Cop16 alla Fao, accordo tra nord e sud del mondo per la biodiversità

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Raggiunta in extremis a Roma un’intesa tra 150 Paesi per un fondo destinato alla tutela delle superfici terrestri e marittime del pianeta: si tratta di 200 miliardi di dollari di cui beneficeranno soprattutto le comunità indigene del mondo, grazie al sostegno degli Stati e alle aziende che traggono profitto dalle risorse naturali. Giuseppe Milano di Greenaccord: i benefici della natura valgono oltre il 50% del Pil. Per il WWF un accordo necessario per garantire un futuro alle nuove generazioni

Michele Raviart – Città del Vaticano

Un fondo da 200 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per bloccare la perdita di biodiversità, proteggere gli ecosistemi del pianeta e tutelare le popolazioni indigene che da sempre contribuiscono a proteggerli. È il risultato raggiunto all’ultimo momento dalla seconda sessione della Cop16 sulla biodiversità, che si è conclusa ieri dopo tre giorni di negoziati nella sede della Fao, dopo il fallimento della conferenza di Cali, in Colombia dello scorso novembre. 150 i Paesi partecipanti, che si sono impegnati in una road map quinquennale e che sono riusciti a colmare il divario tra le richieste degli Stati più sviluppati e le esigenze di quelli più poveri.

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Proteggere il 30% della superficie del pianeta

Saranno 30 i miliardi di dollari che i Paesi più ricchi daranno a quelli in via di sviluppo – raddoppiata quindi la cifra di 15 miliardi stabilita nel 2022 – attraverso strumenti finanziari per la tutela della biodiversità e un sistema di monitoraggio delle misure implementate. Per la prima volta nei 30 anni di storia dalla firma della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd), è stata infatti concordata la creazione di uno specifico meccanismo finanziario per sostenere l’attuazione degli obiettivi adottati. Il più ambizioso, che risale agli accordi Kumming-Montreal del 2022, è quello di proteggere il 30% della superficie terrestre e marina, rispetto agli attuali 17% della terra e l’8% dei mari.

Maggiori risorse alle comunità indigene

Il “Fondo Cali” – che era stato istituito in Colombia, ma non era stato approvato – sarà gestito dalle Nazioni Unite e prevede una compensazione per le popolazioni indigene che da sempre lavorano per conservare la biodiversità mondiale. Le risorse economiche non statali arriveranno dalle aziende che traggono un vantaggio economico dall’uso commerciale delle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche. Si tratta di imprese nel settore farmaceutico, cosmetico, biotecnologico agricolo, biotecnologico industriale e dell’intelligenza artificiale, che contribuiranno al fondo con l’1% dei loro profitti o lo 0,1% dei loro ricavi. “Le comunità indigene e in generale tutte le comunità locali sono le prime sentinelle del creato, perché sono portatori sani di valori storici, culturali e identitari dei luoghi in cui si abilitano le proprie esperienze di vita”, sottolinea Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord, e “pensare che insieme un tema così glocal – cioè globale e locale – come la biodiversità non preveda il coinvolgimento proattivo di chi quei territori non solo li vive, ma è deputato a prendersene cura, sarebbe stato sicuramente un errore. È altrettanto vero che i servizi ecosistemici, cioè i benefici multipli che la natura è in grado di assicurare all’uomo e alle sue attività oggi hanno un valore economico enorme”, continua Milano, “si parla a livello mondiale del 55% del Pil, per cui non tutelare la biodiversità ha impatti economici molto importanti”.

Garantire un futuro alle nuove generazioni

“Pensiamo ad esempio a quanto succede in Amazzonia”, ribadisce Gianluca Catullo, responsabile specie e habitat WWF, una delle 39 organizzazioni che in vista della conferenza hanno firmato un appello di sensibilizzazione dal tema “Alla Cop16 di Roma dobbiamo fare pace con la natura. “Quando si taglia la foresta si perde la capacità di stoccaggio del carbonio da parte del pianeta in maniera sensibile”, continua e non “siamo vicini a quelli che gli scienziati chiamano i tipping point, ovvero quei punti critici oltre i quali si fa difficoltà a tornare alle condizioni originali, come stiamo toccando con mano a livello climatico. Intervenire oggi”, conclude, “significa garantire un futuro più roseo alle generazioni che verranno”.

Un accordo considerato storico

“Abbiamo portato a termine l’adozione del primo piano mondiale per finanziare la conservazione della vita sulla Terra”, ha dichiarato su X la ministra colombiana dell’Ambiente e presidente della Cop16, Susana Muhamad. “L’accordo è storico e apre la strada al meccanismo finanziario che attendevamo da più di 30 anni”, ha ribadito la negoziatrice brasiliana Maria Angelica Ikeda, considerata una delle figure chiave delle trattative. “Nessuna delle due parti ha dovuto sacrificare le proprie posizioni”, ha dichiarato invece all’Afp il negoziatore europeo Hugo-Maria Schally. La prossima conferenza sulla biodiversità, la COP17 si svolgerà nel 2026 a Jerevan, capitale dell’Armenia.



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