«Umanità piena di odio, il futuro è nel perdono»

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Ecco come rendere il mondo un luogo meno conflittuale. Primo: imparare a perdonare i propri nemici. Secondo: imparare a chiedere perdono per gli errori commessi. Terzo: riannodare le relazioni sfilacciate (senza escludere nemmeno chi colpisce e tradisce).

Sembra un po’ il compendio dell’enciclica Fratelli Tutti e, invece, stavolta è il cuore dell’ultima omelia che Bergoglio ha preparato poco prima di scivolare nella bruttissima crisi respiratoria che sabato mattina lo ha portato quasi sull’orlo dell’abisso. Per certi versi ha i tratti di un testamento spirituale. Ci aveva lavorato dalla sua stanza di degenza al Gemelli, strutturando lo schema del testo che poi ha trasmesso a monsignor Rino Fisichella perché lo leggesse al suo posto in basilica, alla messa prevista ieri mattina a San Pietro, per il Giubileo dei diaconi. Un appuntamento giubilare al quale il Papa non avrebbe mancato per nulla al mondo se la sua salute non avesse ceduto.

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IL CAMMINO
Il non facile sentiero del perdono indicato a ogni cristiano e sul quale il pontefice insiste tanto rappresenta «l’elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e la condizione per ogni convivenza umana. Gesù ce ne indica l’esigenza e la portata quando dice: “Amate i vostri nemici”». Ovviamente se fosse così semplice applicare queste regole come un automatismo qualsiasi, il mondo sarebbe già il giardino dell’Eden e non di certo un luogo pieno di contraddizioni, scompensi, ingiustizie in cui il male pare prendere il sopravvento sul bene. Francesco la realtà la descrive così: «Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo. Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. Si compie il terzo anniversario della guerra su larga scala contro l’Ucraina: una ricorrenza dolorosa e vergognosa per l’intera umanità».

IL PENSIERO D’AFFETTO
Mentre l’arcivescovo Fisichella era all’altare della Cattedra e dava lettura dell’omelia – introducendola con un pensiero d’affetto per l’anziano Papa che sta lottando da giorni contro le infezioni ai polmoni («Questo ci obbliga a rendere ancora più forte e intensa la nostra preghiera perché il Signore lo assista nel momento della prova e della malattia») – quasi in contemporanea al policlinico Gemelli terminava il consulto medico dei primari. Le cure antibiotiche modificate ulteriormente dopo la crisi respiratoria, nel tentativo di contenere i focolai del paziente, avevano nel frattempo aperto qualche timidissimo spiraglio. Così la buona notizia dei miglioramenti è arrivata quando la gente stava uscendo dalla basilica di San Pietro. La messa era appena finita. Quattromila diaconi vestiti di bianco e altre migliaia di pellegrini arrivati da tutto il mondo lentamente defluivano riempiendo la piazza. Le parole di Bergoglio sul perdono che erano appena risuonate avevano colpito tutti e stavano inesorabilmente accompagnato il regolare deflusso. «Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere – e ad insegnare agli altri a vedere – in tutti, anche in chi sbaglia». In pratica è questo il sogno rincorso negli undici anni di pontificato, la costruzione di una Chiesa in uscita, capace di oltrepassare i propri limiti, raggiungere zone mai varcate, compreso le cosiddette periferie esistenziali. Spronando i cristiani ad uscire da sé, dai propri egoismi, dalle proprie sicurezze.

Concetti sui quali Francesco ha martellato ininterrottamente dal 2013, spesso sollevando anche perplessità, più volte provocando costantemente. Un lascito importante per le persone di buona volontà. In un altro punto dell’omelia è affiorata una seconda raccomandazione: «Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di se e il bene delle persone». Anche qui è rintracciabile un altro concetto racchiuso tra le pagine della Fratelli Tutti, l’enciclica promulgata dopo lo choc globale del Covid 19. Siamo tutti sulla stessa barca. O ci si salva tutti, o non si salva nessuno. La visione complessiva è quella di una unica grande famiglia in cui c’è bisogno di riparare i legami, rammendare gli strappi, curare le ferite, creare fiducia reciproca, abbattere muri e pregiudizi altrimenti non ci sarà mai nessuna pace possibile.

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La terapia per il mondo non può che essere la «buona amicizia», la fratellanza. Il modello esemplare è quello del Buon Samaritano che, scriveva Francesco nell’enciclica del 2020, prende su di sé «il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti». Ovvero la bussola indicata anche ieri a San Pietro mentre lui era in ospedale a lottare, consapevole di essere arrivato ad un punto decisivo della sua storia personale.

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