 23 marzo 2023, n. 8282, Rv. 667427-01).
Più esattamente, esaminata la singola vicenda negoziale alla stregua del canone della buona fede – “come direttiva fondamentale per valutare l’agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto)” – l’ inadempimento dell’obbligazione, allorché “contrattualmente previsto come integrativo del potere di provocare in via potestativa la risoluzione del contratto” a norma dell’art. 1456 cod. civ., deve “essere effettivo”, giacché in caso contrario, ” implausibile, secondo il medesimo canone”, viene a risultare “l’esercizio del diritto di risoluzione da parte dell’altro contraente” (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 23 novembre 2015, n. 23868, Rv. 637690-01). Allorché, dunque, l’ inadempimento si riveli “effettivo”, secondo una valutazione, come detto, da compiersi oggettivamente (e non secondo il requisito della colpa), può ritenersi legittimo – riguardato, questa volta, il canone della “bona fides con riferimento al contegno assunto dalla parte non inadempiente – l’esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto, atteso che gli artt. 1175 e 1375 cod. civ. svolgono la funzione di “evitarne l’abuso”, impedendone “l’esercizio ove contrario ad essa”, così “escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento” (cfr., nuovamente, Cass. Sez. 1, sent. n. 23868 del 2015, cit.).
Questi principi non sono stati affatto disattesi, o male applicati, dalla Corte fiorentina, la quale, nell’affermare la effettività dell’ inadempimento della società Prometeo (e, per converso, la non “abusività” dell’esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto di locazione, da parte della A.A.) ha operato una valutazione scevra da vizi, pervenendo alla conclusione che le condotte della conduttrice hanno leso l’interesse della locatrice. Essa, infatti, nell’affermare che alla locatrice “veniva negata”, a fronte del godimento dell’ immobile da parte della conduttrice, “la controprestazione principale alla quale aveva diritto” (al fine di conseguire la quale, oltretutto, essa aveva “dovuto rivolgersi al proprio avvocato”), ha dato rilievo alla circostanza, nel ritenere l’ inadempimento di Prometeo “effettivo”, che esso avesse riguardato taluna delle obbligazioni “principali” del contratto, ex art. 1587 cod. civ.
Inoltre, essa ha evidenziato come al primo mancato pagamento del canone – che, comunque, faceva seguito ad una morosità già nella corresponsione degli oneri condominiali, perdurante dall’ inizio del contratto e protrattasi per circa due anni (il cui carattere ingiustificato, oltretutto, era stato accertato già dal Tribunale, che aveva escluso il diritto di Prometeo di compensare tale debito con un supposto credito nascente dall’assunzione di costi manutentivi asseritamente non dovuti, visto che “lo sversamento dei liquami” era stato ritenuto, in prime cure, “ascrivibile a responsabilità della conduttrice”) – si fosse, poi, aggiunto un nuovo inadempimento, quello relativo alla rata del canone di giugno 2018, essendo rimasta senza riscontro la comunicazione della A.A., del precedente 30 maggio, che sollecitava il pagamento di quanto dovuto.
Difatti, solo dopo che la locatrice si era avvalsa – il 18 giugno del 2018 – della clausola risolutiva, la società Prometeo provvedeva a sanare integralmente la morosità (dapprima pagando i canoni di locazione e poi anche gli oneri condominiali), ciò che la sentenza impugnata ha valutato come “una condotta di malafede della conduttrice”, per avere essa deciso di “procrastinare scientemente la sua morosità, approfittando della buona disponibilità della A.A. e contando sulla sua remissività”, essendo stato, per giunta, pure escluso dal Tribunale di Livorno che vi fossero stati i “disguidi bancari”, inizialmente dedotti dalla conduttrice a giustificazione del mancato pagamento della rata di maggio 2018.
Tanto basta per ritenere corretta l’applicazione che la Corte fiorentina ha fatto del canone della buona fede oggettiva – che “nell’esecuzione del rapporto contrattuale, è il nerbo delle regole di condotta, dal contenuto necessariamente elastico, ma ontologicamente etico”, che governano il comportamento dei contraenti (Cass. Sez. 3, sent. 27 marzo 2024, n. 8277, Rv. 670521-01) – atteso che il sindacato di questa Corte è limitato ad accertare se la concreta applicazione di una clausola generale, qual è quella di cui all’art. 1375 cod. civ. “rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto” (tra le più recenti, in motivazione, Cass. Sez. Lav. ord. 14 luglio 2020, n. 14968).
10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
11. Essendo stato il presente giudizio definito conformemente alla proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ., trovano applicazione le previsioni di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 96 cod. proc. civ.
Va, pertanto, disposta – ai sensi della prima delle due previsioni normative testé richiamate – la
condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di Euro 3.000,00.
In forza, invece, di quanto stabilito dalla seconda delle due citate previsioni normative, va, altresì, disposta la condanna della ricorrente al pagamento di ulteriore somma di denaro alla Cassa delle ammende, somma che si reputa equo fissare, nella specie, nella misura di Euro 1.000,00.
12. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando la società Prometeo Srl a rifondere, a Milvia A.A., le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., condanna la società Prometeo Srl al pagamento dellasomma di Euro. 3.000,00, in favore di Milvia A.A., e di una ulteriore somma di Euro. 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di
Cassazione, svoltasi il 18 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 agosto 2024.

 

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