L’80% delle persone con disabilità è disoccupato. L’imprenditoria è una possibilità, ma l’Italia anche in questo è fanalino di coda in Europa. Non mancano i talenti, né la capacità di costituire e guidare un’azienda, ma a pesare sono i pregiudizi e la burocrazia. La storia e le riflessioni di Davide Cervellin, cieco da quando aveva 16 anni, imprenditore agricolo e guida della Tiflosystem…
«Essere imprenditori vuol dire prima di tutto avere una visione, avere capacità di organizzare e realizzare un progetto in funzione di una passione e, certo, la capacità di interagire con le persone». E la disabilità? «La disabilità è una condizione marginale. Uno ha delle passioni e delle attitudini. Poi, il fatto che sia cieco o sordo o altro è relativo». Davide Cervellin ha 67 anni e vive ad Asolo, in provincia di Verona.
A 16 anni ha perso la vista. Una condizione che non gli ha impedito di realizzare i propri obiettivi e di vivere appieno la propria vita. È un imprenditore attivo nel campo dell’innovazione: la sua azienda, la Tiflosystem, si occupa di tecnologia e servizi per l’autonomia delle persone disabili. Ma anche nell’agricoltura: si dedica infatti a produzioni agricole di qualità, di energie rinnovabili e costruzioni biocompatibili: una scelta, quest’ultima, che è stata una sfida vinta. Con se stesso e la burocrazia.
Volevo fare il coltivatore diretto
Esiste una legge, del 1957, che impedisce ai disabili il riconoscimento ufficiale di coltivatore diretto: si presume infatti che una persona con disabilità non sia adatta a questo tipo di lavoro. Davide aveva fatto domanda alla sede Inps di Padova, ma era stata respinta. Però non ha mollato: ha dimostrato che aveva le capacità per occuparsi dei campi e alle fine ha vinto il ricorso contro la legge, rifacendosi ad un’altra legge, la 68 del 1999, sul collocamento mirato dei disabili.
“Tu non potrai mai occuparti di agricoltura”
«Sono figlio di contadini», racconta a VITA, «quando ho perso la vista a 16-17 anni, mio padre mi disse: “Tu non potrai mai occuparti di agricoltura”. Quando è morto, nel 2001», prosegue, «avevo maturato l’idea di un progetto innovativo, un agriturismo, ad Asolo. Ho fatto una ricognizione di quello che potevo fare e l’obiettivo era mettere su un’azienda agricola per fare vino e olio».
Non volevo la pensione
A quel punto, Davide scopre che non può iscriversi «all’Inps come agricoltore, perché nella normativa italiana chi diventa disabile si disiscrive dall’albo, perché chiede la pensione. Ma», puntualizza, «io non volevo la pensione, volevo essere ufficialmente un agricoltore e inquadrato come tale».
Sono il primo imprenditore agricolo italiano cieco riconosciuto dalla legge
La cosa, racconta, è andata veramente in modo «buffo. Sono venuti a vedere cosa riuscivo a fare. Ho dovuto dimostrare», spiega, «che sapevo usare una forbice per la potatura e la carriola. Alla fine mi sono iscritto, anzi sono il primo disabile che si è iscritto scritto ex novo come imprenditore agricolo», sottolinea con orgoglio.
A sostegno dell’autonomia
Un percorso di vita, il suo, che lo ha portato anche a sostenere altre persone con disabilità, non solo perché possano vivere la loro quotidianità il più normalmente possibile, ma anche perché possano mettere a frutto talenti e capacità. È la stessa mission della Fondazione Lucia Guderzo, di cui è presidente: una realtà intitolata alla moglie di Davide, che da anni è al fianco dei disabili con l’obiettivo di incrementarne l’autonomia e abbattere le barriere fisiche con l’ausilio della tecnologia, promuovendo una rete di relazioni in grado di consentire a ciascuno l’espressione creativa della propria progettualità di vita.
Tra le diverse iniziative, la fondazione promuove il ciclo di seminari “Vediamoci” che a Roma il 13 e 14 febbraio 2025 farà il punto su scuola, autonomia e lavoro (leggi anche QUI).
La tecnologia che aiuta
A Roma Cervellin ha radunato tra gli altri, Johan Haagdorens, ingegnere elettronico ipovedente, che parlerà di “La mia esperienza di imprenditore nel settore delle tecnologie assistive per ipovedenti”. Massimo Morelli, non vedente, professore di economia Università Bocconi di Milano e Monica Groppelli, cieca dalla nascita, con un intervento intitolato “A me piace fare la disk jokey”. QUI i dettagli dell’iniziativa.
Imprenditoria, una possibilità ancora per pochi
Secondo i dati (aggiornati al 2017) di Erasmus + “Creating leaders for the future”, un progetto promosso e coordinato dalla Fundacion Prevent, in Italia sono 5,5 milioni le persone con disabilità. Di queste, l’80% è disoccupato. L’imprenditoria è una possibilità: ma l’Italia è fanalino di coda, con un tasso inferiore al 4,9%. La media europea è del 7,8%, ma noi siamo messi peggio anche della Spagna (5,7%), della Francia (5,7%).
Quell’imbarazzo nei colloqui e nei rapporti di lavoro
Se la disabilità è una sfida da cui non si è tirato indietro, Cervellin è consapevole che si è trattato di un percorso faticoso: «Mi ricordo i colloqui di lavoro», racconta, «quando mi presentavo al telefono era tutto a posto. Quando però arrivavo all’incontro, molto spesso c’era un momento di imbarazzo nell’interlocutore: non si aspettava di avere interagito con un cieco».
Più capaci degli altri
E se era cosi da lavoratore, da imprenditore quel momento di imbarazzo si è moltiplicato di intensità. Già, ma con quali strumenti si supera questa difficoltà ad essere riconosciuti come imprenditori? Per Davide Cervellin la parola chiave è in entrambi i casi: capacità. «Ci sono situazioni che potrebbero apparire un po’ umilianti e imbarazzanti: bisogna avere un minimo di faccia tosta per superare quel momento, ma soprattutto dimostrare le proprie capacità. Una persona disabile», chiarisce, «ha bisogno di essere più capace degli altri per potersi affermare».
Non raccontiamoci storie, una persona disabile ha bisogno di essere più capace degli altri per potersi affermare
Davide Cervellin, imprenditore
Il linguaggio giusto
In questo quadro anche il linguaggio ha un ruolo significativo. «Non sono un “non vedente”, sono cieco», puntualizza l’imprenditore, «non è che se giriamo intorno alle parole, la mia condizione cambia. Trattiamo le persone per quello che sono, con le loro capacità e le loro manchevolezze. Non è che se edulcoriamo la realtà con un linguaggio diverso, cambiano le cose».
Formazione, competenza e accettazione dell’altro
Perché sia più semplice essere riconosciuti come imprenditori, anche per chi ha una disabilità, il percorso deve necessariamente fare leva su formazione, competenze e «mi verrebbe da dire, anche disincanto, mancanza di pietismo e sana accettazione dell’altro», spiega Cervellin. «Se invece prevale un approccio più nominalistico si rischia di abbandonare la sostanza delle cose».
Non è un caso che, fa notare, «oggi nel mondo della disabilità emerga a livello di attenzione lo sportivo disabile», anziché imprenditori o intellettuali disabili. «È il segno della non inclusione. Lo sportivo disabile emerge perché vince una medaglia d’oro alle Paralimpiadi. È il campione di scherma o il campione di nuoto solo del mondo dei disabili, marcando ancor di più la mia differenza. Non sono quello che emerge perché fa un buon vino, perché ha inventato una macchina nuova, perché ha scritto un bel libro. Lì c’è la vera comparazione con gli altri».
Facevo il liceo, ero in corriera tornare a casa. “Poverino questo ragazzo cieco”, ho sentito dire da due signore. Quel poverino mi ha dato un fastidio incredibile. Per tutta la vita ho cercato di reagire, cercando di essere utile agli altri. L’imprenditore è questo. Non puoi essere un imprenditore se chiedi. Un imprenditore è uno che dà
Davide Cervellin
Ha accettato la sfida
Davide racconta un episodio emblematico. «Facevo il liceo a Bassano del Grappa e stavo andando a prendere la corriera per Asolo, dove abitavo. “Poverino questo ragazzo cieco”, ho sentito dire da due signore. Ecco, quel poverino mi ha dato un fastidio incredibile. Per tutta la vita ho cercato di reagire a questo “poverino”, cercando di essere io utile agli altri. L’imprenditore è questo».
Storie di coraggio e di talento
Questi passaggi Davide li ha raccolti nei suoi libri, in cui ha raccontato storie in cui «la disabilità è ai margini». Storie come quella di un allevatore della Valsugana, anche lui cieco, che «aveva la passione di allevare le vacche. Oggi questa persona cieca è il presidente degli allevatori di vacche di Trento ed è diventato un po’ il riferimento di tanti altri allevatori. È questo. Non puoi essere un imprenditore se chiedi. Un imprenditore è uno che dà».
Davide racconta ancora: «Ho avuto come riferimenti diretti alcuni grandi imprenditori italiani e da loro ho imparato molto. Il mio moto è: se sto coi migliori imparo a migliorare».
Da questo bisogno è nato «il premio “Angelo Ferro”, un’occasione per scoprire talenti: premiamo persone che nella vita, pur avendo una disabilità, si sono affermate come avvocato, giornalista, imprenditore informatico, agricoltore, come un musicista».
Antonio e la sfida dell’agriturismo
Ad Alia (provincia di Palermo), Antonio Mascarella, 75 anni, assieme alla moglie Pina ha rilanciato Villa Dafne, azienda agricola di suo padre, che oggi è una realtà che vuole coniugare l’agricoltura con l’ospitalità. Antonio – una vita trascorsa all’Istituto per Ciechi di Palermo per una retinite pigmentosa, centralinista e poi la sfida di partecipare ad un bando per ristruttura e valorizzare i terreni di famiglia – ha costituito quella che è una vera e propria azienda agrituristica nel 1995. «Non ci dormivo la notte», racconta, «sapevo che quel bando era un treno che passava una volta sola».
Ad un giovane disabile che vuole fare l’imprenditore consiglio di circondarsi di persone valide. Così può fare qualsiasi cosa. E per vincere i dubbi degli altri deve puntare su passione, competenza e sacrificio
Antonio Mascarella
La difficoltà? La burocrazia
Oggi Villa Dafne è una realtà di 200 ettari, tra allevamenti («abbiamo un centinaio di mucche e maiali»), prodotti caseari e coltivazioni di pomodoro Siccagno, una varietà tipica della Sicilia e a rischio scomparsa. «L’imprenditore agricolo è un lavoro che il disabile può fare senza grandi differenze», spiega, «certo, ci vuole la passione, le competenze e il sacrificio. Il disabile qui è padrone del suo tempo, deve competere solo con se stesso».
Tra le priorità, per Antonio c’è «il circondarsi di persone di fiducia». Le difficoltà che ha incontrato? «Quelle che incontrano tutti. La burocrazia, prima di tutto».
Da terzista a guida di un impresa agricola
Dalla Sicilia al Veneto. Tarcisio Borgna ha 77 anni, da dieci è non vedente, ma già negli anni Settanta la sua vista era ridotta ad un decimo. Quando aveva 20 anni faceva il terzista (si occupava di lavorazioni per i contadini) e guidava il trattore sui campi di Chiarano, nel trevigiano. «Quegli anni mi hanno dato tanto fino a quando la vista, che avevo già precaria, non mi ha più permesso di guidare e così, negli anni Settanta, da terzista mi sono trasformato in coltivatore di viti e soprattutto in cantiniere e produttore di vino. Siamo partiti con pochi ettari di vigneto per arrivare agli attuali 35 di proprietà, acquistiamo inoltre le uve di altri piccoli coltivatori locali per un totale di 100 ettari di materia prima da trasformare in vino. Tutti vigneti organizzati per essere lavorati in maniera meccanica», racconta. La sua forza? «La volontà. Ho sempre lottato».
In apertura e nel testo foto di Davide Cervellin
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