Quando lo arrestarono, nel 2011, la vicenda fece scalpore e conquistò le prime pagine dei giornali, anche perché c’erano tutti gli ingredienti che fanno montare una notizia: lo scenario, un elegante condominio sulla collina di Posillipo, l’accusa infamante di spaccio di droga e un parterre di indagati appartenenti al mondo della Napoli che conta.
Era una fredda mattina di febbraio quando i carabinieri bussarono alla porta di Mario L., titolare della portineria dello stabile di via Petrarca che – secondo alcune indagini dei militari della locale stazione – era uno dei principali personaggi che muovevano dosi di cocaina che sarebbero state recapitate direttamente al suo domicilio per poi essere smistate ad alcuni condomini. E ci sono voluti 14 anni per arrivare a una sentenza di assoluzione che – di fatto – scagiona l’oggi 63enne portiere accusato ingiustamente, come spiega la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli qualche giorno fa.
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La ricostruzione
Abbiamo detto 14 anni per ottenere finalmente giustizia: più correttamente dovremmo parlare di 16 anni, giacché l’indagine a carico dell’uomo (e di altri soggetti) prese le mosse in Procura nel 2009. Ma ricostruiamo i passaggi essenziali di questa vicenda giudiziaria che negli indagati ha lasciato una ferita profonda, e forse ancora aperta.
Tutto nasce da alcune telefonate intercettate da un commerciante di Posillipo che aveva denunciato alcune tentate estorsioni commesse da soggetti legati alla criminalità organizzata della zona. La vittima del racket – noncurante del fatto che la linea fosse “ascoltata” dagli inquirenti – in diverse occasioni contatta dei pusher ordinando quantitativi di cocaina per uso personale. Tanto basta a far scattare il sospetto che dietro quegli ordini possa nascondersi un giro ben più ampio di narcotraffico.
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Le indagini si concentrano anche su un tratto di terra coltivata (poco distante da una delle famigerate curve di via Patrarca, dove di recente sono accaduti incidenti molto gravi): e i carabinieri ipotizzano che in quel piccolo tratto agricolo – curato dallo stesso portiere, dal commerciante vittima del racket e da una terza persona – si coltivino anche piante di marijuana, circostanza che poi verrà smentita grazie a una perizia presentata dai difensori di Mario L., i penalisti Paolo Cerruti e Roberto Russo.
Poi, ancora, ci sono altre telefonate sospette intercettate: in quelle conversazioni i presunti acquirenti della droga chiedevano di poter avere recapitate a casa “dieci biglietti” o “30 bocconcini di mozzarella, stasera ho una festa”. Per la Procura il quadro accusatorio era sufficiente a chiedere le misure cautelari, che verranno poi accolte dal gip. Sul portiere dello stabile – che poi ammetterà di avere fatto uso personale di cocaina, pur non avendo mai spacciato la polvere bianca – ricadranno ben 11 capi d’imputazione.
I giudizi
Si arriva così al processo di primo grado, che per il 63enne si concluderà con una condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre alla pena pecuniaria accessoria di 20mila euro). Ma la difesa non demorde. L’avvocato Cerruti nella sua arringa smonterà l’impianto accusatorio che pure aveva convinto il collegio di giudici di primo grado: per il portiere si chiude un ciclo dolorosissimo.
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Il fatto è che per arrivare al giudizio di secondo grado si dovrà attendere il 14 gennaio 2025, cioè pochi giorni fa. In appello Mario viene assolto (per soli due capi d’imputazione scatterà la prescrizione). «Una vicenda dolorosa – commenta l’avvocato Cerruti – questo processo dimostra ancora una volta che il ruolo degli avvocati viene spesso depotenziato, e che non possono svolgere pienamente il loro ruolo. Nello sviluppo delle indagini il gip aveva poi perfettamente individuato il punto: quella cocaina era ordinata per uso personale, non per altre finalità. Se quell’indirizzo fosse stato condiviso nel corso dell’iter giudiziario si sarebbe potuto evitare un calvario giudiziario durato 16 anni. Magra consolazione: ma oggi possiamo dire che la giustizia ha finalmente trionfato».
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