«Il Modello Albania viola le leggi tre volte: asilo, ricorsi, vulnerabilità»

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L’ingresso del centro di Gjadere – Tavolo asilo e immigrazione

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Il Modello Albania non è solo «una farsa» per lo sperpero di soldi pubblici – circa 800 mila euro – e il numero esiguo di migranti – in tutto 74 – inviati e poi riportati in Italia. È un «obbrobrio giuridico che viola gravemente il diritto di asilo», un «attacco al diritto di difesa», con l’Albania usata «come il tappeto sotto cui si nasconde una gestione sbagliata delle migrazioni», un «fallimento della propaganda del governo Meloni sulle spalle di migranti vulnerabili e sulle tasche degli italiani».

Nel giorno della prima udienza della Corte di giustizia dell’UE, che dovrà pronunciarsi sul controverso modello, il Tavolo asilo e immigrazione (Tai) presenta il Rapporto frutto delle tre visite compiute dalle organizzazioni della società civile assieme alo Gruppo di contatto sull’immigrazione dei parlamentari dell’opposizione. Un dossier che boccia senza appello dal punto di vista « etico, giuridico ed economico» l’invenzione di Giorgia Meloni per risolvere i flussi di immigrazione irregolare.

Il coordinatore del Tavolo, Filippo Miraglia di Arci, denuncia le criticità emerse: «Le violazioni sono numerose e sistematiche – afferma – a cominciare dalla valutazione delle vulnerabilità assolutamente inadeguata, per seguire con l’applicazione generalizzata delle procedure accelerate in frontiera, che comporta una torsione inaccettabile del diritto d’asilo e un indebolimento delle garanzie per i richiedenti protezione, fino ad arrivare – spiega – al trattenimento prolungato dalla selezione in mare e l’impossibilità di esercitare il diritto di difesa a causa dell’isolamento, della difficoltà di accesso a un’assistenza legale, della rapidità delle procedure che impediscono una consapevolezza del quadro giuridico per la domanda di protezione». E ricorda che «le persone vengono private della loro libertà, ben oltre le 48 ore stabilite dalle nostre leggi».

I monitoraggi sono stati effettuati in occasione dei tre trasferimenti a ottobre, novembre e gennaio, che hanno permesso a ong e parlamentari di visitare l’hotspot di Shengjin e il centro di Gjadere e di parlare con i profughi. Alla presentazione del dossier sono intervenuti diversi parlamentari del Gruppo di contatto: Laura Boldrini, Rachele Scarpa e Giovanna Iacono (Pd), Paolo Ciani (Demos), Francesca Ghirra (Avs), Riccardo Magi (+Europa).

Da sinistra: Paolo Ciani, Filippo Miraglia, Laura Boldrini, Rachele Scarpa

Da sinistra: Paolo Ciani, Filippo Miraglia, Laura Boldrini, Rachele Scarpa – L.Liv.

«Ancora una volta si scarica su altri governi una responsabilità dell’Italia – dice Filippo Miraglia dell’Arci, coordinatore del Tai – con una esternalizzazione che alimenta gli affari sporchi dei trafficanti che incassano al sicuro a casa loro». Francesco Ferri di Action Aid mette in guardia sul «rischio di ridurre il modello Albania a una farsa, perché ha sottoposto le persone a eclatanti violazioni dei diritti». Lorenzo Trucco dell’Asgi parla di «obbrobrio giuridico». Perché «il frettoloso pre-screening fatto in nave tra chi sarebbe vulnerabile, dunque non trasferibile, e chi no, non è normato, non si dice chi lo deve fare e come». Perché comprime il diritto all’silo». Perché è «un attacco al diritto di difesa coi tempi per il ricorso contro il respingimento della richiesta di asilo di 7 giorni, con i migranti in Albania e gli avvocati in Italia».

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Daniela Di Rado del Cir ricorda come «in tutti e tre i trasferimenti «poi al secondo screening si scopriva che un altro il 10% dei migranti era vulnerabile». «Molte vulnerabilità psichiche di queste persone tutte abusate in Libia hanno bisogno almeno di qalcuni giorni per emergere», afferma Roberto Maccaroni di Emergency che pone il nodo deontologico di medici «che fanno diagnosi non per finalità di cura, ma di destinazione logistica. Dubbi già sollevati dal presidente dei Medici italiani Filippo Anelli».

Alla presentazione c’è anche il punto di vista di Fioralba Duma, attivista albanese di “Italiani senza cittadinanza” e del collettivo Mesdhé. Il protocollo, sostiene, «è stato siglato in violazione della Costituzione albanese perché ad apporre la firma è stato il primo ministro e non il presidente della Repubblica. Su di un testo – aggiunge Duma – in lingua italiana. Un atto neocolonialista. Molti albanesi sono contrari ma tacciono perché il personale dei centri, in quelle aree depresse, alimenta affitti, alberghi, ristoranti».

«È un grande fallimento della propaganda della presidente Meloni – denuncia Laura Boldrini – ma sulle spalle delle persone, tutte vulnerabili perché passate nei centri in Libia, e le tasche degli italiani. Tutti soldi che potevano essere spesi per l’accoglienza in Italia così carente». «Il torturatore Almasri fuori, i torturati dentro», afferma Rachele Scarpa. «Alla premier il giocattolo gli è esploso in mano – dice Riccardo Magi – ma ormai è tempo di istituire una commissione d’inchiesta sull’attuazione del memorandum Italia Libia, anche perché ha attraversato governi diversi».





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