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Uberto Pasolini torna al cinema con The Return, presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e in concorso alla Festa del Cinema di Roma. Il film, reinterpretazione dell’Odissea di Omero a cura di Edward Bond, John Collee e lo stesso Pasolini, uscirà nel 2025 con 01 Distribution forte di un cast d’eccezione, che vede protagonisti due star internazionali come Ralph Fiennes e Juliette Binoche, di nuovo insieme dopo 28 anni, quando uscì Il paziente inglese. In The return la coppia interpreta Odisseo e Penelope, proponendo una attualizzazione inedita dell’opera omerica.
Perché riproporre il ritorno di Ulisse oggi? “Perché non prima, magari da qualcuno più bravo”, si chiede scherzando il regista durante la conferenza stampa del film. “Sono 70 anni che non si vede una versione dell’Odissea per il cinema che racconti Ulisse, Penelope, Telemaco, i Proci, Eumeo in modo speciale. Da 30 anni sto cercando di fare questo film, ci ho messo più tempo io a realizzarlo che Odisseo a vincere la guerra, dormire con tutte le donne più belle del Mediterraneo e finalmente tornare a casa”.
Uberto Pasolini ha sviluppato la passione per l’Odissea da molto piccolo, “ma più si invecchia, più la si legge, più ci si riconosce nelle emozioni, nei problemi e nella psicologia”. Pasolini non li chiama personaggi e, dice, “sono persone”. Perché? “Perché i miti hanno una vita millenaria, e in questi miti, in questi personaggi, noi ci riconosciamo. E io mi riconosco, non come eroe, ma come marito, come padre fallito. Il ritorno a casa, per me, è stato difficile. Ho vissuto molto lontano dalla mia famiglia, perché il lavoro ti porta lontano”.
Una sfida, quella posta da Omero al regista, che Pasolini ha affrontato tenendo fede a un consiglio che anni fa gli diede lo scenografo premio Oscar Dante Ferretti: “Gli unici passi che vale la pena rifare sono quelli più lunghi della gamba”.
In merito all’ordine dei fatti presentato nel film ispirato all’opera omerica, Pasolini dice di essersi rifatto ad Aristotele “nel condensare eventi del passato e del presente”. Non un’opera di filologia, dunque, bensì una rielaborazione personale, che prende in prestito dalla fonte originale così come dalle innumerevoli letture nate nei secoli. “Ci sono certamente battute ispirate al testo di Omero e altre ispirate a testi più recenti. Per esempio, ho letto molte interviste di reduci del Vietnam, che parlavano della loro difficoltà nel gestire la violenza perpetuata in guerra e nel tornare in famiglia”.
Interrogati sulla preparazione del film, gli attori protagonisti hanno sottolineato l’importanza di rifarsi agli archetipi omerici, modelli di umanità fondamentali per la comprensione del genere umano e della sua storia. “Si tratta di archetipi radicati in noi, sentimenti che si possono provare quando si viene lasciati, come questa donna, Penelope, che vuole proteggere il figlio ad ogni costo”, ha dichiarato Binoche. “Mi è bastato pensare alle situazioni della mia vita di donna sola che deve educare i propri figli ed è stato molto più facile per entrare in contatto con quella Penelope. In fondo in noi esseri umani troviamo tutti gli archetipi”.
Dello stesso avviso anche Fiennes: “In questi casi si parla sempre di ricerche storiche e di lettura di libri per gli attori, ma spesso la ricerca sta nella tua immaginazione. Credo che l’immaginazione emotiva sia fondamentale, perché ti fa domandare: che significa tornare a casa? Che significa essere esausti fisicamente? Mi sono mai trovato in una condizione così? Io non ho fatto un lavoro di ricerca come spesso si dice, ma volevo studiare la sceneggiatura con Uberto e Juliette per capire la verità delle motivazioni”.
Nel cast anche l’attore italiano Claudio Santamaria, che ha sottolineato la centralità dell’indagine interiore nel lavoro dell’interprete. “Il mio personaggio vive l’abbandono. Mi sono chiesto come possa essere sentirsi soli e abbandonati nella speranza di un sogno come una terra, una famiglia che ti ha promesso un re tanti anni fa. Eumeo attende questo ritorno per vent’anni e cerca in quest’attesa di proteggere lo spirito di quel poco di umanità che è rimasto. Come diceva Stanislavskij: capire e ricordare è facile, difficile è credere. Per questo la ricerca per noi attori è sempre interiore.”
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