Prezzo dell’energia, allarme industriali: “Costi record, intervenga il governo”


Il gruppo Arvedi, leader nel settore della siderurgia, ha comprato una serie di pagine sui quotidiani per denunciare il meccanismo con cui si forma il prezzo dell’energia in Italia. E per chiedere, di fatto, il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità all’ingrosso

Il titolo che campeggia sulla pagine acquistate sui quotidiani dal gruppo Arvedi (6.400 dipendenti, oltre 5 milioni di tonnellate di prodotti lavorati) non lascia spazio a dubbi: “Perché l’Italia paga il prezzo dell’energia il doppio degli altri Paesi?“.

Il prezzo del gas supera i 50 euro al megawattora

Intanto, perché si tratta di un fatto assodato. Cittadini e imprese hanno un costo della bolletta energetica tra i più elevati dell’Unione europea. Un problema che l’Italia si trascina da tempo. Visto che le centrali a gas sono fondamentali nella produzione di elettricità e, di conseguenza, per la formazione del prezzo dell’energia. Questo significa che le imprese devono scontare uno svantaggio competitivo nei confronti dei loro concorrenti.

Ma non è stato sempre così. Dopo il 2010 e fino all’invasione dell’Ucraina, l’Italia ha potuto godere di forniture a prezzi vantaggiosi dalla Russia. Grazie ai contratti di lungo periodo sottoscritti da Eni e da altri operatori. La bolletta energetica dell’Italia, in questo periodo, è rientrata nella media dei prezzi Ue.

Il gruppo Arvedi compra pagine di pubblicità sui quotidiani per denunciare il meccanismo di formazione del prezzo dell’energia

La situazione è tornata a essere pesante per famiglie e imprese alla fine del periodo dei lockdown causati dal Covid, per l’improvvisa ripresa della domanda di materie prime. E si è accentuata con la guerra mossa da Mosca.

La ragione è da ricercare nel meccanismo di formazione del prezzo dell’elettricità. “Il prezzo dell’energia viene calcolato con i costi della centrale a gas meno performante. E non con la medie delle altre centrali a gas e degli impianti rinnovabili”. Un meccanismo studiato per garantire offerte sul mercato da parte delle centrali a gas. Le quali garantiscono l’offerta, indipendentemente dall’attività delle rinnovabili. In assenza di vento o con poco sole potrebbero non offrire abbastanza elettricità garantire la stabilità del sistema.

In pratica, quando il prezzo del gas sui mercati cresce, anche le bollette elettriche in Italia salgono di conseguenza. Diversa la situazione in altre parti d’Europa, dove il mix energetico è diverso. Nel nord Europa, la quota complessiva di rinnovabili è più alta (in Germania attorno al 67%, contro il 42% circa dell’Italia). Inoltre, alcuni Paesi europei possono contare su una quota di energia nucleare, che ha costi di produzione inferiori alle centrali a gas.

“Il prezzo dell’energia va staccato da quello del gas”

Del resto, per tagliare le forniture dalla Russia – che prima della guerra garantivano quasi il 45% del fabbisogno – i Paesi e si sono rivolti alle forniture di Gnl, il gas liquefatto trasportato via nave. In particolare, hanno guadagnato quote di mercato i produttori Usa, che ce lo rivendono almeno a un prezzo tre volte superiore a quello che si paga sul mercato americano.

L’intervento del gruppo Arvedi diventa così un invito “a chi governa” il mercato perché si arrivi a modificare il meccanismo della formazione dei prezzi. Un segnale all’esecutivo Meloni e ovviamente anche all’Europa. Come ha suggerito anche l’ex presidente della Bce ed ex presidente del Consiglio Mario Draghi, una soluzione può essere la “separazione” dei prezzi del gas da quelli dell’energia elettrica all’ingrosso. Con gli accorgimenti necessari perché il prezzo non vada vicino a zero quando l’offerta da parte delle rinnovabili è molto alta. Un primo tentativo si avrà con l’introduzione dei prezzi zonali, dove l’Italia sarà divisa in macroregioni. E le bollette dovrebbero esser meno care dove maggiore è la presenza di rinnovabili.

Il governo Meloni ritiene, invece, che per abbassare il prezzo dell’energia serva il ritorno al nucleare. Non più con grandi centrali sul modello di Caorso con oltre mille megawatt di potenza, ma impianti dotati di piccoli reattori da 200-300 megawatt.  Anche se non ha ancora spiegato chi dovrebbe realizzare (e pagare) gli impianti. 

Per non dire che la tecnologia da utilizzare (Smr, small modular reactor) è ancora in sperimentazione. E anche i più ottimisti prevedono che le prime centrali non siamo operative prima del 2030. Ma gli industriali, come testimonia anche l’intervento in audizione alla Camera da parte di Aurelio Regina, delegato del presidente Emanuele Orsini ai temi energetici. Regina ha ricordato che il problema è ora, il nucleare può attendere.

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