«Allarmismo eccessivo, non fa bene al mercato del vino»: i timori dell’imprenditore Bottega

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«Allarmismo ingiustificato». Sandro Bottega, imprenditore vitivinicolo di Conegliano, uno dei big del Prosecco, scuote la testa. Inasprimento del Codice della strada, etichette anti cancro, possibili dazi sul made in Italy rischiano di acuire la crisi del settore del vino, già stretto nella morsa del calo dei consumi e delle tendenze del bere che cambiano.

Bottega, stiamo vivendo un’epoca di neo proibizionismo?

«Siamo in un momento in cui c’è un allarmismo eccessivo. L’inasprimento delle multe introdotto dal nuovo Codice della strada in Italia, le avvertenze anti cancro sulle etichette delle bottiglie di bianchi, rossi e spumanti e le richieste degli Usa di applicare bollini ancora più restrittivi, sono una tempesta perfetta».

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All’orizzonte si profila pure l’introduzione di tariffe sul vino, sempre negli Stati Uniti.

«I dazi fanno paura, ma vorrei sperare che il nostro governo agisca in maniera preventiva e che si riesca a evitarli. Sarebbero una gran brutta cosa, un danno, speriamo sia stata solo una boutade di campagna elettorale da parte del neo eletto presidente Trump».

Sandro Bottega, imprenditore vitivinicolo tra i big del Prosecco

Tornando in Italia, cosa non le piace del nuovo Codice della strada?

«Non vengono prese in considerazioni le quantità. Bere un bicchiere o 5 bicchieri fa una differenza enorme. Sia sul fatto di mettersi alla guida, sia per la salute».

I limiti che non si devono superare però sono rimasti gli stessi di prima. ..

«Sì, ma punizioni così severe come sono prospettate nei confronti dei trasgressori non sono la soluzione adatta. Con una quantità di 0,5 grammi di alcol nel sangue non si è ubriachi, non si causano incidenti. Quando furono introdotti i limiti, nel 2008, andai a indagare su quanti fossero gli incidenti d’auto causati dall’eccesso di alcol, ebbene erano il 2%. Da allora non sono state più rese note tali statistiche, se avessimo a disposizione dati ufficiali potremmo fare commenti ragionati».

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Ma se ci fossero più taxi e Uber il problema non sarebbe risolto alla radice? Chi ha bevuto a cena chiama un’auto e torna a casa sereno…

«Se avessimo a disposizione un trasporto pubblico efficace saremmo i primi a volerlo promuovere. Al momento, in Italia, non è una cosa facile, dovrebbero esserci più macchine, magari un giorno avremo quelle senza guidatore, ma non stiamo parlando dell’oggi. I taxi sono sempre pochi, anche in una città come Conegliano ci sono sempre problemi a trovarne uno libero. Uber agevolerebbe la situazione, ma attualmente questa opzione non esiste».

Un’altra spina nel fianco dei produttori sono le etichette che avvertono del rischio di cancro, che Stati Uniti e Paesi del Nord Europa introdurranno prossimamente.

«Uno studio delle National Academies statunitensi, pubblicato lo scorso dicembre, a cui si ispirano molte decisioni politiche di Washington, afferma che “un consumo moderato di alcol è associato a un calo del 18% dei decessi per malattie cardiovascolari, a un rischio inferiore del 16% di mortalità per tutte le cause e – dall’altra parte – questo è vero, a un aumento del 10% del rischio di cancro al seno nelle donne”. Per consumo moderato, secondo le stesse linee guida americane, si intende quello di 1, 2 drink al giorno per gli uomini e uno per le donne, contenenti ognuno, al massimo, 14 grammi di alcol, ossia il classico bicchiere di vino, che si beve per puro piacere».

Ma c’è una corrente di pensiero dei medici che è favorevole allo zero alcol sempre e comunque per entrambi i sessi e pare che l’Oms dia credito a questa linea…

«Relativamente alla fondatezza di quanto viene asserito dall’Organizzazione mondiale della sanità sui rischi connessi all’alcol, possiamo dire che non ci sono ricerche precise sulle dosi alle quali si manifesta il pericolo. È intuitivo che consumare uno o 5 calici di vino fa una gran bella differenza, come pure la frequenza, il momento di consumo, i benefici sull’umore legati all’allegria e il relax offerti da un consumo moderato».

I vini dealcolati potrebbero essere una carta da giocare, da parte delle aziende per salvare i fatturati, in un’epoca di neo proibizionismo?

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«Il decreto recentemente approvato sulla dealcolazione dei vini, con enorme ritardo rispetto al resto della Comunità europea, purtroppo ha una lacuna che vede le sue radici in leggi ante Seconda guerra mondiale. Esso prevede che i vini potranno essere dealcolati solo in stabilimenti appositamente dedicati: questo significherà tempi e costi (prima bisognerà costruire gli stabilimenti, poi gli impianti e solo dopo finalmente si potrà iniziare a produrre e quindi, a vendere), che ci renderanno non competitivi verso i produttori del resto del mondo, che avranno già preso il volo».

In questo contesto complicato, il mercato del vino come sta reagendo?

«Sta reagendo male, c’è una riduzione dei consumi nei bar e nei ristoranti in particolare nelle aree periferiche, dove nessuno si può permettere di perdere la patente. La difficoltà delle vendite è anche in parte legata alla crisi economica. Noi, come azienda, sopperiamo alla flessione del vino con i prodotti a bassa gradazione o con altre tipologie di bevande, che già realizziamo. In ogni caso riusciamo a tenere il passo, a investire, a fare molta azione di educazione sul bere responsabile, nonostante gli ostacoli. Ma non per tutti gli altri produttori è così». 



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