In Italia 8,8 milioni di individui vivono soli

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Nel 1° Paper del Rapporto 2025 Family (Net)WorkLa fatica delle famiglie: una difficile articolazione della domanda di cura” realizzato dal Censis e promosso da Assindatcolf, ove si evidenzia che in Italia si contano 8,5 badanti ogni 100 persone sole che hanno 60 anni e più, con variazioni significative a livello regionale: la Sardegna registra il dato più alto (24,5%), seguita da Toscana (13,5%), Marche (13,4%), Friuli-Venezia Giulia (12,7%), ed Emilia-Romagna e Umbria (11,9%), il dato che maggiormente colpisce è quello relativo alla solitudine. L’analisi restituisce infatti l’immagine di un’Italia caratterizzata da un elevato “indice di solitudine”, pari a 34,4 persone sole ogni 100 famiglie, anche qui con grandi differenze a livello regionale. La Liguria registra il dato più alto (42,9%), seguita dalla Valle d’Aosta (41,2%), dal Piemonte e dal Lazio, con quasi 39 persone sole ogni 100 famiglie. Complessivamente sono 8,8 milioni gli individui che vivono soli, all’interno di questa categoria gli anziani con 60 anni e più rappresentano la quota più ampia: quasi 5 milioni, pari al 55,2%. L’incidenza regionale più elevata si registra in Umbria, dove il 60,5% delle persone sole ha più di 60 anni, seguono la Sicilia (59,7%), la Liguria (59,4%), la Calabria (58,7%), il Piemonte (57,6%). In Lombardia e Lazio sono rispettivamente il 53,1% e il 52,9%.

Vivere da soli non implica necessariamente una condizione di disagio, ma comporta una serie di difficoltà che possono accentuarsi invecchiando. Secondo l’indagine realizzata dal Censis su un campione di più di 2.300 famiglie datrici di lavoro domestico, quello che viene ritenuto il problema maggiore è la mancanza di assistenza immediata in caso di emergenza (50,5%), che sale al 52,2% tra gli over 75. Segue la gestione delle attività domestiche e la preparazione dei pasti (38,2%). La solitudine e l’assenza di relazioni di supporto preoccupano il 31,6% delle persone. Questo dato è più alto tra gli under 50 (45,1%) rispetto agli over 75 (22,0%). Le difficoltà nella gestione delle pratiche burocratiche digitali vengono indicate dal 31,2%, mentre l’accesso all’assistenza privata dal 20,6%, con percentuali più alte tra i giovani (23,8%) rispetto agli over 75 (14,4%). Al contrario, l’accesso ai servizi sanitari diventa più preoccupante con l’età: dal 7,9% degli under 50, arriva al 18,0% tra gli over 75. Oltre all’aiuto di lavoratori domestici, le persone che vivono sole adottano strategie diverse per affrontare i bisogni quotidiani, ma il supporto di familiari e amici rappresenta la soluzione più diffusa, scelta dal 43,9%, con un picco che arriva al 57,6% nelle persone over 75.

Quando si tratta di affrontare i bisogni quotidiani, si legge nel report, le persone che vivono sole adottano strategie diverse, che variano a seconda dell’età e del livello di autonomia. Comunque, guardando al quadro generale, emerge chiaramente che il supporto di familiari e amici rappresenta la soluzione più diffusa, coinvolgendo il 43,9% degli intervistati. Il 39,6% delle persone afferma di gestire autonomamente la propria quotidianità, che può significare forte indipendenza, risorse ridotte o, forse, una mancata consapevolezza delle possibilità di supporto disponibili. Gli strumenti tecnologici, sebbene ancora poco utilizzati (15,3%), iniziano a ritagliarsi un ruolo, mentre il ricorso regolare ad assistenti domiciliari (assistenti inviate al domicilio da Asl o dai comuni) riguarda poco più di un decimo degli intervistati (10,8%). Infine, il supporto dei vicini di casa si mantiene su una percentuale modesta (8,6%), mentre le reti di solidarietà e le soluzioni abitative condivise restano fenomeni marginali (2% e 0,5%).”

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Il 64,3% di chi ha una persona non autosufficiente all’interno della propria famiglia dichiara poi di esserne il caregiver. Le principali mansioni svolte con regolarità riguardano soprattutto la gestione delle pratiche amministrative, con il 90,7% che dichiara di occuparsene sempre. A seguire l’accompagnamento a visite mediche o terapie (75,3%), il supporto emotivo e la presenza continua durante il giorno o la notte (30,6%) e l’assistenza diretta nella somministrazione dei pasti o nell’igiene personale (20,5%). Quanto all’impatto che il lavoro di cura può generare sul benessere della famiglia, la maggior parte degli intervistati concorda sul fatto che essere caregiver limiti il tempo disponibile per il lavoro o per altre attività personali (89,2%), con una percezione più marcata tra le donne (93,4%) rispetto agli uomini (82,9%). Anche lo stress psicologico è riconosciuto dalla grande maggioranza degli intervistati (88,3%), e riguarda il 91,1% delle donne e l’84,7% degli uomini. Nonostante le opinioni favorevoli rispetto all’eventuale condivisione degli spazi, come i modelli di co-housing e co-living quale risposta ai bisogni delle famiglie (il 78,0% ritiene che possa ridurre i costi di assistenza e supporto, l’83,5% che favoriscano l’inclusione contrastando la solitudine), per il 75,4% del campione la mancanza di fiducia o privacy rende difficilmente adottabili queste soluzioni, o anche la scarsa conoscenza (il 36,8%), tanto che il 35,9% delle persone preferisce affidarsi a soluzioni private, come il ricorso alle badanti o a servizi retribuiti.

Non sappiamo se in futuro avremo un cambiamento di paradigma, con l’evoluzione della tecnologia e l’affermazione di modelli di assistenza più flessibili e personalizzati. Per ora, la solitudine si affronta ancora, prima di tutto, grazie ai legami umani.

Qui il report: https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Family%20Net%20Work_web_0.pdf



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