Non ci resta che ridere

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Dove finisce la vanità inizia il senso del ridicolo. E tra le aziende “top” e le classifiche a pagamento, la “nuova normalità” e la “resilienza”, gli asterischi e le schwa, la vision e il purpose, le persone al centro e la leadership, finisce che invece che distinguerci sul mercato ci si vada a infrattare nel mare della fuffa che imperversa negli uffici e sui social, persino quelli più blasonati. Ci sarebbe da piangere, invece scappa da ridere. E probabilmente ve ne siete accorti anche voi. «L’ironia traduce la realtà: quella roba esiste davvero e c’è poco da ridere», conferma a Economy Osvaldo Danzi, executive recruiter per Scr Consulenza, nonché editore di Senza Filtro (testata giornalistica specializzata sui temi del lavoro), che con la community di FiordiRisorse ha realizzato il “Bingo delle cazzate 2025” che ha spopolato anche durante le cene aziendali, nel quale ha inserito tutto lo scibile della banalità della comunicazione manageriale, dall’Agenda 2030 all’intelligenza artificiale, il chief happiness officer e la gentilezza.

«Nella leggerezza dell’iniziativa, c’è un messaggio molto serio: le persone non si riconoscono nel modo in cui viene raccontata anche la loro azienda. I valori hanno preso la piega del ridicolo perché sono diventati pura merce di marketing», spiega Danzi. «Siamo investiti dalla retorica: Il 2023 è stato l’anno della gentilezza. Ma chi è gentile, lo è in qualsiasi contesto, non solo “per policy aziendale”. La letteratura manageriale è preda di gesti, processi, attività e titoli-fuffa che ci distraggono dalla necessità di leggere contenuti di valore e di formarci davvero in un momento di crisi imminente in cui stiamo perdendo competitività industriale e capacità di attrazione verso tutte le generazioni»

Nel suo Bingo, ce n’è per tutti: Danzi ha inserito anche alcune iniziative molto note, dalle classifiche di Forbes alle certificazioni, mentre Top Employer e Great Place To Work sono diventati una crasi in un’unica casella. «Non contesto (del tutto) il processo di valutazione che andrebbe comunque approfondito caso per caso, quanto il fatto che questi fenomeni diventano strumento autoreferenziale per i post sui social di qualche manager dall’ego smisurato e creano una percezione di un mondo del lavoro che non esiste. Una comunicazione fra l’altro molto sottile in cui “abbiamo vinto” ha un margine impercettibile con “abbiamo pagato”. Esattamente come succede con certe certificazioni di cui anche io ammetto di essere stato vittima. Su Linkedin ho raccolto decine di testimonianze di persone licenziate nella settimana di Natale con modalità del tutto discutibili e ben lontane dai processi di attenzione e centricità delle persone» sottolinea Danzi, in uscita con “Il lavoro trattato male”, una panoramica del mondo del lavoro attraverso screenshot dai social network, titoli di giornale, offerte di lavoro incomprensibili e dichiarazioni di manager e imprenditori imbarazzanti.

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«Non è un caso che anche il linguaggio rappresenti un valore. Lo sa che in alcune aziende stanno tornando di moda i corsi di scrittura?».

Il messaggio ironico funziona e stimola. «Il Milanese Imbruttito ha trovato la cifra comica perfetta: piace a chi non è di Milano perché vede tutti i Milanesi esattamente come vengono ritratti in quei reel; piace ai Milanesi perché è un Milanese che li prende in giro e loro riconoscono in quei caratteri i loro capi e i loro colleghi (ma stranamente, non se stessi!). Funziona Frank Gramuglia che in due anni è diventato una star del web con la macchietta dell’impiegato fancazzista, perché è l’intermediario perfetto di chi lavora in quegli ambienti in cui si professa la competitività e l’over performance. È l’ambasciatore di pensieri che nessuno ha il coraggio di esprimere ma che tutti pensano. Ironici, ma ci sarebbe da piangere. Il “big bang perfetto” però avviene quando uno stile manageriale che vorrebbe manifestare professionalità (il “talento”, “ci briffiamo”, “ricalendarizziamo”) diventa ridicolo per riconoscimento universale.  È da qui che manager ed aziende dovrebbero iniziare a lavorare davvero sul “cambiamento”». Altra casella del Bingo, fra le più gettonate.

Cattivi esempi

Prendiamo Il Milanese Imbruttito. Lo conosciamo tutti, e tutti pensiamo che si tratti di Germano Lanzoni. Che invece è “solo” l’attore che lo interpreta. Ma Il Milanese Imbruttito è in realtà un social brand nato nel 2013 dall’idea di Tommaso Pozza, Marco De Crescenzio e Federico Marisio. «In partenza il progetto era stato pensato come un puro intrattenimento per Facebook con l’obbiettivo di ironizzare su Milano e gli imbruttiti, milanesi e non», spiegano a Economy i founder. «Presto però il progetto ha preso piede grazie ai primi processi di viralizzazione social e nell’arco del tempo si è sviluppato e strutturato come una factory creativa (la Shewants srl) aprendo la strada ai primi progetti di brande content sui social network. Nel frattempo abbiamo anche avviato e consolidato il reparto video, grazie a solide collaborazioni con Ramaya Productions e lo scouting di volti come l’iconico Germano Lanzoni (il signor Imbruttito, appunto) o Brenda Lodigiani (l’Imbruttita)». Il progetto, la notorietà e la credibilità del brand Milanese Imbruttito sono cresciuti, il mercato si è evoluto, e il progetto è diventato sempre più un business consolidato: oggi Il Milanese Imbruttito e Shewants hanno oltre 100 progetti di branded content all’attivo con grandi players del mercato (Apple, Mediaworld, Unipol, CocaCola e Disney tra di essi), due film prodotti e distribuiti al cinema e piattaforme Ott con Medusa e Prime video, un progetto crossmedia con spot tv pianificato a livello nazionale, svariate decine di referenze di prodotto e merchandising realizzate e vendute e più di 3,5 milioni di follower distribuiti sulle principali piattaforme social.

«Una delle chiavi del successo di Milanese Imbruttito è sempre stata la leva ironica e utilizzo della comicità e di attori e creator comici per diffondere messaggi, branded e unbranded, istituzionali e di puro intrattenimento», proseguono Pozza, De Crescenzio e Marisio. «Shewants ha sempre lavorato e curato le fasi di scrittura creativa, produzione e post-produzione dei contenuti, con l’obbiettivo di creare messaggi efficaci, chiari ma divertenti. Grazie all’utilizzo dell’ironia siamo riusciti a catturare l’attenzione dell’audience social, a creare e diffondere contenuti utili e divertenti, di intrattenimento ma con, a volte, un taglio informativo e formativo».

Uno spazio e attenzione sicuramente importante è stato dedicato negli anni al branded content video: «Dal 2016 ad oggi abbiamo affinato tecniche produttive, di scrittura e trattamento del prodotto. Il cast attori è cresciuto con il progetto ed ha alzato la qualità del contenuto video stesso. I brand e i player del mercato della comunicazione social hanno ampliato visioni e progettualità, permettendoci di lavorare spesso cross media e di poter veicolare messaggi commerciali con uno stile unico ed ironico».

Qualche case history interessante e di successo nel tempo? Quella per Unipol Move: «per il lancio e apertura del mercato del telepedaggio abbiamo lavorato ad una campagna cross-media interamente curata da Shewants che ha visto nella arco del 2024 la produzione di quattro short content per Instagram e TikTok, due spot radio pianificati e uno spot tv pianificati sulle principali emittenti nazionali». E poi per Edenred: « abbiamo realizzato due campagne video destinate alla pianificazione digital e social del cliente. Per l’ultima campagna, con la quale abbiamo anche vinto un media key award durante l’ultima edizione, abbiamo collaborato con Frank Gramuglia, unendo il rigore professionale del signor Imbruttto al suo fancazzismo professionale e mischiando i due tone of voice». E ancora per Sea: «per la chiusura e riapertura dell’aeroporto di Milano, Sea ha affidato al Milanese Imbruttito un progetto sviluppato attraverso diversi contenuti editoriali e video, diffusi sui canali social Imbruttiti, in cui, in chiave ironica ed informativa, sono stati veicolati i messaggi aziendali della campagna. Un progetto integrato che ha visto la creazione e diffusione di due contenuti video, altrettanti contenuti editoriali e un’attività video attraverso il profilo Instagram del Milanese Imbruttito».

Attenzione a non strafare

«L’ironia può essere un veicolo e un canale attraverso il quale si può catturare l’attenzione del pubblico e del cliente, consentendoci quindi di trainare in maniera più veloce un messaggio che l’azienda vuole mandare», conferma a Economy Enrico Bricchi, amministratore delegato della social media company Corax, che vanta un roster di personaggi del calibro Giulia Bellu, Aldo Giovanni e Giacomo, Frank Gramuglia, Enrico Papi, Jules, Sara Gioira, Ginevra Giaccherini, Piovono Ricette e Luca Mastrangelo. «Il valore dell’ironia è la velocità», spiega Bricchi: «riesce a evitare quell’aspetto prettamente figlio di una comunicazione analitica tipica delle figure più tecniche, andando quindi a semplificare e, di conseguenza, alleggerire il messaggio grazie al linguaggio dei comici. In Corax, per esempio, siamo ormai diventati maestri in questo tipo di attività. Tra Aldo, Giovanni e Giacomo, Jules e Frank Gramuglia sono centinaia le grandi aziende multinazionali che si affidano a noi per veicolare il loro messaggio rendendolo più leggero e quindi più fruibile grazie al lavoro instaurato con il comico». E le aziende gradiscono: non è un caso che tra i clienti di Corax figurino brand come Philips, Intimissimi e Mooney.

Attenzione, però: non è detto che ciò che funziona sia destinato a funzionare sempre e comunque. Come ogni cosa, anche la comicità, se è troppa, stroppia. Ne è più che convinta Marianna Ghirlanda, Ceo di Bbdo Italia nonché presidentessa del capitolo italiana dell’International Advertising Association, la più rilevante community internazionale di leader del marketing e della comunicazione: «Nell’era digitale, l’ironia e l’umorismo non sono semplici trovate narrative, ma veri e propri strumenti di marketing», sottolinea. «Meme e battute ben congegnate catturano l’attenzione, imprimono il brand nella memoria e creano engagement, perché il pubblico tende a condividere ciò che lo sorprende e lo diverte. Il rischio, però, che si vede sempre più spesso nelle comunicazioni social di molti brand, è quello di puntare tutto sull’umorismo, sfruttando trend e meme tipici delle piattaforme senza un reale collegamento con il prodotto o il servizio. In questi casi si riesce magari a strappare una risata, ma difficilmente si raggiunge l’obiettivo della comunicazione».

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